Tecnologicamente avanzatissimo, è in grado di produrre 6MW
di energia. Anche in Italia si sta facendo sul serio con il progetto pilota
portato avanti a Ravenna. Il meccanismo di base è abbastanza semplice, con l’energia
cinetica delle onde che agisce in una turbina direttamente collegata a un
generatore. L’energia da moto ondoso presenta vantaggi di non poco
conto: la fonte primaria è sicuramente abbondante e l’inquinamento causato
dalla sua produzione è minimo. Inoltre, il moto ondoso può essere previsto con
una certa attendibilità e con qualche giorno di anticipo. Gli impianti
installati, poi, non ostacolano le migrazioni di pesci e altre creature marine.
È sostenibile pertanto anche in rapporto alla fauna ittica. Tra gli aspetti
critici da considerare, sicuramente in tutti i mari non è presente un moto
ondoso sufficiente a produrre energia. C’è poi l’annosa questione dell’impatto
visivo degli impianti. Diverse sono attualmente le aree del mondo da
considerare attivamente o potenzialmente produttive: si va dall’Europa al Giappone,
da alcune zone del Sud America alla Nuova Zelanda. Di recente,
ha fatto molto parlare di sé il progetto “Wave Star”, sviluppato in Danimarca.
Un impianto tecnologicamente avanzatissimo, in grado di produrre 6MW di
energia, sufficienti a soddisfare i bisogni di 4.000 abitazioni, per
intenderci.
Anche in Italia si sta facendo sul serio. L’ENI,
Cassa depositi e prestiti, Fincantieri e Terna hanno deciso di sviluppare
congiuntamente impianti di produzione di energia da moto ondoso. L’accordo
stipulato prevede di trasformare il progetto pilota “Inertial Sea Wave Energy
Converter” (ISWEC), installato da Eni nell’offshore di Ravenna e
attualmente in produzione, in un progetto realizzabile su scala industriale.
2. Libro del Cinquecento, leggendario manoscritto in grado di
evocare gli spiriti
Il Libro del Cinquecento, chiamato in Sicilia “Libru du
Cincucentu“, è un libro leggendario, che sarebbe custodito a Ficarra,
in provincia di Messina. A renderlo speciale è la sua stessa natura.
Sarebbe, infatti, un libro di magia contenente formule che
permettevano di superare tutti problemi.
Attraverso un linguaggio oscuro, questo libro avrebbe
aiutato ad evocare gli spiriti, che di solito riuscivano poi ad aiutare
chiunque lo possedesse. In alcuni casi, però, venivano anche evocati dei
diavoli, che creavano non pochi problemi a chi li aveva evocati.
Difficile stabilire quanto ci sia di vero o
storicamente attendibile riguardo l’esistenza del Libro del Cinquecento.
L’unica cosa certa è che le sue origini sono millenarie. Alcuni presumono,
addirittura, che sia stato l’antico Re Salomone a scriverlo, altri lo fanno
risalire al Medioevo.
La storia del Libro del Cinquecento non sarebbe del
tutto frutto di fantasia. Ancora oggi, in molti paesi della Sicilia, si
tramandano leggende relative al testo. Ispirandosi alle leggende inerenti
questo fantomatico libro, lo scrittore Tindaro Alessandro Guadagnini nel
dicembre 2016 pubblica un romanzo dal titolo “Il Libro del Cinquecento”.
3. Il selvaggio sud e quel paradiso perduto che merita una speranza
«L'idea di essere fermato dai banditi in queste grandi
solitudini, loro dimora e loro impero, mi fece battere il cuore, non di paura,
ma di speranza, perché non avevo nulla da perdere, e i banditi almeno mi
avrebbero mostrato la via del Santuario di Polsi». Così scrisse un raffinato
intellettuale, Charles Didier, poeta e scrittore nato a Ginevra ma che visse
quasi tutta la vita a Parigi. Visitò la Locride, in pieno inverno, nel 1830, intitolò
leggiadramente il suo diario di viaggio “L'Italie pittoresque”
Il resoconto di Didier è uno dei tanti raccolti da Enzo
Romeo, giornalista di Siderno, e contenuti in “Dove inizia l'Italia - La Locride raccontata dai
viaggiatori” (Rubbettino editore). Un volume
prezioso, che riempie un vuoto importante: grazie alla tradizione ottocentesca
del Grand Tour, i racconti dei viaggiatori europei in terre allora considerate
esotiche e misconosciute. Solo facendo i conti con il proprio passato,
conoscendolo e rielaborandolo, si potrà disegnare un progetto di sviluppo e
dare nuove prospettive a questa terra.
4. Un bar per entrare in un fumetto
Conoscete la canzone “Take on Me” degli A-ha? Questa canzone
del 1986 è famosa anche per il suo suo video musicale decisamente innovativo
per l’epoca: il protagonista entrava nelle pagine di un fumetto che prendeva
vita. Molti lo considerano ancora oggi uno dei più bei video musicali mai
realizzati. Un locale di Seul sembra riproporre questa esperienza nel mondo
reale.
Il Cafe Yeonnam-dong 239-20 è un bar dal design unico, che
si trova nel quartiere Yeonnam-dong di Seul: fa immergere gli avventori in
quello che sembra un cartone animato o un fumetto. Pareti, pavimento, mobili e
anche i piatti sembrano usciti da un fumetto in bianco e nero, e gli avventori
risaltano in modo quasi strano, al punto di sembrare quasi fuori luogo. Situato
in uno dei quartieri più alla moda di Seoul, il Cafe Yeonnam-dong 239-20 è
diventato famoso in tutto il mondo per il suo arredamento originale.
L’ispirazione arriva da “W – Two Worlds”, una serie fantasy popolare in Corea
del Sud e incentrata sullo scontro tra il mondo reale e uno fantasy. Il locale ha aperto nella seconda metà del 2017, e da subito
è diventato uno dei posti più fotografati di Seul.
5. Un tenore sanfratellano
Alfredo (Alfio) Tedesco è nato a San Fratello nel
1882 ed è morto a Milano nel 1967. Fu allievo del maestro Ortisi. Ha debuttato nel 1902 a Teatro Alfieri di Asti. Nei venti anni successivi ebbe una carriera di
successo come tenore lirico nei più grandi teatri provinciali italiani. Nella
stagione 1923-24 è apparso anche al Teatro alla Scala, e nel 1915 e nel 1927 cantò al Teatro Colón di Buenos Aires. Di lui si ricorda anche la splendida performance all'Arena di Verona nel 1922. Nel 1920 cantò nel teatro municipale di Zurigo.
Probabilmente il suo vero nome era "Alfio Tedesco", come veniva registrato alla frontiera al suo ingresso negli Stati Uniti, dove
cantò in molte stagioni del Metropolitan. In Italia invece usò entrambi i nomi. Si ritirò nel 1951 e trascorse gli ultimi anni presso la "Casa di Riposo G.Verdi" di
Milano.
6. Gli squali siamo noi: oltre 20
specie a rischio estinzione
Abitano gli oceani da almeno 400 milioni di anni ma, in
pochi decenni, a causa dell’intervento scellerato dell’uomo rischiano di
scomparire. Parliamo degli squali, uno dei pesci più affascinanti che
popola il Mar Mediterraneo, la cui sopravvivenza è seriamente minacciata. Il nuovo report Wwf ‘squali
in crisi nel Mediterraneo: misure urgenti per salvarli‘, rivela che oltre la metà delle 86 specie di squali,
razze e chimere del Mediterraneo è minacciata e un terzo di
queste è prossima al rischio di estinzione.
I dati del report mettono insieme i risultati delle ultime
ricerche condotte nel Mediterraneo. Tra i principali fattori di rischio per
queste specie, oltre le condotte criminali e illegali connesse ad
una pesca non sostenibile, c’è anche una complessiva carenza di conoscenza
e informazioni sugli squali. A tal proposito, in questi giorni, il Wwf ha
avviato il progetto ‘SafeSharks‘ consegnando alla comunità dei pescatori
di Monopoli, la più importante dell’Adriatico per quanto riguarda la pesca
del pesce
spada, speciali Tag satellitari per monitorare la possibile sopravvivenza
di quegli esemplari catturati accidentalmente dai palangari e rilasciati in
mare.
In generale l’associazione ambientalista propone una
serie di soluzioni per abbassare il livello di rischio che prevedono: il
divieto dell’attività di pesca in habitat chiave di squali e razze, l’utilizzo
di strumenti di pesca più selettivi, una completa trasparenza e legalità nel
settore della pesca e, per l’appunto, uno sforzo maggiore per far conoscere
meglio queste specie ai pescatori. Anche per poterne garantire la sopravvivenza
nel caso in cui finiscano nella rete fortuitamente.
Gli squali, infatti, non sono quasi mai ‘obiettivo’ dei
pescatori ma spesso vengono catturati accidentalmente e rigettati in mare. In
totale sono circa 60 le specie vittime delle reti a strascico, mentre in alcune
zone addirittura un terzo del pescato catturato è costituito da squali e razze.
Basti pensare che, secondo il Wwf, nell’arco di un solo anno, la flotta
marocchina ha catturato circa 20 -25mila squali pelagici nel mare di
Alborán, e tra 62-92mila in prossimità dello stretto di Gibilterra. Ovviamente
la maggior parte di questi esemplari nel momento in cui finiscono nelle reti si
feriscono e hanno scarse possibilità di sopravvivenza.
Altre serie minacce sono costituite dalla plastica,
che viene ingerita o che li intrappola, e dalle frodi alimentari. Sempre
più spesso, infatti, capita che al consumatore venga venduta carne di
squalo spacciandola per pesce spada. Una truffa che, secondo la Guardia
Costiera Italiana, risulta essere una delle tre frodi di pesca più comuni in
Italia. Tra altro questo inganno può avere delle serie ripercussioni sulla
salute: gli squali infatti essendo predatori si nutrono di altri pesci e la
loro carne contiene un elevato tasso di mercurio che, in molte
specie, è al di sopra dei limiti massimi consentiti dalla legge.
7. L'esempio di un uomo, l'indifferenza di uno stato
7. L'esempio di un uomo, l'indifferenza di uno stato
Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, noto
per il suo impegno nella lotta contro il terrorismo delle brigate rosse prima
e alla mafia poi, di cui sarà vittima, nasce a Saluzzo, in provincia di Cuneo,
il 27 settembre del 1920. Figlio di un carabiniere, vice comandante generale
dell'Arma, non frequenta l'accademia e passa nei carabinieri come ufficiale di
complemento allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Nel settembre del 1943 sta ricoprendo il ruolo di comandante
a San Benedetto del Tronto, quando passa con la Resistenza partigiana. Finita la guerra con il grado di capitano. Dopo positive
esperienze nella lotta al banditismo, nel 1949 arriva in Sicilia, a
Corleone, per sua esplicita richiesta. Nel territorio la mafia si sta
organizzando e il movimento separatista è ancora forte. Qui il capitano Dalla
Chiesa si trova ad indagare su ben 74 omicidi, tra cui quello di Placido
Rizzotto, sindacalista socialista. Alla fine del 1949 Dalla Chiesa indicherà
Luciano Liggio come responsabile dell'omicidio. Per i suoi ottimi risultati
riceverà una Medaglia d'Argento al Valor Militare.
In seguito viene trasferito a Firenze, poi a Como e Milano.
Nel 1963 è a Roma con il grado di tenente colonnello. Poi si sposta ancora, a
Torino, trasferimento che risulta per certi versi enigmatico: anni dopo si
scoprirà essere stato ordinato dal generale Giovanni De Lorenzo, che stava
organizzando il "Piano Solo", un tentativo di colpo di Stato per
impedire la formazione del primo governo di centrosinistra.
A partire dal 1966 - in coincidenza con l'uscita di De
Lorenzo dall'Arma - e fino al 1973 torna in Sicilia con il grado di colonnello,
al comando della legione carabinieri di Palermo. I risultati, come ci si
aspetta da Dalla Chiesa, non mancano: assicura alla giustizia boss malavitosi
come Gerlando Alberti e Frank Coppola. Iniziando inoltre a investigare sulle
presunte relazioni fra mafia e politica.
Nel 1968 con i suoi reparti interviene nel Belice in
soccorso alle popolazioni colpite dal sisma: gli viene consegnata una medaglia
di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima
linea" alle operazioni.
Svolge indagini sulla misteriosa scomparsa del
giornalista Mauro De Mauro (1970), il quale
poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli
materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei (presidente dell'ENI che
perse la vita in un incidente aereo: il velivolo decollato dalla Sicilia,
precipita mentre si avvicinava all'aereoporto di Linate). Le indagini vengono
svolte un una importante collaborazione fra Carabinieri e Polizia; il capo
della Polizia preposto è Boris Giuliano, in seguito ucciso dalla
mafia.
Nel 1973 Dalla Chiesa è promosso al grado di generale di
brigata. Un anno dopo è comandante della regione militare del nord-ovest, che
opera su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria. Seleziona una decina di ufficiali
dell'arma per creare una struttura antiterrorismo (la cui base è a Torino): nel
settembre del 1974 a Pinerolo cattura Renato Curcio e Alberto
Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse, grazie anche
all'infiltrazione di Silvano Girotto, chiamato anche "frate mitra".
Il governo del paese gli affida poteri speciali: viene
nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la
lotta al terrorismo, una sorta di reparto speciale del ministero dell'interno,
creato proprio per contrastare il fenomeno delle Brigate rosse che in
quegli anni imperversava, con un riferimento particolare alla ricerca
investigativa dei responsabili dell'assassinio di Aldo Moro.
Grazie a Dalla Chiesa e ai suoi solleciti al governo del
paese, in questo periodo viene formalizzata la figura giuridica del pentito.
Facendo leva sul pentitismo, senza tralasciare le azioni di infiltrazione e
spionaggio, arriva ad individuare ed arrestare gli esecutori materiali degli
omicidi di Aldo Moro e della sua scorta, oltre che
arrestare centinaia di fiancheggiatori. Grazie al suo operato viene
riconsegnata all'Arma dei carabinieri una rinnovata fiducia popolare.
Seppur coinvolto in vicende che lo scuotono, alla fine del
1981 diviene vice comandante generale dell'Arma, come già fu il padre Romano in
passato. Fra le polemiche prosegue il suo lavoro, confermando e consolidando la
sua immagine pubblica di ufficiale integerrimo.
All'inizio del mese di aprile del 1982 Dalla Chiesa scrive
al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini queste parole: "la corrente
democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la
"famiglia politica" più inquinata da contaminazioni mafiose". Un
mese dopo viene improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo per
contrastare l'insorgere dell'emergenza mafia, mentre il proseguo delle
indagini sui terroristi passa in altre mani.
A Palermo lamenta più volte la carenza di sostegno da parte
dello stato; emblematica e carica di amarezza rimane la sua frase: "Mi
mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì".
Chiede di incontrare Giorgio Bocca, uno dei giornalisti più importanti del
periodo, per lanciare attraverso i media un messaggio allo stato, un messaggio
che ha come obiettivo la richiesta di aiuto e sostegno da parte dello stato.
Nell'intervista (7 agosto 1982) c'è la presa d'atto del fallimento dello Stato
nella battaglia contro Cosa Nostra, delle connivenze e delle complicità che
hanno consentito alla mafia di agire indisturbata per anni.
Di fatto la pubblicazione dell'articolo di Bocca non
suscita la reazione dello stato bensì quella della mafia che aveva già nel
mirino il generale carabiniere.
E' la sera del 3 settembre 1982, Carlo Alberto Dalla Chiesa
è seduto al fianco della giovane seconda moglie Emanuela Setti Carraro, la quale è alla guida di una A112: in via Carini
a Palermo, l'auto viene affiancata da una BMW con a bordo Antonino Madonia e
Calogero Ganci (in seguito pentito), i quali fanno fuoco attraverso il parabrezza,
con un fucile kalashnikov AK-47.
Nello stesso istante l'auto con a bordo Domenico Russo,
autista e agente di scorta del prefetto Dalla Chiesa, veniva affiancata da una
motocicletta guidata da Pino Greco, che lo fredda.
Le carte relative al sequestro di Aldo
Moro, che Dalla Chiesa aveva portato con sé a Palermo, dopo la sua morte
svaniscono: non è stato accertato se sono state sottratte in via Carini o se
trafugate nei suoi uffici.
Carlo Alberto Dalla Chiesa viene insignito della Medaglia
d'Oro al valor civile alla memoria, con queste parole:
"Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale
dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità
organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di
respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni
mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente
trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia,
sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso
del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e
della violenza di quanti voleva combattere".
Se è vero che le istituzioni non sono state presenti nel suo
momento del bisogno e questa pesante assenza è addirittura gravata sui
familiari a partire dall'immediato periodo successivo alla morte, a ricordare
alle generazioni il valore civile di questo importante personaggio italiano vi
sono oggi in tutto il paese innumerevoli simboli di riconoscenza come
monumenti, intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi.
Non piangere perchè è finito,
sorridi perchè è successo
(Gabriel Garcìa Màrquez)
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