Fiabe e beffe nella Sicilia Lombarda

Viaggi nell’aldilà, racconti di burle e sberleffi, favole magiche.


Tutte le tipologie della fiaba, così come sono state individuate da Propp e da altri studiosi, ricorrono puntualmente nei racconti in lingua gallo-italica del paese di Nicosia racconti, tradotti ed elaborati da Sigismondo Castrogiovanni e recentemente pubblicati (accanto alla relativa trascrizione in italiano) nei due volumi “Eredità immateriale dei centri ennesi” a cura di Salvatore Lo Pinzino, sotto l’egida dell’associazione G. Forti Natoli di Sperlinga e della Regione Siciliana.

Nicosia condivide l’idioma gallo-italico (o gallo-romanzo) con Piazza Armerina e con una decina di altri centri delle province di Messina, Catania, Siracusa e Enna, tra cui Aidone, San Fratello, Sperlinga, Acquedolci e Novara di Sicilia: la cosiddetta “Lombardia siciliana”. 

Questa peculiare lingua che in realtà non è lombarda, ma ligure piemontese, deriva da una forte mescolanza etnica tra la popolazione locale e i popoli settentrionali arrivati al seguito dei normanni nell’XI e XII secolo. Essa presenta delle caratteristiche un po’ diverse in ciascuno di questi centri ed è stata spesso oggetto di discriminazione perché considerata espressione di inferiore ceto sociale.

Il gallo-italico è documentato anche in alcuni paesi calabresi e lucani; in quest’ultima regione ha ottenuto status di lingua minoritaria, così come è avvenuto per l’albanese di Sicilia. A Piazza Armerina, dove il gallo-italico viene chiamato “ciaccès ‘ncaucà”, esistono tuttora poeti vernacolari, tra i quali il più noto è Nino Testa. Istintivo e satirico, i cui versi vengono frequentemente declamati pubblicamente.

In Sicilia questa lingua di origine padane costituì un cuscinetto divisorio, una specie di barriera linguistica, fra il “palermitano” e l’idioma “siculo-orientale”. Queste zone sono certamente una enclave di grande interesse per gli studiosi di linguistica; a Remigio Roccella, che nel 1872 pubblicò il suo primo libro di poesia piazzese, si deve il capostipite dei vocabolari gallo-italici con elementi di grammatica e fonetica, che da quel momento in poi divenne un punto di riferimento per ogni studioso. 

Salvatore Trovato, originario di Nicosia, ha curato la trascrizione ortografica del nicosiano, e dal 1987 ha attivato il progetto gallo-italico presso l’Università di Catania, dove è ordinario di Filologia moderna.

Quattro convegni sul gallo-italico, con relativa pubblicazione di Sigismondo Castrogiovanni, che fu maestro elementare a Nicosia per quattro decenni, si era accorto che questa lingua stava scomparendo e adoperò a salvarne i fondamenti, basandosi principalmente su materiale trascritto dalla testimonianza orale della propria madre.

Le favole sono esemplificazione di rituali iniziatici, e hanno sempre un valore didattico, come osserva nella sua introduzione Claudio Paterna, dirigente del servizio Beni storici-artistici e antropologici della Regione. Il protagonista è spesso vittima di una ingiustizia, deve nascondersi sotto mentite spoglie e superare, con l’aiuto di oggetti magici, durissime prove prima che sia rivelata la sua vera identità. 

Ci sono racconti di fede ingenua dove, su un fiabesco sfondo religioso, monaci di grande creduloneria si lasciano facilmente abbindolare, e ci sono racconti di animali che con il loro perfetto antropomorfismo si inseriscono nella più pura tradizione favolistica esoplana. Dietro ogni vicenda si intuisce un mondo contadino di estrema miseria in cui non si è perso però il gusto dell’ironia, come nella storia di “Maestro Imbroglia Popolo”, disposto a stendersi sul cataletto e a intimare ai suoi otto figli di piangerlo per morto pur di sfuggire ai suoi creditori. 

È un mondo dominato dal fatalismo e dalla sempiterna dea che tutto sembra governa, la Sors fortuna, e nel quale il sovrannaturale è costantemente imbevuto di sincretismo: così è accaduto che la “Bella dei sette veli”, protagonista di una delle favole raccolte da Castrogiovanni, sia anche una delle denominazioni della Madonna di Trapani, il cui culto a sua volta era stato assimilato a quello della Venere ericina.

Correda l’opera un’interessante documentazione fotografica. Il primo volume contiene le etnofotografie che il dialettologo tedesco Gherard Rholfs, durante i rilevamenti da egli eseguiti per l’Atlante linguistico Italo-Svizzero, scattò nel 1924 per documentare la vita della gente che abitava nelle grotte a Sperlinga (definiti gli ultimi trogloditi nella stampa del tempo). Le favole del secondo volume sono illustrate da numerose cartoline d’epoca di Nicosia. Concludono il secondo volume le foto scattate dall’amministrazione locale fra il ’22 e il ’26 per far vedere al governo di Roma le condizioni di miseria nelle quali viveva a quel tempo la gente di Sicilia.

di Marcella Croce

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