Crocetta chiude l’istituto di incremento ippico per la Sicilia

Dalla passione di Lombardo alla possibile soppressione decisa da Crocetta, ma la sede di Catania si ribella: "Chiudere è una follia".


Il governatore che sussurrava ai cavalli non c’è più. Adesso ce n’è uno che grida alla rivoluzione; e vuole tagliare gli enti ritenuti inutili, compreso quello “preposto alla tutela degli equidi siciliani”.

Chissà come la prenderà la bellissima puledra cui Raffaele Lombardo "di pirsona pirsonalmente" impose il nome “Etna di Baida”. 

Nata il 31 marzo del 2010 è la figlia primogenita dello stallone “Sakeen” e della cavalla “Annan” (due dei tre purosangue donati da Said Nasser Al-Harty, sultano dell’Oman in visita ufficiale 2008 alla Regione.

Sembra passato un secolo, da quel fiocco rosa nelle stalle della Regione. E oggi l’orizzonte dell’Istituto di incremento ippico per la Sicilia, definito “uno spreco” da Rosario Crocetta, è la “rottamazione”: la giunta, lo scorso 11 gennaio, ha proposto la soppressione dell’ente che sarebbe accorpato con l’Istituto sperimentale zootecnico di Palermo.

Dall’ippofilia dell’ex presidente al nulla, o quasi: ma esiste una via di mezzo, “blindata” a costi inutili, che tuteli e rilanci questa realtà?



Per capirlo siamo entrati nello Stadduni, nel cuore del centro storico di Catania, sede dell’Istituto di incremento ippico. Ci si aprono le porte del settecentesco complesso di via Vittorio Emanuele 508, in tutto 18mila metri quadrati, in origine casa degli esercizi spirituali dei gesuiti, che nel 1884 divenne uno degli otto “Regi Depositi di cavalli stalloni” del ministero della Guerra. E scopriamo una realtà nascosta, sconosciuta anche agli stessi catanesi. Qui dentro i cavalli, a dispetto di ciò che s’è scritto in inchieste scandalistiche, ci sono.

Una parte dei complessivi 110 esemplari, compresi quelli nelle tenute di Ambelia a Militello in Val di Catania e di Ciccaldo a San Fratello. Qui a Catania, nelle stalle ben curate, esemplari di purosangue di razza “Orientale”, cavallo “Sanfratellano” e asino “Ragusano”, quest’ultimi piuttosto contrariati per la violazione della privacy.

Ci sono anche “Las One” e “Temptation”, esemplari di sella olandese, pluripremiati in tutto il mondo, il cui seme frutta 400-500 euro a provetta. “Uno dei nostri compiti - ricorda il direttore Salvo Paladino - è l’ippicoltura, con la tutela e la salvaguardia degli equidi autoctoni: mantenimento di stalloni di alto pregio, programmi di miglioramento delle razze con notevole riduzione dei costi per gli utenti, assistenza agli allevatori, gestione dell’anagrafe degli equidi, progetti di ippoterapia per disabili e scuole”.

Ma c’è anche la voglia di dare di più. E anche le strutture per farlo. Quella catanese ruota attorno a una corte centrale e si compone di un’ala con uffici, tre scuderie di epoca sabauda e laboratori di fecondazione artificiale. Qui sono state girate scene di numerosi film, tra cui il brancatiano Il Bell’Antonio di Bolognini e il verghiano Storia di una capinera di Zeffirelli.


Ma la parte più suggestiva è quella appena ristrutturata con 4 milioni fra Fas e fondi dell’Istituto, dove ci sono la “Sala Vad Dick” (ricavata dalle cellette dei frati), la storica “Cavallerizza” (500 metri quadri, unico maneggio al coperto in tutto il Sud) e un museo con 22 carrozze storiche, donate da nobili catanesi ed ereditate dalla Real Gendarmeria, più preziosi finimenti e divise d’epoca.

È tutto lindo e ben tenuto, pronto all’uso. Così come il commissario straordinario dell’Istituto, Ketty Torrisi - una “tecnica”, in quanto imprenditrice etnea nell’allevamento degli asini - ha scritto nel “Programma di riordino, riqualificazione e rilancio” consegnato all’assessore all’Agricoltura Dario Cartabellotta. Nel documento c’è il progetto di due mostre permanenti (una delle carrozze d’epoca e una “vivente” della biodiversità equina autoctona), ma l’idea di base è rendere ‘u Stadduni una sorta di “Cavalloland”, una struttura senza barriere, aperta a sportivi, studenti, disabili, turisti e amanti degli animali. Già pronti un locale eventi, una sala predisposta per servizi di catering, un bookshop e spazi per uffici e attività ricettiva.

Il problema, oltre al paventato accorpamento con l’Isz, è di natura economica. Il progressivo taglio di fondi ha svuotato il capitolo per il funzionamento dell’Istituto dell’80% di risorse: 110mila euro nel 2012. Resta rigida la spesa per il personale: 2,2 milioni di euro per i 40 ex “palafrenieri”, assunti nel 1992 per la cura dei cavalli, oggi tutti promossi a “istruttori direttivi”, la metà dei quali - per certificate “patologie rilevanti” - non si occupa più di bestie, ma di carte.

Un caso rimbalzato sulle cronache nazionali, come simbolo degli sprechi siculi. Eppure nel piano del commissario Torrisi c’è anche “l’utilizzo efficace e produttivo di tutte le unità lavorative”. E sono gli stessi dipendenti a ricordare, per bocca di Salvatore Soldano e Antonio Zappalà “l’orgoglio di lavorare in un settore in cui siamo specializzati e la voglia di fare sempre di più e meglio”, ma anche le esigenze di una “razionalizzazione del nostro ruolo, perché lo spreco non sono i nostri stipendi, ma i soldi pagati ai consulenti che devono fare le buste paga perché, pur essendo inquadrati come regionali, riceviamo gli emolumenti, spesso in ritardo, dall’Istituto che a sua volta ha i soldi dalla Regione”.


La battaglia, la salvezza e il rilancio del’Istituto è fatta propria dai sindacati. “E non solo per le legittime esigenze dei lavoratori, che vanno salvaguardati e riqualificati”, precisa Angelo Agliozzo, segretario della Fp-Cgil etnea. “Ma anche per il riconoscimento di un patrimonio - aggiunge il segretario della Cgil di Catania, Angelo Villari - della città e dei siciliani, perché qui il vero spreco non è l’Istituto d’incremento ippico in sé ma non voler valorizzare una realtà che, messa a regime, potrebbe camminare sulle proprie gambe e diventare il più grande museo vivente del cavallo nel Mediterraneo”.  

fonte: Mario Barresi, La Sicilia

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