Gli arabi in Sicilia



All'impresa di Messina ci andò FADHL IBN GIÀFAR, della tribù di Hamadán. I messinesi si difesero eroicamente per un anno intero respingendo i continui e vigorosi assalti del nemico e solo nell'autunno dell'843 la città - i difensori presi alle spalle da una schiera saracena mentre tentavano di ricacciare il resto dell'esercito musulmano che li assaliva dalla marina - fu espugnata.
Dopo la conquista di Messina la parte della Sicilia presa di mira dalle armi dei musulmani fu l'orientale, quella che più tardi si denominò Val di Noto. Nell'845 Modica cadeva in potere degli invasori e nello stesso anno, come pare, i Musulmani, capitanati da ABBÁS IBN-FADHL, procurarono una clamorosa disfatta nei pressi di Butera ad un esercito bizantino che lasciò nella fuga circa diecimila uomini. L'anno dopo, Fadhl ibn-Giàfar attirava in un agguato abilmente teso i difensori di Lentini e s'impadroniva della città, mentre nell'848 si arrendeva Ragusa ch'ebbe le mura abbattute.


Il 17 di gennaio dell'851 moriva a Palermo ABU '1-AGHLAB IBRAHIM. "Senza uscire mai dalla capitale - scrive Michele Amari - Ibrahim in tutto quel tempo da Palermo aveva condotto la guerra, attraverso i suoi luogotenenti; disegnato con perizia le imprese; dato riputazione alle forze navali; dove andare ad infestare le coste dell'Italia meridionale; fatto percorrere ai suoi uomini l'isola da un capo all'altro; e se alcuni erano riusciti a difendersi in quelle città dove esistevano poderose fortezze, nelle altre, nessuna persona era sicura se non pagava la taglia ai Musulmani".

Era il "pizzu"; all'incirca un dieci per cento su ogni cosa; solo così si era liberi di operare, nelle vendite, nei vari affari, nelle produzioni di beni o svolgere servizi. Senza essere più ossessionati d'altri balzelli, anzi si era protetti da quelle angherie che avevano fatto odiare gli avidi funzionari bizantini per qualche secolo, senza mai nulla dare in cambio né loro né Costantinopoli.

Oltre questi meriti, Ibrahim meritò lode non minore nelle cose della pace; era un uomo che leggeva molti testi d'autori arabi e antichi; possedeva una ricca biblioteca, e forse proprio per questo motivo, per una sua profonda conoscenza di cose di governo, che reggeva con saggezza il territorio. Non lo affermano solo i testi arabi, ma ci sono molte altre recenti testimonianze e tanti fatti storici che lo attestano, anche se nei secoli successivi dopo la loro rovina ogni cosa fu stravolta, se non della tutta eliminata, dalle cronache della storia.

Con Ibrahim a Palermo c'era - si diceva- "la tranquillità in casa, la vittoria fuori".
Questa pace, questa saggezza negli affari, l'equità nei giudizi, attiravano nella capitale sempre nuova gente; e presto diventò grande non solo l'esercito, ma il mondo musulmano di Palermo, una città che per oltre due secoli fu molto diversa da tutte le altre città Europee; era diventata il "fiore", in arabo l'"Aziz" del Mediterraneo, e lo dicevano loro, i viaggiatori arabi che già conoscevano ogni parte del mondo, e le rotte marine dall'Atlantico alla Cina.

Gli Arabi incrementarono notevolmente l'agricoltura arricchendola di nuovi metodi e di nuove forme. Oggi siamo abituati a guardare alla Sicilia come alla terra delle arance e dei limoni, ma furono gli Arabi i primi a introdurre queste colture e con essi frutti squisiti come la pesca, l'albicocca, ortaggi delicati come gli asparagi ed i carciofi; altre coltivazioni ancora come il cotone, il carrubo, il riso, il pistacchio, le melanzane. E moltissimi nuovi fiori da cui ancora oggi si ricavano l'essenza per i profumi, poi le spezie come lo zafferano, il garofano, la cannella, lo zenzero, sono stati tutti portati dagli Arabi. Poi Insegnarono a produrre le paste alimentari secche, il sorbetto, i dolci, il pane con il livito naturale, e pefino i torroni ("tirru-ni" fatti di mandorle e zucchero.

Le loro maestranze portarono una nuova tecnica nella costruzione delle case, svilupparono - loro che erano esperti nel cercare le acque nei deserti - un metodo nuovo per i siciliani per sollevare l'acqua dai pozzi e irrigare cosi i campi. E costruirono pure numerosi mulini adibiti alla macinazione del grano.

Nelle memorie dunque della Sicilia musulmana il nome di IBRAHIM è degno di essere collegato con quello di ASED IBN-FORÀT: due valorosi vecchi: dei quali è stato scritto "il giurista con impeto e furore principiò il conquistato, e il guerriero con il suo senno lo consolidò".

A Ibrahim lui successe ABBÁS IBN-FADHL, il vincitore dei Bizantini presso Butera, che nella seconda metà dell'851 metteva a soqquadro il contado di Caltavuturo e nell'852 quello di Castrogiovanni. Abbás fu uno dei più feroci e valorosi condottieri musulmani di Sicilia. Non si riposava mai: i territori di Castrogiovanni, Catania, Siracusa, Noto, Ragusa furono da lui più volte percorsi, in lungo e in largo. Era il terrore della Sicilia bizantina, che lo vedeva andare da un punto all'altro, tagliar le piante, abbatter le mura delle terre conquistate e poi tirarsi dietro, verso Palermo, eserciti di prigionieri.
Seimila ne portò a Palermo nell'853 da Butera caduta in suo potere, e molti da moltissimi altre città; e non fu da meno suo fratello Ali con le sue scorrerie nell'856.
Nell''858 della popolazione bizantina di Gagliano, espugnata dopo due mesi di assedio, solo duecento persone furono lasciate libere: il resto fu condotta in schiavitù a Palermo e lì venduta.
Oltre Gagliano e Butera, parecchie altre città furono assediate e si arresero: fra queste Cefalù che fu smantellata, ma lasciarono liberi i cittadini. Né solo dentro la Sicilia portò Abbás le sue armi vittoriose e la sua ferocia terribile: nell'853, per vendicare la morte di un capo musulmano, come diremo in seguito, sbarcò sulle coste del ducato beneventano e vi sfogò la sua rabbia sanguinosa; diversa sorte incontrò il fratello Ali che spinto dal vento nel Mediterraneo orientale mentre una flotta tentava forse una scorreria nella Calabria e nelle Puglie, incontrata un'armata bizantina e venuto a battaglia, perse dieci navi (858).

La conquista della fortissima Castrogiovanni fu l'impresa più famosa di Abbás, che qui ci piace riprendere dai testi di MICHELE AMARI.
"Era l'inverno dell'859; da una scorreria musulmana nel contado di Castrogiovanni era stato condotto, fra gli altri prigionieri, a Palermo un uomo di famiglia molto nota, ma ribelle. Abbás comandò che fosse messo a morte ma il prigioniero gli si avvicinò e con patrizia disinvoltura "Lasciami la vita - gli disse - e ti comunicherò una buona notizia che fa per te" . "Quale ?" gli chiese l'emiro dopo averlo preso da parte; " Io ti darò in mano Castrogiovanni. Quest'inverno -proseguì -fra queste nevi, il presidio non si aspetta assalti e fa male la guardia; quindi se vuoi tu mandare una parte dell'esercito, saprò io dove farlo entrare a Castrogiovanni" - Abbás acconsentì; scelti mille cavalli e settecento uomini dei più validi li spartì in drappelli di dieci uomini; mise un capo a ciascun drappello, preparò ogni cosa in gran segreto e guidando lui stesso la spedizione, usci nottetempo dalla capitale. Evitò, la solita via di Caltavuturo, aspra e difficilissima in inverno, che si snoda da Palermo a Castrogiovanni a levante; e seguì l'altra strada più lunga e agevole che conduce a Caltanissetta, città a sedici miglia dall'insidiata rocca. Si legge che Abbas sostasse in una zona di montagna con un lago, forse lago Pergusa, lontano cinque miglia a sud da Costrogiovanni; e si deve supporre la successiva fermata a Caltanissetta ovvero a Pietraperzia, un paese vicino. Vi rimase in agguato con il grosso delle truppe, mentre inviava a compiere l'azione più ardua Ribbáh con gli uomini più abili e forti, che si mossero senza far rumore durante notte, portandosi dietro in catene il traditore cristiano e facendolo camminare sempre sorvegliato a vista. Costui arrivato ad un certo punto, dov'era un costone di rocce, disse che bisognava salire con alcuni uomini per quella difficile parete, e che proprio per questo, mai controllata dalle sentinelle, mentre il grosso degli uomini di Abbas dovevano portarsi sulla parte settentrionale del monte di Castrogiovanni, nascondersi e intervenire solo quando avrebbero visto aprire la porta della rocca. Ribbàh, seguendo il traditore cominciò ad arrampicarsi su per l'erta finché si trovò sotto la cittadella; Era giunta l'alba, quell'ora fatale quando passato il pericolo della notte, le sentinelle si rilassano o si danno al sonno. Il traditore condusse allora i Musulmani all'entrata di un acquedotto che si apriva sotto le mura; vi entrarono e rividero il cielo dentro la fortezza. Si avventarono sui Bizantini; uccisero tutti quelli che si facevano avanti poi aprirono le porte. Abbás in attesa, a quel punto spronò i suoi uomini all'invasione; entrò nella rocca allo spuntar del sole, l'ora della prece mattutina dei Musulmani, il quindici scewàl dell'anno 244 dell'era maomettana, il 24 gennaio 859 dell'era cristiana). A nessuno dei soldati cristiani fu risparmiata la vita. Figliuoli di principi, aggiunge la cronica, furono fatti prigionieri; così le donzelle patrizie con i loro gioielli; un bottino che era così tanto che non si poteva quasi contare. Abbás immediatamente fece costruire una moschea; fece innalzare una ringhiera; e vi salì il successivo venerdì, il "dì dell'unione", come lo chiamano i Musulmani, perché i loro teologi affermano che si sono uniti insieme gli elementi del mondo. Il feroce condottiero, fra i corpi della strage, il pianto delle vittime, le grida e gli eccessi dei vincitori, arringava i suoi attribuendo ad Alláh la vittoria di Castrogiovanni.

Questa vittoria, la si ricordò fra le più famose vittorie del tempo; e tanta fu la gioia dei Musulmani quel giorno, che, dimenticando perfino le gelosie di Stato, l'emiro di Sicilia inviò alcune "belle ricchezze" materiali e umane, al principe aghlabita d'Africa; per scegliere le gemme più preziose e le donne e i fanciulli fatti prigionieri, e farne un regalo al Califfo di Bagdad…".

La presa di Castrogiovanni fu un duro colpo per i Siciliani che consideravano questa città inespugnabile e si preoccuparono talmente alle sorti del resto dell'isola da spingerli a ritornare a Costantinopoli implorando la corte a fare uno sforzo contro gli Arabi.
Trecento navi cariche di armati mossero nell'autunno dell'859 o nell'estate dell'860 verso Siracusa e sbarcato qui l'esercito, puntò verso il nord dell'isola; ma Abbás, uscito da Palermo, andò incontro ai Bizantini, li sconfisse, li insegui fino alle coste settentrionali dove la flotta greca si era messa alla fonda, fece una grande strage di nemîci e catturò cento navi.


L'arrivo dei Bizantini aveva scatenato a ribellarsi parecchie città siciliane che ai musulmani avevano già promesso obbedienza e il pizzu, Platani, Caltabellotta, Caltavuturo, Sutera, Avola e molte altre ancora, che misero su un esercito raccogliticcio e si opposero alle agguerrite truppe di Abbás, giunte tra l'860 e l'861 a fare la repressione. L'esercito isolano fu battuto e alcune città dovettero aprire le porte; ma Platani, assediata, tenne eroicamente testa al nemico, il quale, saputo che un esercito bizantino marciava contro Palermo, levò l'assedio, gli andò contro e nelle vicinanze di Cefalù lo sconfisse costringendolo a ritirarsi malconcio verso Siracusa.

Il 13 agosto 861, alle Grotte, tornando da una scorreria fatta nel territorio siracusano, Abbàs moriva, dopo undici anni di continue guerre. Si era reso per la sua ferocia tanto odioso ai Siciliani, che questi, appena la nave ammiraglia nemica parti per la capitale, dissotterrarono il cadavere del guerriero, che con tanta pompa era stato sepolto, e lo diedero alle fiamme.

Ad Abbás successe lo zio AHMED IBN-JAKUB, ma che nel febbraio dell'862 fu sostituito da ABDALLAH, figlio di Abbás. Non essendo questi ben visto a Cairuàn, fu mandato dall'Africa in Sicilia come luogotenente, - nel giugno di quel medesimo anno, il prode KHAFÀGIA IBN-SOFIÀN.
Sotto di lui, nell'864, cadde per tradimento in potere dei Musulmani la città di Noto e più tardi, dopo non breve assedio, Scicli. Nell'866 fu presa Troina e gli abitanti portati via come schiavi; Noto che si era ribellata fu di nuovo espugnata e la stessa sorte subiva Ragusa. Due anni dopo, nell'estate dell'868 un esercito bizantino subiva presso Siracusa una sanguinosa sconfitta e poco mancava che nel gennaio dell'anno seguente Taormina non cadesse in potere degli Arabi per un colpo di mano.

Quella fu l'ultima vittoria di Khafágia: il 15 giugno dell'869, tornando da Siracusa che invano ancora una volta aveva assediato e presso la quale il figlio Mohammed era stato messo in fuga, in riva al fiume Dittàino fu ucciso a tradimento con un colpo di lancia da un berbero. E la stessa sorte del padre toccò il figlio Mohammed, che gli successe nel governo, lo uccisero i suoi servi a Palermo il 27 maggio dell'871; e nello stesso anno cessava di vivere Ribbàh, il conquistatore di Castrogiovanni, che la corte aghlabita aveva messo al governo della Sicilia musulmana.

Commenti