La festa dei giudei di
San Fratello
[pubblicato sul n. 7 di “Pagnocco”,
gennaio aprile 2006 – Messina]
I “giudei” di San Fratello: dalla
ritualità allo spettacolo.
di Benedetto Di Pietro
0. La ricorrenza
della Settimana Santa a San Fratello è un’occasione per assistere alla “Festa
dei giudei”. Si tratta di una baraonda paesana che dura tre giorni, dal
mercoledì al venerdì, e che vede scorrazzare per le vie del paese individui
giovani e giovanissimi che indossano un costume composto da calzoni e giubba, questa
finemente lavorata con lustrini, e un cappuccio (sbirijàn) sul quale
generalmente è riportato il simbolo della croce sia sulla fronte sia sopra una
lunga lingua esterna di cuoio.
Il cappuccio finisce a punta, seguendo il dorso,
dalla quale si parte una lunga coda animalesca, che arriva fino ai polpacci. Un
grappolo di catene (displina) viene portato legato ad un polso. Molti calzano
ai piedi scarpette da tennis, altri sono rimasti legati alla tradizione
calzando un paio di cioce in pelle grezza di bue, le cosiddette schièrpi
di pièu. Oggi tutti sono muniti di tromba a pistone unico; sul capo portano un
elmetto, sormontato da un uncino associato ad una “lanterna” rosso-blu da
carabiniere, sul quale sono dipinti soggetti dell’attualità, oltre al simbolo
della croce.
1. Ipotesi sull’origine.
Si è scritto molto sulla
possibile origine della “Festa dei giudei” di San Fratello, facendola risalire
alle sacre rappresentazioni medievali, e associandola anche a ciò che è rimasto
di feste pagane. Sicuramente la prima ipotesi è vera in quanto le sacre
rappresentazioni esistono tuttora e in particolare in Sicilia; mentre la
seconda non essendo verificabile, rimane a livello di sola ipotesi.
Mi sono sempre domandato: come
mai in altre città durante le rappresentazioni legate alla Settimana santa sono
presenti dei figuranti vestiti da soldati dell’antica Roma che accompagnano
Cristo al patibolo, come vuole l’iconografia tradizionale, mentre a San
Fratello si vorrebbe che i cosiddetti “giudei” siano una variante di tali
soldati, vestiti come ho detto più sopra?
E che bisogno ci sarebbe di dovere
occultare proprio il viso con un cappuccio per giunta disegnato in maniera tale
da simulare uno sberleffo?
Ai bambini si raccontava che il demonio, con tanto
di coda, è di colore rosso, come le fiamme dell’inferno, così pure
il monachetto, un folletto che molti vecchi del passato avrebbero giurato
di incontrare per le contrade sanfratellane, sarebbe munito di casacca e
cappuccio rossi. È così che noi bambini ce li sognavamo. Si tratta dunque di
associazioni oniriche legate alla tipizzazione medievale dell’inferno?
E poi,
cosa c’entrano i giudei se Gesù verso il Calvario fu scortato dai soldati
romani?
Una serie di domande che poco riscontro hanno con i “giudei” della
festa sanfratellana. Allora cerchiamo di tornare nel
Medioevo, per vedere cosa avviene nella Spagna governata dagli Aragonesi.
Tra
il 1302 e il 1335, a
Girona, Barcellona e Valencia, città in cui sono presenti le più importanti
comunità ebraiche del Regno di Aragona, hanno luogo atti di violenza a seguito
delle celebrazioni del Venerdì santo. Carlo Susa [1] sostiene
che “Secondo alcuni storici il fatto
che questi atti di violenza seguissero immediatamente le celebrazioni del
venerdì santo in cui i fedeli rivivevano la Passione di Cristo, porta a pensare
che la violenza fosse parte integrante del rito.
In questo senso i riti della
Settimana santa avrebbero codificato una ‘struttura rituale’, in cui i
cristiani si rendevano protagonisti di una sorta di ‘semi-linciaggio’ o
‘semi-lapidazione’ per punire i responsabili della morte di Cristo, che avrebbe
poi portato alla sistematica colpevolizzazione del popolo ebraico e alle
conseguenti esplosioni di violenza contro gli ebrei degli anni successivi.”
Si tratta dei cosiddetti
“disordini pasquali” frequenti anche in città italiane e controllati dalle
autorità che dispiegavano le forze dell’ordine al fine impedire assalti alle
giudecche [2].
Siamo in un periodo in cui, in Europa, gli ebrei sono oggetto di violenze da
parte dei cristiani durante le feste natalizie e pasquali, ma anche nel periodo
di carnevale e in occasione delle festività mariane. Durante tali ricorrenze si
verificano saccheggi, danneggiamenti e in special modo sassaiole contro gli
ebrei e i loro beni.
Lo storico americano David Niremberg [3] dimostra
che tali atti di violenza, diffusi in tutto il territorio iberico, hanno natura
rituale e le sassaiole sono parte integrante dei riti del Venerdì santo, quindi
anche negli anni precedenti a quelli in cui accaddero i fatti più gravi nelle
città menzionate più sopra. Tali sassaiole erano dunque una consuetudine e
provocavano danni reali, ma la loro entità era limitata essendo controllata
dalle autorità.
Ariel Toaff [4] analizza
il fenomeno delle sassaiole pasquali in Italia, dimostrando che il fenomeno era
molto diffuso sul territorio italiano e che nello stato pontificio aveva
perfino il patrocinio delle autorità: “Per convogliare la violenza su
binari controllabili, rendendola in gran parte inoffensiva, molti comuni
italiani avevano scelto di far ricorso alla cosiddetta ‘sassaiola santa’,
seguendo un copione preordinato e rigido, che non lasciava spazio alle
deleterie improvvisazioni”.
Sappiamo che le Sacre
rappresentazioni, in origine spontanee, sono frutto del connubio
tra laudi emisteri, e che con esse ha origine il teatro all’interno
del rito religioso. Qui la violenza da reale diviene simulata, quindi anche le
sassaiole non saranno più fatte con sassi veri, ma con frutta e gli ebrei veri
saranno sostituiti da figuranti, i cosiddetti “giudei”.
2. La funzione del
cappuccio.
L’uso del cappuccio pare sia nato
in Italia intorno al sec. XII ad opera di confraternite di penitenti che, in
maniera anonima, durante la Settimana santa giravano flagellandosi con catene
in espiazione dei propri peccati. Dall’Italia l’uso del cappuccio arrivò in
Spagna, anche qui inizialmente portato dai penitenti, o nazarenos, che
precedevano le processioni, ma successivamente venne usato dall’Inquisizione
obbligando gruppi di ebrei a indossarlo durante le rappresentazioni della
Settimana santa per ridicolizzarli e identificarli come simboli del male. Il
cappuccio pertanto adempiva ad una duplice funzione: da una parte mantenere
l’anonimato di chi lo indossava e dall’altra permettere al popolo di
identificare più facilmente gli indossatori e quindi renderli bersagli più
visibili da colpire durante le sassaiole.
Il cappuccio indossato oggi dai
“giudei” di San Fratello non dovrebbe essere tanto diverso da quello imposto
agli ebrei dall’Inquisizione spagnola. Intanto l’indumento doveva essere brutto
da fare ribrezzo e il popolo, nella sua profonda meditazione, doveva vedere nei
“giudei” coloro che si erano macchiati di peccati imperdonabili. Inoltre,
doveva ostentare un aspetto di scherno, riscontrabile in uno sberleffo, che in
maniera esplicita fosse rivolto ai cristiani, un concetto questo affidato alla
lingua di cuoio sulla quale è raffigurato il loro simbolo, equivalente quindi a
parlar male della croce.
Nel dialetto galloitalico di San
Fratello questo indumento è chiamato sbirijàn (pron.: sgb’r’jàn) e
deriva probabilmente dal sic. sbiriugnari ‘svergognare’, si
tratterebbe quindi di un cappuccio imposto in passato sul capo dei condannati
al fine di sottoporli, in maniera anonima, al pubblico ludibrio. Ma con un po’
di fantasia, e con una variazione difficilmente giustificabile dai glottologi,
potrebbe derivare anche dalla forma storpiata di spirijàn, che ha
radice identica a spièrt (spirito, demonio). Così dovevano apparire
alla devozione popolare tali “giudei”, delle emanazioni demoniache da detestare
e scacciare.
La funzione dei “giudei”
sanfratellani era, e lo è ancora, quella di disturbare la processione del Venerdì
santo. Oggi è scomparso ogni comportamento violento, e il popolo accompagna i
simulacri della passione di Cristo in devoto raccoglimento. Ma qualcosa di
diverso doveva avvenire nei secoli passati, quando detti “giudei” dovevano
avere uno spazio assegnato durante l’espletamento del rito ed essere oggetto di
una ‘sassaiola’ probabilmente a base di arance, unico frutto del luogo presente
nel periodo pasquale. Così il cappuccio poteva avere anche il compito di
riparare il viso dagli schizzi degli agrumi.
3. Un comportamento provocatorio
e la poca tolleranza delle autorità.
Che in passato sotto
lo sbirijan potesse nascondersi qualche malfattore latitante e con
l’opportunità del mascheramento fare un giro per salutare i parenti in paese, è
un fatto pensabile. Non è però pensabile che tutti gli individui nascosti dal
cappuccio fossero dei malfattori. Pertanto la ricorrenza pasquale, specialmente
sotto il regime fascista, portava un notevole incremento delle forze
dell’ordine, con lo scopo di fermare per accertamenti, un buon numero di
figuranti. Questi erano di difficile cattura, in quanto si trattava di
individui dal piede leggero, abituati a correre dietro alle greggi e capaci di
spiccare salti adusi più a gente del circo che a persone normali. Spesso gli inseguimenti
finivano con un nulla di fatto. Le bravate non mancavano, con arrampicamenti
sui cornicioni delle case da dove potevano suonare i motivetti imparati dopo
mesi di strombazzamenti per le campagne dietro agli animali. Insomma un
comportamento provocatorio verso le forze dell’ordine, rafforzato dall’uso di
alcolici, più che un disturbo della processione come lo era in origine.
4. Lo spettacolo moderno.
Oggi possiamo notare una
trasformazione stilistica della “divisa” dei figuranti. Le originarie casacche
sono state sostituite da pregiatissime giubbe attillate e ricamate con
lustrini, munite di spalline da divisa di corazziere. Fino alla prima metà del
Novecento, l’elmetto era posseduto da pochi individui, peraltro
chiamati giurièa märch (giudeo marco) con riferimento al soldato
romano Marco Longino che, secondo il Vangelo, conficcò la lancia nel costato di
Cristo sulla croce, per finirlo. Si tratta quindi di una variazione rispetto al
costume di altri figuranti che in passato dovevano far parte della rappresentazione
della Via Crucis.
Erano i soldati romani nel loro costume tradizionale e dal
quale i “giudei” sanfratellani hanno preso la corazza, sostituendola con la
giubba, e l’elmetto, dal quale hanno levato le parti che coprivano le guance.
Gli schinieri sono scomparsi e sostituiti da un elaborato paio di ghette. Ai
piedi sono calzate delle leggere e semplici scarpette di pelle grezza di bue,
allacciate ai polpacci per mezzo di lunghe stringhe, in genere portate dai
contadini e pastori.
Oltre alla tromba di tipo
militare, di cui oggi sono muniti tutti i figuranti, costituisce parte della
dotazione del “giudeo” la cosiddetta “disciplina” che è costituita da un grosso
anello al quale risultano assicurate delle maglie di catena interallacciate con
monete fuori corso. Un’elegante variazione delle catene con le quali i
penitenti del Medioevo usavano flagellarsi.
Una confusione quindi che parte
dalla comprensione del vestiario, essendo questo di non facile e sicura
provenienza. Ma se volessimo pensare a qualche collegamento con preesistenti
sincretismi religiosi, collegati con il mondo pagano, potremmo rimanerne
delusi, a meno di non riferirci a quanto di pagano sia rimasto nelle ricorrenze
della cristianità.
5. Il fattore ‘turismo’ e
le remore.
La “Festa dei giudei” di San
Fratello continua a richiamare turisti, e oggi deve essere pensata come
rappresentazione folcloristica. La processione del Venerdì santo nel passato
era partecipata dal solo popolo sanfratellano e i più vecchi scioglievano voti
camminando scalzi, mentre era facile vedere tanti giovani a spalla nuda
avvicendarsi sotto la pesante bara del Crocefisso. I “giudei” adempievano la
loro funzione per tre giorni e suonavano fino a notte fonda tornando a casa
generalmente ubriachi, tranne il Venerdì santo che al rientro in chiesa della
processione si ritiravano a casa in buon ordine.
Qualcuno nel passato recente ha
pensato che sarebbe giunto il momento di eliminare questa festa perché
offensiva per il popolo ebraico. Tantoppiù ora, visto che Papa Giovanni Paolo
II ha chiesto scusa, a nome della cristianità, al popolo ebraico per i soprusi
perpetrati nel passato a suo danno e in particolare per la falsità dell’accusa
di deicidio che nel Medioevo era servita per mandare al rogo tanti ebrei. Della
cosa se n’è occupato perfino il “Jerusalem Post”, come scrive il quotidiano “La
Sicilia” del 23 marzo 2000, che parla di una nota di protesta presentata al
governo italiano da parte del ministro del Turismo di Israele “a causa di
‘manifestazioni antisemite’ che si tengono nel nostro paese e che sono
propagandate via Internet. Il riferimento è alla ‘festa dei Giudei’ che si
tiene nel paesino siciliano di San Fratello il Giovedì e il Venerdì Santo, una
manifestazione di larga risonanza e di antica tradizione di cui si sono
occupati anche Sciascia, Pitrè e Buttitta.”
Anche la richiesta di
abolizione della “Festa dei giudei” sanfratellana, avanzata da una illustre
studiosa italiana di fede ebraica, mi sembra eccessiva. Ci è mai venuto in
mente quale potrebbe essere la risposta dei contemporanei a qualche gruppo
fondamentalista non importa di quale religione monoteista, che chiedesse di non
rappresentare più opere di Sofocle e di Eschilo, perché trattandosi di opere di
fede politeista risulterebbero offensive alla propria religione?
Cambiare la denominazione con
altra non risolverebbe ciò che i figuranti sanfratellani rappresentano e ciò
che il popolo ebraico ha dovuto subire nel corso della sua storia. Direi
piuttosto che, nella sua unicità folklorica, tale festa vuole ricordare al
mondo fatti che non debbono essere dimenticati, compresa la falsità delle
accuse, mosse dalla Chiesa del passato, contro il popolo ebraico. Quindi
continui a sopravvivere la “Festa dei giudei” di San Fratello, che nella sua
denominazione richiama la festa della Pasqua ebraica, preesistente a quella
cristiana.
[1] C.
Susa in “L’antisemitismo nei riti e nel teatro religioso medievali. Il caso
della festa dell’Assunta in Aragona e in Sicilia (Secc. XIV-XV)”
[2] Rioni
di città riservati alle comunità ebraiche, in cui vivevano liberamente,
praticando il loro culto ed esercitando i loro commerci.
[3] D.
Niremberg in “Communities of Violence. Persecution of Minorities in the Middle
Ages”, Princeton University Press, 1996.
[4] A.
Toaff in “Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo”, Bologna 1989.
Vedi anche: Usi e Tradizioni della Settimana Santa di San Fratello
Vedi anche: Usi e Tradizioni della Settimana Santa di San Fratello
Voglio esprimere la mia completa soddisfazione, agli autori di questa bellissima Storia sanfratellana corredata dalle magnifiche immagini del tempo che fù, e che riguardano il periodo « aulico» di questo arcaico e nobile paese, dalla parlata unica derivata dalla mescolanza di antichi dialetti di popoli delle regioni del nord-italia, qui venuti a risiedere, in questa nobile terra, al seguito della Contessa Adelasia del Vasto. Dalla mescolanza dei suoni dei loro dialetti nacque quel che diventò, e lo è ancora, il dialetto sanfrardian “Gallo.Italico” che ancor oggi è vivo e vegeto, seppur ringiovanito in qualche sua espressione idiomatica.
RispondiEliminaVadano, ai suoi “Grandiosi” compositori, i miei elogi, insieme ad un sincero ringraziamento per la felice esposizione di antica arte fotografica.
Salvatore Emanuele - Firenze