1. In Cina 1,6 milioni di morti a causa dell'inquinamento
L’inquinamento è uno dei gravi problemi con cui la
contemporaneità si sta confrontando specialmente negli ultimi tempi. Ci sono
alcune aree del mondo particolarmente inquinate per le quali c’è profonda
preoccupazione.
Una di queste zone del nostro Pianeta più soggette all’inquinamento
è Pechino. Nella capitale cinese ultimamente si stanno raggiungendo
livelli di inquinamento davvero molto alti. Non di rado gli abitanti della megalopoli cinese, si difendono dalle particelle inquinanti indossando delle apposite mascherine.
La situazione non appare affatto sotto controllo nonostante
la Cina abbia adottato misure di sicurezza proprio contro l’inquinamento
dell’aria. Soltanto pochi mesi fa un rapporto dell’Health Effects Institute ha
riferito che lo smog in Cina avrebbe portato a 1,6 milioni di morti premature
ogni anno.
In particolare il problema interesserebbe le persone più
anziane, che hanno difese più deboli e quindi sono più soggette agli effetti
negativi dell’inquinamento sulla salute. Non si tratta però soltanto di
cattiva qualità dell’aria in rapporto alle patologie che interessano
direttamente l’apparato respiratorio.
Non dimentichiamo che il respiro affannoso mette sotto
sforzo l’intero organismo degli uomini costringendo anche il cuore ad
un’attività più complessa, con conseguenze inestimabili in termini di benessere individuale.
Adesso la Cina dovrà impegnarsi ancora di più per contenere l’inquinamento,
evitando che assuma dimensioni imprevedibili.
2. Montalbano come Pinocchio
La forma dell'acqua è la prima indagine del commissario più famoso d’Italia che,
secondo una ricerca pubblicata nel nuovo Annuario della Società Dante
Alighieri, è, insieme a Renzo e Lucia e a Pinocchio, il personaggio più
rappresentativo dell'immaginario letterario italiano.
Salvo Montalbano, da Vigàta, commissario. Il suo modo di
rispondere al telefono, «Pronto, Montalbano sono!» è la frase letteraria
italiana oggi più tradotta al mondo.
Il primo celeberrimo caso di Montalbano venne pubblicato nel 1994: «Qual è la forma dell’acqua?». «Ma l’acqua non ha forma. Piglia la forma che le viene data».
Il personaggio esce dalla penna di Andrea Camilleri, regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore, recentemente scomparso. E' assai curioso sapere che il primo romanzo di Montalbano doveva essere anche l'ultimo, ma visto l'enorme successo, la casa editrice Sellerio convinse Camilleri ad andare avanti con le avventure del noto commissario. Impareggiabile, poi, il successo ottenuto dalla serie televisiva trasmessa dalla Rai, iniziata nel 1999 e proseguita fino ai giorni nostri. Eppure, non si tratta della prima volta per un'opera di Camilleri finita in televisione. Il suo primo romanzo, "Il corso delle cose", del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla Rai col titolo "La mano sugli occhi".
Il primo celeberrimo caso di Montalbano venne pubblicato nel 1994: «Qual è la forma dell’acqua?». «Ma l’acqua non ha forma. Piglia la forma che le viene data».
Il personaggio esce dalla penna di Andrea Camilleri, regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore, recentemente scomparso. E' assai curioso sapere che il primo romanzo di Montalbano doveva essere anche l'ultimo, ma visto l'enorme successo, la casa editrice Sellerio convinse Camilleri ad andare avanti con le avventure del noto commissario. Impareggiabile, poi, il successo ottenuto dalla serie televisiva trasmessa dalla Rai, iniziata nel 1999 e proseguita fino ai giorni nostri. Eppure, non si tratta della prima volta per un'opera di Camilleri finita in televisione. Il suo primo romanzo, "Il corso delle cose", del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla Rai col titolo "La mano sugli occhi".
3. Il Cavallo Sanfratellano al Servizio Militare
Nel Regio Esercito, militavano oltre che i soldati anche gli animali da soma:
muli per le fatiche pesanti di trasporto pezzi di cannoni ed altro, financo le
casse di cottura per rifocillare i militari. I cavalli, invece erano adibiti
all’assalto del nemico nelle battaglie cruente del corpo a corpo.
In Italia v’erano diversi reggimenti di cavalleria dotati di equini di razza eccelsa. L’agile e veloce destriero sanfratellano ne era l’antonomasia.
In Italia v’erano diversi reggimenti di cavalleria dotati di equini di razza eccelsa. L’agile e veloce destriero sanfratellano ne era l’antonomasia.
Molti non sanno, e
neanche lo hanno sentito rammentare, che il cavallo sanfratellano veniva
reclutato come i soldati del Regio Esercito. Tutti gli anni, giumenti e giumente, venivano chiamati alla visita di leva
militare; ciò, può apparire un paradosso, ma tale non è se si ragiona della
vita militare della cavalleria in seno al R.E.
Fin dagli antichi tempi, anche le cavalle femmine, ossia le giumente, venivano reclutare per adempiere il servizio militare obbligatorio, mentre oggi… tanto gli uomini quanto le nostre, naturali affini, adempiono il servizio militare, reso non più obbligatorio, ma volontario. Le mandrie, giungevano nella contrada delle Acquedolci la mattina di buonora. Una cavalla madre, con un campanaccio al collo faceva da battistrada e le innumerevoli giumente la seguivano, da ambo i lati guardiani ponevano attenzione al fluire del branco.
Entrambi gli equini di sesso diverso venivano sottoposti ad apposita visita di idoneità da ufficiali medici veterinari e poi inquadrati per essere inviati alle scuole di addestramento dei Reggimenti di cavalleria. Tutte le formalità si svolgevano nel grande spiazzo antistante la torre quadrata e la sontuosa abitazione baronale del castello Cupane. Le reclute idonee, venivano trasferite provvisoriamente, dentro le stalle bovine, vuote per stagionalità. E poi, avviate alla stazione ferroviaria li vicina per essere trasportate a destinazione. Far entrare in quei carri ferroviari, dall’aria aperta al chiuso buio dei carri bestiame, quegli esseri indomiti, era cosa soprannaturale; eppure in ogni carro vi dovevano entrare otto cavallini di fresco pelo per essere avviati alla carriera militare.
Una carriera piatta, senza sbocchi di rango, di gradazione; la sola speranza di diventare cavalcatura di un alto ufficiale per così avere qualche attenzione in più.
Tutti gli anni a San Fratello vi giungevano, per ferrovia, gli stalloni del Regio Esercito selezionati per migliorarne viepiù la razza. Giungevano 5 o 6 stalloni nella stazione delle FF.SS.; custoditi in carri degnamente attrezzati alla bisogna: uno stallone per ogni carro in cui l’altra metà era destinata ai militari addetti alla custodia: due cavalleggeri per ogni cavallo da monta. A loro era demandato il compito oltre che di custodia anche quello del foraggiamento: fave, e anche zuccherini, gli alimenti. L’acqua da bere gli veniva porta in un secchio di canapa che il militare addetto non metteva al collo dell’animale, ma lo tratteneva tra le sue braccia fino al soddisfacimento dello abbeverasi del cavallo.
Trascorreva sempre un giorno tra l’arrivo e la di poi partenza per il luogo di destinazione programmato per l’accoppiamento; chissà perché, forse era necessario il riposo dopo il lungo viaggio su strada ferrata. La mattina, messa la cavezza al «signor cavallo» un soldato lo guidava alla mèta mentre il compagno se ne stava strettamente dietro, all’accompagno. E così, in fila indiana fino all’arrivo nelle lussureggianti verdi praterie dei boschi di San Fratello, regno ospitale del cavallo brado sanfratellano, fiero del suo essere di razza antica, d’antica schiatta di civiltà generativa.
(dagli scritti di Salvatore Emanuele 1924-2015).
Fin dagli antichi tempi, anche le cavalle femmine, ossia le giumente, venivano reclutare per adempiere il servizio militare obbligatorio, mentre oggi… tanto gli uomini quanto le nostre, naturali affini, adempiono il servizio militare, reso non più obbligatorio, ma volontario. Le mandrie, giungevano nella contrada delle Acquedolci la mattina di buonora. Una cavalla madre, con un campanaccio al collo faceva da battistrada e le innumerevoli giumente la seguivano, da ambo i lati guardiani ponevano attenzione al fluire del branco.
Entrambi gli equini di sesso diverso venivano sottoposti ad apposita visita di idoneità da ufficiali medici veterinari e poi inquadrati per essere inviati alle scuole di addestramento dei Reggimenti di cavalleria. Tutte le formalità si svolgevano nel grande spiazzo antistante la torre quadrata e la sontuosa abitazione baronale del castello Cupane. Le reclute idonee, venivano trasferite provvisoriamente, dentro le stalle bovine, vuote per stagionalità. E poi, avviate alla stazione ferroviaria li vicina per essere trasportate a destinazione. Far entrare in quei carri ferroviari, dall’aria aperta al chiuso buio dei carri bestiame, quegli esseri indomiti, era cosa soprannaturale; eppure in ogni carro vi dovevano entrare otto cavallini di fresco pelo per essere avviati alla carriera militare.
Una carriera piatta, senza sbocchi di rango, di gradazione; la sola speranza di diventare cavalcatura di un alto ufficiale per così avere qualche attenzione in più.
Tutti gli anni a San Fratello vi giungevano, per ferrovia, gli stalloni del Regio Esercito selezionati per migliorarne viepiù la razza. Giungevano 5 o 6 stalloni nella stazione delle FF.SS.; custoditi in carri degnamente attrezzati alla bisogna: uno stallone per ogni carro in cui l’altra metà era destinata ai militari addetti alla custodia: due cavalleggeri per ogni cavallo da monta. A loro era demandato il compito oltre che di custodia anche quello del foraggiamento: fave, e anche zuccherini, gli alimenti. L’acqua da bere gli veniva porta in un secchio di canapa che il militare addetto non metteva al collo dell’animale, ma lo tratteneva tra le sue braccia fino al soddisfacimento dello abbeverasi del cavallo.
Trascorreva sempre un giorno tra l’arrivo e la di poi partenza per il luogo di destinazione programmato per l’accoppiamento; chissà perché, forse era necessario il riposo dopo il lungo viaggio su strada ferrata. La mattina, messa la cavezza al «signor cavallo» un soldato lo guidava alla mèta mentre il compagno se ne stava strettamente dietro, all’accompagno. E così, in fila indiana fino all’arrivo nelle lussureggianti verdi praterie dei boschi di San Fratello, regno ospitale del cavallo brado sanfratellano, fiero del suo essere di razza antica, d’antica schiatta di civiltà generativa.
(dagli scritti di Salvatore Emanuele 1924-2015).
4. La rissa nella giungla: lo storico incontro di boxe fra Alì e Foreman
Alì resterà nella mente di tutti i suoi fan per il
match contro Foreman disputato il 30 ottobre 1974 a Kinshasa. Quel
macth ha ispirato anche film (ad esempio Rocky III), fumetti e opere d'arte. L'incontro di pugilato fu
il trionfo della 'negritudinè che il dittatore megalomane dello Zaire,
Mobutu Sese, volle ospitare garantendo ai due contendenti una borsa di cinque
milioni di dollari a testa. Alì non voleva più essere chiamato Cassius
Clay e dai bookmaker veniva dato per sfavorito, mentre 'Big Georgè aveva
vinto nel 1968 l'oro olimpico e si era confermato un campione anche tra i
professionisti. Era quindi il match tra l'uomo dal pugno d'acciaio, il
massacratore del ring che aveva fatto letteralmente volare via uno come Joe
Frazier.
Foreman, all'epoca ardente patriota, non avrebbe mai
rifiutato di andare in Vietnam, come fece Ali, e per questo era ben visto da
buona parte dell'opinione pubblica americana, ma in Africa era tutta un'altra
storia. In quella terra lontana Alì si sentiva a casa e i tifosi erano pazzi di
lui e gli urlavano "Ali Boma ye", Ali uccidilo, perchè secondo loro
Foreman era diventato un traditore, il nero che si era venduto ai bianchi. Lo
sfidante di Alì, poi, commise un affronto imperdonabile per quel popolo, poiché scese la scaletta
dell'aereo accompagnato da un pastore tedesco, l'animale usato dagli occupanti
belgi come cane poliziotto per le spedizioni punitive.
Nelle prime sei riprese Alì viene martellato dai colpi
dell'avversario ma il 'Più Grande' aveva imparato a resistere al dolore
facendosi colpire ripetutamente, in allenamento, dallo sparring partner Larry
Holmes. All'ottava ripresa, con Foreman stremato, Alì inventò il proprio capolavoro e in un lampo passò dalla difensiva all'attacco, con una serie di colpi che costrinse alla resa il
rivale. Così quella notte riconquistò il titolo dei massimi e sotto la pioggia
di Kinshasa venne di nuovo proclamato Re.
5. Premiata la faccina più utilizzata
La scelta dell’Oxford Dictionary per la parola dell’anno nel
2015 non cadde su un sostantivo ma su un emoji (simbolo simile agli emoticon):
la faccina che piange per le risate, quella che secondo le statistiche è la più
usata. Una decisione controversa e avversata dai puristi, nonostante già da
anni la tendenza sia quella di premiare parole di estrema attualità: nel 2014,
ad esempio, era stata scelta “vape” (in italiano “svapare”, fumare una
sigaretta elettronica), mentre l’anno precedente “selfie”.
6. Alla salute!
Si dice che nel 1943, in occasione delle nozze dell’imperatore
Massimiliano I d’Asburgo con Bianca Maria Sforza, nipote di Ludovico il Moro,
duca di Milano, a tutti i milanesi venne offerto un boccale di birra, bevanda
già molto apprezzata.
7. Il coraggio di un corleonese
La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, 34 anni, partigiano e segretario generale della Camera del lavoro di Corleone, è sequestrato da un gruppo di persone guidato dal giovane mafioso Luciano Liggio. Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ad indagare sul delitto: il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove.
Per uno strano scherzo del destino, attorno all’omicidio di
Placido Rizzotto ci sarà una convergenza di giovani uomini che diventeranno importanti:
da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre, giovane studente
universitario che sostituirà Rizzotto alla guida dei contadini, dall’altra,
Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia.
Il rapimento di Placido Rizzotto scuote le coscienze ed
immediata è la presa di posizione della Cgil.
Nonostante gli appelli e gli sforzi fatti il corpo non sarà
ritrovato e con il passare degli anni e la scalata al potere mafioso di Liggio
per lungo tempo a Corleone non si parlerà più di Placido Rizzotto.
Il 7 luglio 2009 all’interno della foiba di
Rocca Busambra a Corleone vengono rinvenuti resti umani.
Nel marzo 2012 l’esame del dna, comparato con quello
estratto dal padre di Placido, Carmelo Rizzotto, morto da tempo, confermerà
l’appartenenza al sindacalista siciliano dei resti rinvenuti.
Il 16 marzo 2012 il Consiglio dei ministri deciderà per
Placido Rizzotto i Funerali di Stato, svolti a Corleone il 24 maggio 2012 alla
presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del segretario
generale della Cgil Susanna Camusso.
“Il ritrovamento dei resti di Placido Rizzotto e i funerali
di oggi segnano una nuova sconfitta per la mafia – scriverà, nel suo editoriale
in prima pagina su l’Unità Guglielmo Epifani – Quello che si voleva
nascondere per sempre è riemerso dal buio, suscitando nuove emozioni e offrendo
nuove ragioni nell’impegno di lotta contro tutte le mafie. Il luogo del
delitto, Corleone, diventa il luogo dell’omaggio e della riconoscenza di tutto
il paese. Il martire del lavoro diventa così un martire della democrazia. La
sua tomba è destinata a diventare uno dei luoghi del pellegrinaggio laico in
memoria delle vittime, e il suo nome forse tornerà ad avere un significato per
molti e soprattutto per le nuove generazioni”.
Tante volte uno deve lottare così duramente
per la vita che non ha tempo di viverla
(Charles Bukowski)
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