Ricordi di guerra…


I soldati americani ricevettero acqua da un uomo dalla pelle nera e vestito con un saio.

San Fratello (“Vadan di la Veu”), 8 agosto 1943: i prigionieri italiani catturati dalla 3a Divisione statunitense aspettano la distribuzione dell’acqua.

Quarto appuntamento con la nostra rubrica dedicata alla storia (La seconda guerra mondiale). 
Riuscire a vedere i segni che la guerra impresse sulle cose è ormai quasi impossibile, perché il tempo e la fatica della ricostruzione ne hanno cancellato le tracce; ma vedere i segni che la guerra ha impresso sul volto degli uomini è cosa possibile ancora oggi se si ha la pazienza di ascoltare i nostri anziani.



Per descrivere gli orrori che i nostri soldati videro durante la campagna di Russia, è più efficace ascoltare la testimonianza di chi ha combattuto in quei luoghi gelidi ed inospitali, piuttosto che la distratta lettura di un libro di storia. 

Un anziano originario di S. Teodoro e che viveva a Caltagirone, il sig. Giuseppe Sirna, raccontò a mio padre dei suoi scarponi bucati, dei suoi piedi gelati, dei fucili italiani che sparavano solo 6 colpi alla volta contro i 24 di quelli russi, delle bucce di patate che costituivano l'unico cibo... Il fratello di mio nonno, Ricciardi Benedetto, rischiò la sua vita per salvare il cugino primo, un suo omonimo, durante la ritirata: non poteva più camminare giacchè i suoi piedi erano ormai congelati e chiese di essere lasciato lì... ma questo mio prozio tanto coraggioso, mettendo a repentaglio la propria vita, se lo caricò sulle spalle e si salvarono entrambi. 

Oggi non esisterebbe nessuno dei Ricciardi residenti ad Acquedolci se il loro capostipite non si fosse salvato! Due fra i pochissimi che sono tornati vivi da quel paese freddo e immenso dove la maggior parte trovò la tomba...

Mia nonna, Fazio Rosalia, mi raccontava sempre di quando mio nonno nascose il grano sotto il pavimento della casetta di campagna in contrada "Puridda" e di quando i tedeschi arrivarono lì prendendo tutto quello che avevano, compreso il mulo al perentorio grido di "Requisisc mul!".

E ancora il signor Catanzaro Luigi ci raccontò di quando le sue donne facevano il pane di notte per evitare di essere colpiti dalle bombe americane, tenendo una grande coperta stesa davanti al forno per nascondere i bagliori del fuoco alle postazioni tedesche o di quando due soldati tedeschi bussarono a casa sua per chiedergli due tavole di legno: servivano da lettiga per trasportare un compagno ferito. 

Ricciardi Serafina, la sorella di mio nonno, mi raccontò di quella volta che vide un soldato tedesco, un ragazzo giovanissimo, che piangeva seduto su dei gradini in via Gioberti mentre guardava la foto dei suoi familiari... o di quella volta che un soldato tedesco puntò alla tempia del fratello il fucile per ordinargli di portare in barella un compagno al ricovero allestito per i feriti nel quartiere Buglio. 

Mi ha raccontato di quando, per scampare ai bombardamenti, si rifugiò con la famiglia nella casa che allora fungeva da palmento, sita in quel quartiere nella via Generale Di Giorgio  numero 164, dove avevano trovato riparo per due settimane più di 50 persone, fra cui il medico di allora il Dr. Ricca Salvatore che, in quell'occasione, scelse di stare con i propri compaesani.
Il signor Palazzo Benedetto, che era stato podestà durante il periodo fascista, ospitò oltre 50 persone durante i bombardamenti nel pianoterra della sua abitazione adibito a frantoio: si trattava per la maggior parte di donne e bambini. Al piano superiore, invece, trovarono riparo alcuni ufficiali tedeschi.

Il sig. Lombardo Salvatore, invece, nel 1943 era un bambino di soli 11 anni e i soldati americani volevano prendergli i due buoi che tiravano l'aratro: dopo aver appreso che era orfano gli lasciarono  gli animali e gli regalarono un soldo d'argento.
Più di un anziano, invece, ci ha raccontato della visione che un nutrito gruppo di soldati americani avrebbe avuto in località Inganno: un uomo dalla pelle nera e vestito con un saio avrebbe dato da bere a tutti quanti con una sola borraccia, che incredibilmente sembrava non svuotarsi mai.

Il signor Scavone Luigi, che durante i giorni duri dei bombardamenti stava nascosto insieme ad altri dieci persone nell’abitazione di Via Buonarroti 22, ci ha parlato di un cacciabombardiere tedesco colpito durante i frenetici giorni dei bombardamenti in località “Pizz di ghj’iengiu” (Pizzo degli Angeli): morirono 6 tedeschi, 2 piloti e 4 membri dell’equipaggio. Le sei casse di legno che furono costruite da un falegname del paese, poste su un carro, partirono dalla Casa del Fascio sita in Via Saverio Latteri al numero 34 (successivamente fu adibita a pretura), accompagnate da un corteo composto dall’arciprete Salanitro che camminava dinanzi alle bare con una croce in mano, dalle autorità, dai bambini col costume da ballila, dalle “piccole italiane” e dalla folla. Dopo il discorso solenne dell’arciprete i camion del Comando Tedesco trasportarono le salme fino a Catania.

La signora Di Bartolo Felicia ci ha raccontato di come una bomba squarciò il piano superiore della sua casa: con l’aiuto dei vicini e con gli occhi pieni di polvere, i genitori trasportarono il maggior numero di brande  nello scantinato e ivi passarono con i vicini gli ultimi giorni di bombardamenti mangiando solo pane, mentre altre sette famiglie del quartiere si rifugiarono negli scantinati di Palazzo Mammana.

Anche il signor Di Bianca ospitò una cinquantina di persone nello scantinato della propria abitazione.

La signora Rosalia Scavone, nascosta con la famiglia nelle campagne di c.da "Buotto" chiusa nella casetta rurale, un giorno ha assistito al ritiro dei soldati tedeschi che andavano verso il fiume: il rumore degli scarponi in marcia durò più di venti minuti!
Il mio bisnonno Di Franco Giuseppe si nascose con la famiglia in contrada "Pirrera", nell’appezzamento di terreno del signor Lo Cicero Giuseppe, portando con sè Carmelo Cuffari, un amico di famiglia che, all'arrivo degli Alleati, volle andare a casa a prendere i familiari. Il mio bisnonno lo accompagnò in paese ma qui gli americani li presero entrambi prigionieri: i più giovani furono impiegati in tutti i lavori di fatica mentre al mio bisnonno, che era già anziano, fu ordinato di prendere l'acqua da bere per i soldati. 

Alla vista di quei cadaveri messi a terra in fila non toccò cibo! L’amico Carmelo, per via dei figli piccoli, fu trattenuto solo poche ore e poi gli fu consentito di tornare a casa. Al primogenito, che era andato a trovarlo, fu tolto il pane ed il formaggio che aveva portato al padre. Il luogo in cui furono portati e in cui allora gli Alleati stabilirono il loro quartier generale e ove si accamparono si chiamava “Vadan di la Veu” (l’area pianeggiante che si estende a vista d’occhio sotto l’odierna Piazza Federico II). Questo fu il luogo in cui gli Alleati portarono tutti i cadaveri dopo averli raccolti da ogni dove ed i sanfratellani in quei caldi giorni di agosto dovettero assistere al triste spettacolo dei camion che passavano per le strade del centro piene di corpi accatastati. 

Mia nonna Eloisa e il fratello Francesco erano tornati in paese lo stesso giorno in cui era salito il padre perché si erano preoccupati non vedendolo tornare: alla vista dei cadaveri lungo la strada, mio zio mise la sua giacca sulla testa di mia nonna per impedirle di guardare. Prima di giungere a casa incontrarono il soldato piemontese a cui tante volte avevano dato da mangiare mentre si trovavano in campagna e chiesero notizie del compagno Gianni: la notizia della sua morte gettò ancora di più nello sconforto mia nonna, già preoccupata per la sorte del padre. Due giorni dopo, tornando a casa sano e salvo a stomaco vuoto, il mio bisnonno meditò nel suo cuore pensieri tristi e parlò pochissimo. 

Quelle generazioni e anche la generazione di mio padre, nata in quel periodo e cresciuta in povertà negli anni difficili del dopoguerra, hanno vinto la loro battaglia perchè hanno saputo risollevarsi e ricostruire una nazione all'insegna dei valori umani e della democrazia...


A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo, Biografia di una bomba

Commenti

  1. Viene in mente ache a me qualcosa di quanto accaduto nella campagna di Russa al Sig. Latteri Filadelfio, abitante nella zona frana, aveva la cantina e aggiustave le penole di rame.Mi trovavo per caso un giorno nella sua bottega e raccontava quando era prigionero in Russa, per il freddo avveva le ditta dei piedi come diceva Lui:"cinqu cocci di brascia" e mancu putevu camminari e p..mangiari scorci d.. patati e chidu ch truvavi nta la munizza ed altre situazioni di cui ricodo vagamete.Saluti

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