San Fratello nel primo Novecento, nelle memorie del pittore Alfred Crimi, un sanfratellano di talento

 


di Giuseppe Foti.

Le attività di ricerca sono, per loro natura, piuttosto impegnative, anche se la curiosità che le alimenta ne ha fatto un oggetto di innamoramento. Le difficoltà diventano, tuttavia, minuscole quando capisci di osservare, per la prima volta, un fenomeno che non ti era noto, quando comprendi di essere davanti ad una scoperta. Questo, per me, l’incontro con la figura del pittore italo-americano Alfred Crimi, nato a San Fratello il primo dicembre del 1900, ottavo degli undici figli di Filadelfio e Maria Di Giorgio, emigrato con la sua famiglia a New York all’età di dieci anni e venuto a mancare in quella città nel 1994. Ho incontrato inaspettatamente il suo nome, durante il vaglio di fonti sul dialetto settentrionale di San Fratello. Lavorare su questi materiali è sempre occasione infinita di sorprese. Nel suo “A look back, a step forward: My life story”, con un’intepretazione sostanzialmente corretta che cito alla lettera, Alfred scrive infatti: «San Fratello is a translation from the original italian name, San Filadelfio, changed in the middle ages because of three martyred saintly brothers, Alfio, Filadelfio, and Cirino whose remains were brought there. These are the Patron Saints of San Fratello - “San Frareu” as it is called in the dialect of the town (‘San Fratello è una traduzione dell’originale nome italiano San Filadelfio, cambiato in età medievale, per i tre fratelli santi martiri, Alfio, Filadelfio e Cirino, le cui reliquie furono trasportate in quel luogo. Questi sono i santi patroni di San Fratello – San Frareu come viene chiamato, nel dialetto del paese’)». Scorrendo la sua autobiografia di oltre duecento pagine è scattato un coinvolgimento emotivo che mi ha condotto a pensare che solo continuare a leggere su questo stimato concittadino non mi era più sufficiente. Ho sentito il bisogno di scriverci su qualcosa, con il fine precipuo di evocare alcune immagini del passato sanfratellano e segnalare questa speciale storia. Ciò mi ha dato l’immenso piacere di continuare a cercare sempre più documenti, e ha aggiunto, ad un certo punto, il senso di completezza di poterne cominciare a parlare, in prima persona, con parole mie.

Per il lettore sanfratellano, le memorie di Crimi implicano la rilettura di un periodo antico e suscitano il rimpianto di un passato storico che non c’è più. Risulteranno molto coinvolgenti le pagine iniziali  del suo lungo racconto autobiografico. Nei primi capitoli del testo, l’autore narra, infatti, la propria infanzia, con testimonianze dei luoghi e delle persone dell’epoca, restituendoci la straordinaria possibilità di gettare uno sguardo sulla San Fratello del primissimo Novecento, gli anni in cui gli smottamenti del ‘22 non avevano ancora stravolto un centro fiorente, economicamente vivace e artisticamente ricco, in cui viveva e operava una società stratificata di quasi ventimila persone. Io mi sono però fatto la convinzione che il capitolo più importante del libro, quello che offre la chiave di lettura dell’intero racconto, sia l’ottavo, intitolato significativamente “Americanization” ‘americanizzazione’. Qui Crimi narra le vicende che lo condurranno, non senza difficoltà, ad una  piena integrazione nel paese di immigrazione. Quella del nostro concittadino è infatti una storia paradigmatica di successo, conseguito nel paese che gli consentirà di esprimere e realizzare pienamente il suo estro artistico e la sua personalità. Lo studio dell’artista si trovava nella quattordicesima West Street del Greenwich Village, nel cuore di Manhattan. Con i suoi viali alberati e le tipiche case in mattone rosso, il Village, nel secolo scorso, era il punto di ritrovo di artisti, scrittori e musicisti. La moglie di Alfred, Mary Timpone, fu una pianista. Il fratello Fred e la cognata Sara, erano entrambi musicisti. L’espressività artistica di Alfred Crimi è poco nota in Italia e sconosciuta, per quanto mi è dato di sapere, nel suo paese natio, ma il suo valore, come vedremo a breve, ha lasciato una traccia importante nell’arte americana del XX secolo.  



Prima di riferire sull’artista, cediamo, tuttavia, alla tentazione di concentrarci sul bambino, di seguirne i primi giochi, le corse per le strade del paese, i primi giorni di scuola, e, con i suoi occhi, proviamo a ricostruire il significato delle immagini che più lo colpirono e che, una volta anziano, avrebbe registrato nel suo racconto autobiografico. Alfredo ha circa otto anni, è un bambino vivace, felice, dal carattere estremamente sensibile e con una forte propensione all’osservazione. Il paese in cui cresce è costruito attorno a Roccaforte, lo spuntone roccioso ancora oggi simbolo della tenacia e della resistenza di San Fratello, sulla cui sommità può osservare gli ultimi resti del castello medievale, già segnalato da Edrisi nel 1154 nel Libro di Re Ruggero. La strada provinciale che attraversa l’abitato divide il paese in due sezioni, la parte alta “di nsusa” e la parte bassa “di ngiusa”. I due quartieri sono organizzati ciascuno attorno al proprio cuore pulsante, rappresentato dalle due chiese principali dell’epoca: la Matrice in basso e San Nicola in alto. Come noto, la Matrice andrà completamente distrutta nella frana del 1922, insieme ad altre sedici chiese minori. Dell’antica San Nicola, eretta in prossimità della linea di faglia della frana, resteranno invece il campanile, la canonica con la biblioteca e la navata laterale, ancora visibili ai nostri giorni. L’attenzione di Alfredo è catturata dai piazzali antistanti i due edifici religiosi, pavimentati da piastrelle di marmo policromo e recinti da balaustre che si aprivano su un generoso tratto di costa tirrenca e, più in là, sulle Isole Eolie. Piazza Matrice – scrive Crimi – è la “Times Square” del paese. Posta sul retro della chiesa madre intitolata a Santa Maria, accoglie i prospetti del municipio e del circolo adiacente, in cui benestanti e politici erano soliti godersi la vita del “dolce far niente”. Sulla piazza si affacciano anche i principali empori del paese: la farmacia, la tabaccheria, un caffè, il negozio del barbiere e gli alimentari che rifornivano i bisogni più urgenti degli abitanti. Proprio in piazza Matrice, si consuma spesso uno degli spettacoli che più affascina il piccolo Alfredo. All’ombra del campanile dell’imponente chiesa, nei giorni feriali, erano soliti incontrarsi i ciabattini del paese. Lì, collocavano i propri banchetti di lavoro e, silenziosamente, si sfidavano a progettare e produrre le migliori scarpe. Tracciavano il contorno della scarpa, disegnando il profilo del piede del cliente, poggiato direttamente sul cuoio, tenuto immerso in secchi d’acqua che lo rendeva più morbido e lavorabile. Alfredo era affascinato dalla manualità di quegli artigiani e restava ad osservarli per ore. La domenica, i due piazzali diventano il luogo di incontro di commercianti, pastori e contadini che nei giorni feriali lavoravano dall’alba al tramonto. Dopo le funzioni religiose, si è anche soliti parlare d’affari. 


Si sfoggiano gli abiti migliori. Gli uomini indossano abiti neri, in velluto a coste, con gilet a tasche obblique. L’attenzione di Alfredo è catturata da alcuni contadini più anziani che indossano l’abito buono, di foggia più antica, a suo dire settecentesca. Una giacca corta e arrotondata agli angoli, percorsa da un bordino di seta che delimita anche il collo e dei pantaloni che si fermano al ginocchio, e si concludono con  un’apertura ai lati, decorata da quattro bottoni. I polpacci sono fasciati da lunghe calze che arrivano al ginocchio. Le donne del popolo indossano più gonne sovrapposte, bordate da fasce colorate sull’orlo interno che danno loro l’aspetto di un pittoresco pavone, quando sollevano sulla testa la gonna superiore, per ripararsi dal sole. Quando vanno alle funzioni religiose, indossano scialli sulle teste. Anche le donne più agiate, vestono i medesimi abiti, ma in tessuti più preziosi e abbelliti da ricami. Al posto dello scialle, “u firiò” ‘il ferraiolo’, un lungo mantello di lana nero che, drappeggiato sulle loro teste e ripiegato sotto le braccia, creando belle pieghe fluenti, dà loro – scrive Alfredo – l’austera dignità delle madonne rinascimentali. La casa di Alfredo è in Via San Giacomo, nei pressi della Matrice. È un modesta abitazione, formata da due stanze e un sottotetto. Da una scala esterna in pietra che si conclude in un ballatoio, si accede al piccolo vestibolo dal quale si entra nella stanza principale, un soggiorno che fungeva da sala da pranzo e camera da letto. Tra i pochi mobili, una grande cassapanca per riporre la biancheria e un tavolo al centro della stanza, con poche sedie sparse contro le pareti, sulle quali erano appesi quadri di madonne e santi. Il bambino va a scuola nelle aule ricavate all’interno del Convento. L’ex monastero francescano di San Fratello, oggi ben conservato e sede dell’attuale chiesa madre del paese, ospitava la scuola maschile dell’epoca. Alfredo ricorda il colonnato del chiostro, lungo il quale ammira le lunette affrescate e al cui centro può osservare il pozzo in pietra scolpita. Nella grande piazza all’esterno dell’edificio, ricorda ancora i resti di cappelle che contenevano gli affreschi delle stazioni della Via Crucis, lasciate però in rovina a partire dagli eventi succeduti al 1860. Come moltissimi dei suoi coetanei, Alfredo trascorre il tempo libero dall’impegno scolastico, nel lavoro di apprendista presso un artigiano del paese, un falegname nel suo caso. Anche questo lavoro istruirà il fanciullo nella cura e nell’impegno certosino di cui necessita la realizzazione di un manufatto. Qui è opportuno pure riferire di alcuni concittadini di quel primo Novecento, citati per nome dall’autore, che desteranno l’attenzione dei lettori sanfratellani. Alfredo ci racconta di padre Conforto, arciprete della Matrice, che ricorda per la solidarietà mostrata nei confronti della sua famiglia. Durante la costruzione della casa di campagna, il 10 maggio 1908, avviene infatti l’evento tragico che spingerà in seguito la famiglia a lasciare San Fratello per New York. Il fratello maggiore di Alfredo, Benedetto Crimi di ventitrè anni, il pilastro su cui la famiglia faceva pieno affidamento, muore nell’esplosione accidentale di una carica di dinamite. Padre Conforto, dopo il funerale, si premurerà di coordinare il lavoro di un gruppo di volontari, guidati da Giuseppe Cassarà, maestro scalpellino e collega di Benedetto. Questi aiuteranno Filadelfio nei lavori di ultimazione della casa rurale. Altra figura di spicco è quella del professore Ernesto Vasquez, il primo insegnante di Crimi, cognome di un’importante famiglia sanfratellana, ormai assente dai registri anagrafici attuali, la cui memoria è cristallizzata nel toponimo popolare dell’attuale Via Aluntina di San Fratello: “la casta di Väsquas”, ‘la salita di Vasquez” appunto, come mi ha recentemente ricordato il professore don Ciro Versaci. 


Il Generale Antonino Di Giorgio, Ministro della Guerra tra il 1924 e il 1925, era invece amico di infanzia del padre di Alfredo. Crimi gli farà visita nel 1930, nella sua residenza romana. Dell’illustre concittadino, Alfred ricorda l’aristocratica affabilità e il sincero piacere provato nel ricevere notizie del vecchio amico di infanzia. «Quando tornerai in America, non dimenticare di chiedere a tuo padre se si ricorda di quando, da piccoli, andavamo negli orti sotto la Matrice, a rubare lattughe», raccomanda, congedandosi, Di Giorgio a Crimi. Impossibile, in questa sede continuare a riferire la ricca messe di notizie che il racconto dell’autore ci ha trasmesso, i lettori più curiosi potranno approfondire, leggendo il testo originale.



Occorre, invece, tornare ad osservare l’artista, notando subito come l’opera di Crimi ricopra un ruolo centrale nella rappresentazione della storia culturale americana del ‘900, illustrata in una serie di murales che campeggiano in numerosi edifici statunitensi. Ampliando la consultazione delle fonti, oltre l’autobiografia, abbiamo conferma di trovarci davanti ad un pittore di valore. 


Partendo dall’archivio del Center for Migrations Studies di New York, è piuttosto agevole trovare riferimenti all’opera di Alfred Crimi nei siti di molte Università americane che conservano suoi dipinti e negli articoli di riviste del settore (vedi in particolare, Giulia Papale, Bollettino Telematico dell’Arte, n. 828, 13 gennaio 2017). Scopriamo così come, a partire dal 1934, Crimi ricevette importanti commissioni governative, vincendo concorsi nazionali, in seno al programma del WPA, l’agenzia che si occupava di sostenere le arti americane, nell’ambito del New Deal del presidente Roosvelt. Risale al 1935 l’aggiudicamento del primo importante lavoro, l’affresco per l’Aquarium di Key West, in Florida. L’anno seguente, Crimi realizza l’affresco “Modern surgery and anaesthesia”, per la Medical Board Room dell’ospedale di Harlem. L’opera è stata oggetto di un recente restauro (2012), nel corso del quale è stata rimossa dalla sua sede originaria e ricollocata in un nuovo padiglione dedicato ai dipinti murali all’interno dell’ospedale, reso accessibile al pubblico, in uno spazio in cui l’Harlem Hospital stesso è diventato un luogo espositivo. La maestria di Crimi nella tecnica dell’affresco deriva, oltre che dallo spiccato talento, dal periodo di studi alla Scuola preparatoria alle arti ornamentali in Roma, dove si recò nel 1929, per approfondire la sua formazione. Qui, sotto la guida del restauratore Tito Venturini Papari, apprese le tecniche dell’affresco e dell’encausto. In effetti, la personalità artistica di Crimi troverà un canale privilegiato nelle opere di muralistica, nelle quali il potere evocativo del suo tratto, connota la rappresentazione delle scene di vita sociale e politica della comunità americana. 

Altri due grandi murales, Trasportation of the mail e Post office work room, del 1937, si trovano all’interno del  William Jefferson Clinton Federal Building di Washington, il monumentale complesso architettonico di stile neoclassico che fino agli anni ’70 del Novecento ospitò la direzione dei servizi postali statunitensi e che oggi è invece sede dell’EPA, l’agenzia americana per la tutela ambientale. Entrambe le opere celebrano l’importanza delle comunicazioni, assicurate dal moderno servizio postale dell’epoca. La descrizione della consegna della posta e della sala di lavoro dell’ufficio postale è molto minuziosa.  Le cronache raccontano che Crimi lavorava fino a 14 ore al giorno, interagendo con gli impiegati postali che popolavano l’ambiente stesso in cui si realizzava l’opera e che commentavano e interrogavano il suo lavoro in tempo reale. Vanno qui ricordati anche “The spreading of the Gospel”, affresco religioso per l’abside della chiesa presbiteriana di Rutger in New York, e “Work, Religion and Education”, un’illustrazione celebrativa che si trovava nell’edificio dell’ufficio postale di Northampton in Massachusetts, oggi reinstallata nel tribunale della stessa città. La funzione pubblica dei grandi murales di Crimi ha dei punti di contatto con le opere del coevo muralismo messicano, il nostro fu anche amico del pittore Diego Rivera, ma assumono un significato del tutto personale. Il messaggio delle sue opere va sfrondato dalla valenza di denuncia sociale, rientrando piuttosto in un’ottica celebrativa. La rilevanza delle opere, sul piano politico e culturale, è nel soggetto ritratto e nel linguaggio pittorico che esalta il “valore americano”, nel rispetto della propria identità culturale.




Il contributo di Crimi all’arte americana del XX secolo non passa soltanto attraverso le opere di muralistica, né si concretizza esclusivamente nell’attività pittorica. L’artista continuò a dipingere per tutta la vita, esponendo in musei e gallerie di New York e non si limitò a produrre opere, ma insegnò arte. Fu docente al Pratt Institute (1948-1952) e al City College di New York (1947) e tenne corsi nella Pennsylvania State University, oltre a fornire lezioni private di pittura e disegno. La serie dei suoi dipinti, si può idealmente ordinare lungo un percorso cronologico che evidenzia lo sviluppo concettuale del pittore, dal realismo al modernismo fino all’astrattismo. 


Nell’ultima parte della sua carriera, divenne uno dei primi pittori ad adottare l’approccio geometrico astratto nei suoi dipinti. Il suo lascito è catalogato nei ricchi archivi del CMS (Center for Migratios Studies) di New York. Il fondo comprende: materiale biografico (appunti personali, le bozze dell’autobiografia); l’epistolario (lettere ai familiari, scambi col compositore Paul Criston, una lettera di Arturo Toscanini, scambi con i critici John Canaday, William Hannon e Hilton Kramer); articoli e recensioni; raccolte di fotografie; raccolta delle lezioni e del materiali didattico utilizzato come docente; documenti dell’Associazione “Artists’ Equity Association” di cui fu direttore; inventari dei dipinti donati a musei ed università americane. Opere di Crimi sono oggi conservate allo Smithsonian American Art Museum di Washington e nella Art Gallery dell’Università del Maryland. Un fondo sull’autore è stato attivato nella libreria della Syracuse University, a Syracuse nello Stato di New York. Lunghissimo l’elenco dei premi conseguito nell’arco dell’intera carriera.
Lo iato tra la consistente produzione artistica di Crimi e la sua scarsissima notorietà nel paese natale stimola più di una riflessione, credo non solo in chi scrive. È giusto, quindi, augurarsi che la sua opera e la sua figura possano essere meglio conosciute, grazie allo studio di chi si interessa di arte, o alla curiosità di quanti vorranno approfondire. Mi sembra, al contempo, legittimo auspicare che qualche sua opera possa trovare collocazione in uno degli edifici pubblici di San Fratello, il nido che l’autore non ha mai smesso di amare, come si può chiaramente evincere dalla sua autobiografia.

La custodia della memoria e il riconoscimento verso i sanfratellani che, con l’impegno di una vita, hanno lasciato segni originali e costruttivi, in grado di elevare il prestigio del paese è forse il modo più efficace per investire sul futuro, consolidando la fiducia nella cultura locale. In quest’alveo si formano e si consolidano i valori più alti di quella che chiamiamo “identità”, il tratto distintivo ed unico con il quale, da sanfratellani, ci apriamo al mondo, come ieri seppe fare Alfred Crimi. A conclusione, vale citare ancora poche sue beneaugranti parole. Alfred le scrisse nel 1930, tornando in una San Fratello in cui le lacerazioni della frana del ’22 mostravano ancora i loro sconvolgenti effetti; noi le citiamo a dieci anni da nuovi dissesti che hanno lasciato nel paese ferite, forse, meno profonde, ma altrettanto dolorose: «In spite of this, San Fratello continues to flourish today», ‘Nonostante tutto questo, San Fratello continua a fiorire ancora oggi’.


Commenti