Anni 30, l’estate nella frazione “La Marina” (Acquedolci)

A nuoto ci indirizzavamo al largo nuotando per un «miglio romano» fino allo scorgere della Chiesetta sul Monte Vecchio.   


Un delizioso regalo a “rimembrare” gli eventi di un tempo passato, di quando ero giovane e baldanzoso.

In questo azzurro mare ch’io ho sempre lodato perché amico della mia giovine età e, forse anche per essere di ‘acqua’ il mio segno zodiacale: lo scorpione; quanto sia vera quest’ ipotesi, proprio non è dato sapere. So per certo, però, che nell’acqua trovo un mio godimento e, mi specchio e ci sguazzo volentieri.

In quegli anni trenta del XX° secolo, la vita paesana era sana e rigogliosa: cibi sani, viveri quel tanto che basta: verdure e legumi cotti, pesce fresco appena pescato, pane impastato con le mani, dalle mamme, nella madia di casa e cotto nel forno a legna che durava per tutta una settimana. Anche i tanto buoni dolci, anch’essi fatti dalla mamma e, che dire buonissimi è troppo poco… da le leccarsi labbra e dita; la carne poi, v’era per non più di una volta alla settimana  o per le ricorrenze e le feste comandate. 




Ad Acquedolci, la frazione di San Fratello, detta comunemente “La Marina” non v’era altro su cui divagarsi se non: Quattro chiacchere al bar con gli amici, una partitina a carte, un… veramente buono, gelato al cioccolato, una granita di limone; o, una gazzosa per spender poco poco.

D’estate, quando arrivava il maggio e, poi le vacanze scolastiche, arrivava per i giovani anche il divertimento sano dei bagni di mare. Lì, nel nostro tanto amato, caro e solitario paese, giungevano da lontano i nostri parenti, residenti nel continente per villeggiare fra noi «perdute genti». Noi giovinetti, narcisisti; delle belle giovanette innamorati, facevamo a gara per poter conquistare il loro cuore.

Amori platonici, fuggevoli, dichiarati con la forza dell’espressione degli sguardi. Ci parlavamo e ci capivamo con l’occhio mobile a sbirciar le sembianze dell’innamorato, come a voler esporre da lontano dolci frasi d’amore, e poi,  arrivava l’ammiccamento atteso, l’ assenso con il far l’occhi di triglia. Gesti ammutoliti, onde non farci vedere dai loro parenti; poiché era vietato potersi dare un bacio, o abbracciarsi anche una volta sola.

In noi, maschietti, viveva l’orgoglio e l’ansia del farsi notare. Appena suonate le nove del mattino, arrivavamo in su la spiaggia del siculo mar Tirreno e, poiché questa è poco sabbiosa ma di ghiaia piena e grossa rena, presentando  qua e là in su la battigia ristretti spazi di fine sabbia; di questi noi andavamo ad occuparne l’estensione per di poi, con strategia, poterne offrire il posto tanto ricercato ai nostri bene amati ospiti balneari.

In questo esteso litorale acquedolcese, non una barca a remi o a vela che vi  fosse; un vasto tratto di mare dove non v’erano pescatori ma acque azzurre di  cielo colorate.

Talora, accadeva che per un breve periodo di tempo, venivano ad insediarsi alcuni pescatori di provenienza estranea: gli orlandini, che a sua volta erano malvisti da quelli santagatesi che con i caronesi volevano spadroneggiare in  questo molto pescoso mare. 

Il mattino, presto, ancora al lume dell’aurora, prima ancora d’andare al lavoro, frotte di uomini si portavano in sulla spiaggia dove i pescatori ritornati a riva  con le barche colme: di vario pescato e di sarde ed anciove in abbondanza ne facevano dono in grande quantità alle persone che ivi accorrevano.

Le grandi quantità di pescato, dopo esser stato cosparso di ghiaccio pel mantenimento, veniva spedito altrove, con la vicina ferrovia, per essere  confezionato o messo, fresco, subito sul mercato.

Noi ragazzotti, ancora imberbi, giocoforza dovevamo passare la giornata lunga e tediosa; e… allora non avendo mezzi, e molto poca fantasia, facevamo quello che questa ci procurava. Ci si riuniva in gruppi di quattro o cinque più o meno coetanei ed a nuoto ci indirizzavamo al largo, bracciata dopo bracciata,  nuotando a − stile libero (crawl) e sul dorso a far riposare le stanche… forti e vigorose membra. Arrivavamo fino a compiere un «miglio romano» la cosiddetta misura dei 1.000 passi (1 Km. e ½ circa). Se putacaso uno di noi si fosse sentito male, per un qualsiasi motivo, eravamo nell’impossibilità di chiedere aiuto, l’unica cosa che potevamo fare era, in caso di crampo alle gambe, il massaggio all’arto sofferente affinché questo si riprendesse per  poter continuare a nuotare. Il punto d’arrivo era: il non andare oltre lo scorgere la Chiesetta di Monte Vecchio,  sulla cresta del Monte San Fratello. Da questo punto rincominciava la nuotata di ritorno. 


I bagnanti sulla spiaggia non vedendoci più, data la notevole distanza, stavano in apprensione. Essi, ci raccontavano di scorgere (come dire) all’orizzonte, dei piccoli punti neri e, ne facevano la conta per avere la certezza che eravamo noi, tutti.

Appena approdati, stanchi morti per la gran fatica ci sdraiavamo sulla battigia a riposare, nel mentre venivamo a noi per intervistarci gli astanti che ansiosi dall’animo sospeso e l’occhi stanchi dal rimirare, ci avevan seguito nell’impresa. Un’impresa che si ripeteva tutti i giorni che il mare «calmo e liscio come l’olio» lo permetteva.
Omnia  tempus  habent.
                                   
Salvatore Emanuele

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