L'amaro calice (SpaccaSette, 7)



1. I trattati di pace del 1947: Una pedina di scambio chiamata Italia
Finita la seconda Guerra Mondiale la diplomazia di 21 nazioni riunita a Parigi stabilì i termini della pace mondiale e il futuro assetto geopolitico internazionale, tra sanzioni finanziarie e militari imposte ai Paesi sconfitti e una nuova definizione dei confini e di spinose questioni territoriali che riguardarono direttamente anche l’Italia. A poco valse la posizione di forza co-belligerante al fianco degli Alleati assunta dal nostro Paese negli ultimi due anni di guerra, perché rimase lo scotto da pagare per l’eredità fascista e le sue responsabilità in merito al conflitto, e alla nostra neonata Repubblica furono presentate condizioni di pace decise a priori e con margini di negoziazione assai ristretti.
La mattina del 10 febbraio 1947, nella Sala dell’Orologio del Quai d’Orsay, mentre il segretario generale della nostra delegazione Antonio Meli Lupi di Soragna siglava il Trattato di Pace con le potenze alleate vincitrici, l’Italia incassava il colpo con amarezza, vivendo quel giorno come un momento di lutto nazionale. Finita la guerra, con il Paese ancora diviso e in macerie, alla sfida della ricostruzione si aggiungeva così lo sconforto per un conto molto salato da pagare.
Nei mesi precedenti la firma, la diplomazia italiana e De Gasperi in prima persona, avevano tentato di giocare le carte dell’armistizio, della dichiarazione di guerra alla Germania dell’ottobre ‘43 e del contributo dato agli Alleati dall’esercito e dalle forze partigiane, ma, nonostante il cambio di fronte, l’Italia era rimasta per molti la nazione «colpevole» di aver trascinato il mondo in guerra, insieme a una Germania che alla Conferenza di Pace non presenziò neppure, in quanto integralmente occupata e quindi non riconosciuta come soggetto di diritto internazionale. In termini economici all’Italia vennero imposte riparazioni per un totale di 360 milioni di dollari, da ripartirsi tra i paesi vincitori e le ex colonie italiane, con la successiva rinuncia alla propria quota di Stati Uniti e Gran Bretagna; sul piano militare le forze dell’Esercito, dell’Aviazione e della Marina vennero ridotte a 300 mila unità, limitati a 350 gli aerei e drasticamente ridimensionato il tonnellaggio navale, con l’obbligo di mettere a disposizione delle nazioni vincitrici un ingente numero di unità navali da combattimento. Clausole, queste, che verranno attenuate in seguito dall’ingresso dell’Italia nella Nato. Un «amaro calice», come lo definì De Gasperi nell’intervento all’Assemblea Costituente in risposta a quanti tra i deputati richiedevano un rinvio della ratifica dei Trattati di pace.
Ma il boccone più amaro da digerire fu quello territoriale, con l’Italia costretta a cedere sul fronte orientale accettando la divisione in due zone di Trieste e il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, la cessione ai francesi di zone delle Alpi marittime sul fronte occidentale, e la rinuncia ai possedimenti territoriali in Albania, Libia, Eritrea e nel Dodecaneso, mantenendo soltanto l’amministrazione fiduciaria della Somalia per un decennio. A pagare il prezzo più alto di questo nuovo assetto territoriale fu ancora una volta la popolazione civile, in particolare lungo il confine orientale della Venezia Giulia, dove la contesa tra Italia e Jugoslavia - e in più in generale tra blocco occidentale e sovietico - si risolse con un compromesso suggerito dai francesi, ovvero la creazione del Territorio Libero di Trieste, suddiviso in una zona A a prevalenza italiana, affidata all’amministrazione anglo-americana — fino al ’54 — e una zona B a prevalenza slovena, a est di Trieste e comprendente l’Istria, affidata all’amministrazione jugoslava e al governo del maresciallo Tito. Una soluzione forzata che portò all’esodo di migliaia di cittadini di etnia e lingua italiana dalla Dalmazia e dall’Istria, svuotando intere città come Fiume e Pola di tre quarti dei loro abitanti.
Il Territorio Libero di Trieste fu creato per mediare tra la volontà italiana di conservare la sovranità sulla città e quella jugoslava di far valere il proprio contributo nella guerra contro il nazifascismo, ma soprattutto fu il risultato della partita globale che si stava giocando tra Usa e Urss. Una partita in cui l’Italia non poté far valere la propria voce, né sul fronte «atlantico» per mezzo di Alcide De Gasperi, né tantomeno su quello sovietico con Palmiro Togliatti, come mostrò chiaramente la pubblicazione nel 2003 dei diari di Georgi Dimitrov, segretario del Comintern.
Sarà poi il Memorandum di Londra del 1954 a sancire il passaggio della zona A di Trieste al governo italiano e della zona B a quello jugoslavo. Sullo sfondo dello scontro Italia-Jugoslavia restò il drammatico esodo di più di 250 mila anime, che per mantenere la propria identità italiana — e per non cadere sotto la dittatura comunista — dovettero abbandonare le proprie case, dopo aver subito nel corso della guerra prima la violenza nazifascista e poi quella dell’esercito titino, i massacri delle foibe, le deportazioni e il clima di terrore anti-italiano. A simboleggiare il dramma di queste popolazioni, resta il gesto estremo compiuto da Maria Pasquinelli, la maestra che proprio il 10 febbraio 1947, in segno di protesta contro la cessione della città di Pola agli jugoslavi, sparò e uccise il generale britannico Robin de Winton, comandante della guarnigione britannica locale.
Altrettanto spinosa, ma risolta in modo decisamente diverso, la questione dei confini con l’Austria e della minoranza etnica nel Sud Tirolo, dopo varie trattative condotte personalmente da De Gasperi con il ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber. Riconosciuta l’integrità della frontiera del Brennero, l’Italia si impegnava a salvaguardare i diritti della minoranza etnica di lingua tedesca, concedendo al Trentino Alto Adige uno statuto speciale che sarebbe stato sancito l’anno successivo.
Sul fronte occidentale, invece, si trovò minor disponibilità da parte del governo francese e il confine venne modificato con la cessione italiana di alcuni territori delle Alpi marittime, l’altopiano del Monginevro e il Colle del Moncenisio.
I Trattati di Pace entrarono formalmente in vigore il 15 settembre 1947, lasciando aperte numerose questioni territoriali ed etniche, rivendicazioni delle varie forze politiche italiane e insieme un senso generalizzato di amarezza e di «ulteriore» sconfitta. Il prezzo da pagare per le responsabilità italiane nel conflitto mondiale e la condizione necessaria per ottenere il riconoscimento della comunità internazionale e l’ammissione nell’alveo delle democrazie occidentali, chiudendo la pagina drammatica del fascismo. In anni recenti, con la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani, sono emersi anche i retroscena della fase preparatoria che portò ai Trattati di Parigi, rivelatori del clima sfavorevole in cui l’Italia si trovò ad agire, con De Gasperi inizialmente battagliero e via via sempre più consapevole di quanto l’Italia fosse diventata una mera pedina di scambio nella più ampia partita tra Usa e Urss e i loro reciproci interessi.




2. Dalla Bolla di Canonizzazione di San Benedetto il Moro
Miracoli compiuti per sua intercessione. Il primo riguarda Francesco Centineo Capizzi, un fanciullo di nove anni della città di San Fratello, che a causa di un proiettile esploso da un fucile, aveva subito nella gola una così grave ferita che respirava attraverso la trachea perforata, o meglio profondamente squarciata, piuttosto che dalla bocca, senza che apparisse alcuna possibilità di guarigione. Ma appena una reliquia del Beato Benedetto fu posta sulla gola ferita, subito si formò una cicatrice e il ragazzo recuperò pienamente la salute.
Il secondo evento miracoloso descritto fu invece il seguente: Filippo Scaglione, della città di San Fratello, dalla nascita fino all'età di quattordici anni soffriva di un grave infermità ai piedi, sicché con le sue forze non poteva stare in piedi, né muoversi, né tanto meno camminare, ma appe­na implorato l'aiuto del Beato Benedetto, vide dinanzi a sé un religioso dell'Ordine di San Francesco che lo invitava ad alzarsi e a camminare, perché ormai era guarito. Subito il ragazzo, convinto che quel religioso fosse Benedetto che egli aveva invocato, ubbi­dendo alle sue parole, si alzò e da allora camminò.

3. Il lago di Como 
L'incipit manzoniano de “I Promessi Sposi” ne racconta già la bellezza che questo paesaggio possiede. È il terzo lago italiano ed è situato tra le province di Como e Lecco. Offre panorami mozzafiato dai Borghi alle meravigliose ville e al verde curato. Una meta per chi cerca il relax e ama il contatto con la natura. E per chi si reca sul lago di Como tappe obbligate sono le località che mi fanno da cornice: Tremezzo, Lenno, Moltrasio, Cernobbio. Spostandosi verso Lecco si può visitare Villa Manzoni da cui partire per un viaggio a dir poco romanzesco.


4. Allergie e intolleranze alimentari: tra moda (marketing) e realtà
Il business dei cibi senza glutine, senza lattosio, “senza tutto” non ha mai conosciuto un momento roseo come quello degli ultimi anni. Le intolleranze alimentari si sono trasformate da un problema che caratterizza una piccolissima parte della popolazione, ad una moda collettiva.
Le ragioni alla base di questa tendenza sono molteplici, spesso la ricerca di un alibi per il proprio sovrappeso, altre volte una forma più o meno acuta di classificare i cibi in buoni e cattivi, altre ancora nel tentativo di seguire mode e modelli "radical-chic", molto più spesso una radicata ignoranza per effetto della quale si segue ogni cosa faccia tendenza.
Mentre la scienza è ancora alle prese con le modalità di classificazione di allergie e intolleranze alimentari, sedicenti esperti (talvolta anche titolati) vendono test per le intolleranze come novelli cartomanti, peraltro con lo stesso grado di affidabilità. 
In entrambi i casi, allergia e intolleranza, si tratta di reazioni avverse al cibo ma non causate da agenti tossici, come ad esempio la presenza di virus o batteri, ma indotte da componenti proprie dell'alimento introdotto. E mentre le allergie alimentari sono riconducibili sempre ad una risposta da parte del sistema immunitario che classifica come elementi dannosi prodotti che evidentemente non lo sono affatto, le intolleranze alimentari sono invece sempre reazioni avverse ad un alimento, ma non chiamano in causa il sistema immunitario. 
In conclusione allergie e intolleranze hanno quadri sintomatologici, cause scatenanti e modalità diagnostiche ben precise e talvolta complesse. Associare il proprio sovrappeso ad una intolleranza, magari diagnosticata con metodi da alchimista, e ritenerla una diagnosi corretta perché l'eliminazione massiva di alimenti determina una temporanea perdita di peso, è una semplificazione perlomeno ingenua, certamente costosa e potenzialmente pericolosa. Al contempo, utilizzare cibi speciali per persone affette da reali intolleranze aspettandosi ipotetici vantaggi è invece perlomeno sciocco. [Fonte: Dottor De Pascalis Pierluigi]



5. Rocco Chinnici, il magistrato ucciso dalla mafia quando Palermo era Beirut
“Palermo come Beirut”. I giornali titolarono così, la mattina del 30 luglio 1983. Il giorno prima, in via Federico Pipitone si consuma l’ennesima strage in cui morirono Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi. I feriti sono invece diciassette.
Moriva così, a 58 anni, il capo dell’ufficio istruzione di Palermo: l’ideatore del pool antimafia, progetto che sarà successivamente portato avanti dal suo successore, Antonino Caponnetto, assieme ai magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.
Chinnici arrivò all’ufficio istruzione di Palermo nel 1979. La Palermo nella quale arrivava era davvero una città in guerra. Solamente pochi mesi prima sono stati uccisi da "cosa nostra": Cesare Terranova, Lenin Mancuso, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Mario D’Aleo.
È in questo contesto che Rocco Chinnici, assieme ai suoi collaboratori, avviò il processo che porterà, con il pool antimafia, ad istruire il maxi-processo. Quel capolavoro giudiziario che rappresenterà il più duro colpo inferto alla criminalità organizzata mafiosa: 460 imputati, 200 avvocati difensori, quasi sei anni di lavoro. Conclusi con 19 ergastoli e pene per un totale di 2.665 anni di reclusione.
Chinnici ottenne importantissimi risultati, in particolare, nella lotta al traffico di stupefacenti. L’FBI americana parlò in quegli anni della procura di Palermo come di un “centro nevralgico della battaglia contro la droga”. Nutriva grande fiducia nelle nuove generazioni e per questo volle divulgare in innumerevoli congressi e convegni la cultura della legalità.
I killer di Rocco Chinnici furono condannati in primo e secondo grado, ma poi la sentenza fu riformata in Cassazione. A pronunciare il verdetto, in appello, fu il giudice Antonino Saetta. La mafia lo ammazzò il 25 settembre 1988, assieme al figlio Stefano, mentre tornavano da un battesimo, sulla statale 640. La stessa nella quale è stato assassinato il giudice Rosario Livatino.



6. Il duello di Digione
Il Gp di Francia corso sul circuito di Digione il 1° Luglio 1979 è passato alla storia non solo per la prima vittoria di un motore turbo, ma anche e sopratutto per il bellissimo duello che vide come protagonisti Gilles Villeneuve (Ferrari) e Rene Arnoux (Renault).
Una delle pagine più affascinanti ed emozionanti nella storia della Formula 1. In palio non tanto la vittoria, quanto il secondo gradino del podio dietro all'altro pilota Renault Jean Pierre Jabouille. Un duello, quello che vide protagonisti Villeneuve ed Arnoux e passato alla storia con il nome di Duello di Digione, che ancora a distanza di tanti anni viene ricordato sempre con molto affetto dagli appassionati di Formula 1, con quel finale di gara che fece entrare definitivamente nel cuore dei tifosi della Ferrari Gilles Villeneuve grazie alla sua tenacia e alla sua volontà di non mollare mai, dando tutto se stesso. Negli ultimi tre giri i due piloti danno vita a un intenso duello fatto di sorpassi e controsorpassi, toccate al millimetro e ad alta velocità. Al termine della gara sarà la Ferrari del pilota franco canadese a prevalere per soli 24 millesimi.


7. La cultura si apprende leccando
Nelle comunità ebraiche del Medioevo, i fanciulli venivano iniziati all'apprendimento della lettura in occasione della festa di Shavout, che ricordava la rivelazione divina della Legge (Torah) a Mosè. Il bambino, avvolto in uno scialle da preghiera, veniva condotto dal padre al maestro, il quale lo faceva sedere sulle sue ginocchia e gli mostrava una lavagna su cui erano scritti l'alfabeto ebraico, un brano delle Scritture e la frase "Possa la Torah essere a tua occupazione". Ogni parola era letta ad alta voce dal maestro e ripetuta dal bambino; poi sulla lavagna si spalmava del miele e il bambino leccava, affinché il suo corpo assimilasse quelle parole sacre.


Tutti ti valutano per quello che appari.
Pochi comprendono quel che tu sei.
(Niccolò Machiavelli)

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