Salvare e conservare il
patrimonio linguistico gallo-italico di San Fratello all’inizio del terzo
millennio: utopia o possibilità concreta?
Un altro punto incontrovertibile è purtroppo il fatto che non si può pensare alla possibilità di fermare il cambiamento linguistico del sanfratellano; il nostro dialetto continuerà ad evolvere, generazione dopo generazione, sotto la crescente pressione della società, dei mass-media e delle esigenze quotidiane di ognuno di noi che impongono un’ottima conoscenza della lingua madre. Si possono però attuare una serie di iniziative che, ancora oggi, potrebbero condurci ad una conservazione e trasmissione accettabile del nostro dialetto alle generazioni future. Inoltre, l’orgoglioso attaccamento dei nostri concittadini all’antico paese potrebbe addirittura avviare, ove correttamente supportati, fenomeni di controtendenza e di forte recupero del patrimonio linguistico.
La valorizzazione del
dialetto gallo-italico di San Fratello è un segno di lungimiranza e di
attenzione verso le nostre radici e la nostra identità culturale. In questo
senso ragioniamo di un progetto che non può non riguardare tutti gli abitanti
della nostra piccola comunità. Si tratta tuttavia, al contempo, di una delle
operazioni culturali più difficili che ci si possa porre come obiettivo. Ciò
che si vuole valorizzare e conservare è una realtà inosservabile, sfuggente e
in continua evoluzione. Le difficoltà insite nelle scienze linguistiche ce ne
danno conferma. Ogni codice linguistico verbale cambia vorticosamente, secondo
lo scorrere del tempo e il variare dei luoghi e delle situazioni comunicative.
Il dialetto cambia più in fretta dei sistemi linguistici nazionali, che, oltre ad essere fissati e trasmessi attraverso la scuola, sono lo strumento di comunicazione d’uso maggiore, sia scritto che parlato.
Il dialetto cambia più in fretta dei sistemi linguistici nazionali, che, oltre ad essere fissati e trasmessi attraverso la scuola, sono lo strumento di comunicazione d’uso maggiore, sia scritto che parlato.
La definizione stessa
dell’oggetto della nostra trattazione non è né immediata né pacifica. Sento, ad
esempio, sempre più spesso parlare di “lingua sanfratellana” e della sua
“dignità”. Questo atteggiamento mentale presuppone, già in partenza, la
convinzione che, essendo il dialetto qualcosa di deteriore, quando ci si
riferisce al gallo-italico di San Fratello occorre definirlo lingua. In realtà
il sanfratellano è un dialetto, come lo era il toscano prima di diventare
la nostra lingua nazionale: l’italiano. Si tratta di una visione aristocratica
del nostro idioma, che privilegia la prospettiva letteraria (lecita ed apprezzabile),
la quale, però, è di gran lunga meno rilevante rispetto al parlato vivo.
Dal punto di vista della
Semiotica, il dialetto di San Fratello, il nostro italiano e qualsiasi altra
lingua naturale stanno esattamente sullo stesso piano e hanno lo stesso valore:
sono tutti “codici”, cioè sistemi di segni finalizzati alla comunicazione. La
distinzione dialetto/lingua è un portato della storia non è una questione
estetica. Ogni codice linguistico funziona, comunque, secondo un sistema implicito
di “regole” e si presta all’uso letterario, e in questo il nostro dialetto non
fa eccezione. Quindi: bando alle classifiche!
Un altro punto incontrovertibile è purtroppo il fatto che non si può pensare alla possibilità di fermare il cambiamento linguistico del sanfratellano; il nostro dialetto continuerà ad evolvere, generazione dopo generazione, sotto la crescente pressione della società, dei mass-media e delle esigenze quotidiane di ognuno di noi che impongono un’ottima conoscenza della lingua madre. Si possono però attuare una serie di iniziative che, ancora oggi, potrebbero condurci ad una conservazione e trasmissione accettabile del nostro dialetto alle generazioni future. Inoltre, l’orgoglioso attaccamento dei nostri concittadini all’antico paese potrebbe addirittura avviare, ove correttamente supportati, fenomeni di controtendenza e di forte recupero del patrimonio linguistico.
La mia insufficiente
esperienza mi spinge oggi a ritenere che la strategia vincente per la tutela di
questo importante patrimonio parta, prima di tutto, dalla ricerca sul campo, finalizzata
alla costituzione di un archivio di materiali e, ove possibile, alla
pubblicazione delle analisi e, quindi, alla conservazione di tutti i fenomeni
ancora osservabili. La conoscenza, quindi, prima di tutto. Ma la parola
conoscenza richiama subito alla nostra mente il termine “scienza”. La
conoscenza passa attraverso lo studio scientifico, che, nel nostro caso è lo
studio di discipline quali la Linguistica Generale, la Linguistica Italiana, la
Dialettologia, la Geografia Linguistica.
In Sicilia queste materie sono
approfondite dalle tre Università dell’isola (oggi quattro). Credo sia
indispensabile fare riferimento a tutti gli studiosi del campo e alla loro
attività e favorirla e coadiuvarla in ogni maniera possibile. Il dialetto stesso lo impone.
Come già detto, si tratta di una realtà complessa che va indagata attraverso le
più attuali linee di ricerca; attraverso conoscenze e metodologie che solo
l’ambito universitario possiede, o meglio, che il solo ambito universitario applica
quotidianamente nelle attività di indagine.
All’università spetta il compito di
fornire strumenti certi e riferimenti stabili sui caratteri del nostro
dialetto. Il perfezionamento di strumenti quali un vocabolario e una grammatica
offrirà, a tutti coloro che prendono una penna, dei mezzi sicuri e saldi per
esprimersi nella scrittura e nella creazione letteraria in dialetto, la cui
produzione è oggi, fortunatamente, in forte aumento.
La ricerca, tuttavia, servirebbe
a poco se non si intervenisse contemporaneamente sulla tutela e il sostegno a
tutti i nuclei familiari che scelgono di trasmettere il dialetto come lingua
madre ai propri figli e quindi alle generazioni future. Loro sono i
protagonisti più importanti di questa operazione di valorizzazione: prima del
dialetto si valorizzino le persone!
Questo è il secondo passaggio di un
verosimile disegno di tutela del nostro patrimonio linguistico. Senza questo
passaggio e limitandosi alla ricerca o alla scrittura, si finisce per cadere
nella tentazione di collocare in un museo, imbalsamato nei libri, un
codice comunicativo che,
fortunatamente, è ancora vivo e vegeto nella coscienza dei numerosi parlanti, e
che si esprime prima di tutto attraverso il parlato e non lo scritto.
Quali tutele
e quali garanzie offrire a questi studiosi ante litteram del nostro dialetto?
Innanzitutto la certezza che parlare in sanfratellano non è un ostacolo per
l’apprendimento dell’italiano e non è un limite, ma piuttosto un valore aggiunto
sia sul piano culturale (ove per cultura si intenda principalmente quella popolare) che sul piano della
comunicazione (avendo sempre a disposizione un codice in più rispetto ai non
dialettofoni).
Chi può dare queste garanzie alle famiglie?
Rimando ad un prossimo
articolo la trattazione sui possibili attori, luoghi e strutture dei progetti di valorizzazione
del dialetto, ma è evidente il ruolo fondamentale della Scuola.
Ecco il terzo passaggio di
questo possibile progetto di valorizzazione: le attività della scuola primaria
e secondaria di San Fratello. Sono a conoscenza dei progetti già attivati in
tal senso, e la sensibilità del mondo della scuola, su questa materia, è alta.
I progetti didattici attendono i risultati della ricerca, ovvero gli strumenti
indispensabili per l’insegnamento (un vocabolario e una grammatica del
sanfratellano) senza i quali anche il prezioso lavoro degli insegnanti diventa
più difficile.
Il passaggio attraverso la scuola è fondamentale: se da un lato
si sensibilizza la popolazione sulla
necessità e l’importanza di trasmettere il gallo-italico ai figli e sul valore
di questa operazione, dall’altro si deve garantire una educazione linguistica
più consapevole e più ricca, che preveda la comparazione delle specificità comunicative dei due codici, e la sdrammatizzazione
del concetto di “errore”, attraverso una valutazione partecipe dei meccanismi
che lo determinano.
Gli insegnanti si faranno promotori di una valida educazione
linguistica, che non si attui
comprimendo o mortificando il dialetto. Siamo certamente tutti convinti
del fatto che invece occorra prendere atto della sua esistenza, che si debbano
valutare con rigore i suoi caratteri, che si debba stabilire un confronto paritario tra italiano e dialetto
e, di conseguenza, tra forme diverse di cultura (locale e sovralocale).
Ricerca sul campo, tutela e
incremento dei parlanti, specifica didattica scolastica: questi i tre momenti
imprescindibili di un progetto che voglia seriamente tentare la conservazione e la tutela del dialetto di San
Fratello. Cercando di rispondere quindi alla domanda all'inizio di questo
articolo, penso di poter dire che conservare il nostro patrimonio linguistico
oggi è un’operazione difficilissima e assai complessa, ma non utopistica.
Rimando ad una prossima
uscita la continuazione della trattazione di un argomento così complesso e,
spero, interessante, ma mi piace concludere questa dissertazione ribadendo che
i protagonisti di questi possibili progetti sono tutte le persone che, seriamente e onestamente, a
vario titolo e con diversa competenza,
nutrono il senso di appartenenza a questa comunità e confidano nella
conservazione della sua peculiare identità linguistica.
di Pino Foti [La Sentinella Anno II - n.9/2008]
Ho scritto questo breve articolo cinque anni fa e oggi lo riscriverei esattamente nella stessa forma. Grazie per averlo ripubblicato. Pino Foti
RispondiEliminaCondivido ogni singola parola di questo bellissimo articolo quanto mai attuale! Complimenti [C.E.]
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