A Favara sotto la Tenda di Abramo

Fra Giuseppe ci tiene a sottolineare che è di San Fratello come lo era San Benedetto il Moro.


di Fabio Russello. 
I seguaci di San Francesco hanno aperto il convento a migranti e indigenti. Ecco le loro storie. Non lo dicono, perché non si dice, ma al convento di Sant'Antonio dei frati minori francescani di Favara sono sicuri o quasi: Papa Francesco quando ha parlato di aprire i conventi ai migranti ed ai bisognosi deve avere letto sull'Osservatore Romano la notizia del progetto la «Tenda di Abramo» che si sta svolgendo proprio lì a Favara.

«San Francesco - ha spiegato subito fra Giuseppe, il responsabile del convento e dell'esperienza la Tenda di Abramo - è stato il primo a parlare di accoglienza anche per gli infedeli». Fra Giuseppe è uno dei tre frati minori (in Sicilia sono 120) che alla fine del 2011 ha accettato di venire a Favara, dove il convento stava per chiudere a causa della crisi di vocazioni. Con lui ci sono fra Salvatore, che è anche l'unico sacerdote e fra Juan che arriva dal Perù. Stare una giornata o quasi insieme ai frati insegna tante cose. Mille telefonate di gente che ha bisogno, di chi chiede informazioni, di chi chiede appuntamenti e mille volte senti il «pace e bene» che è il saluto dei frati.

Ad un certo punto all'ora di pranzo arriva addirittura un tizio che chiede ai frati di benedire l'auto che si è appena comprato: «Certo, ma torna verso le 5 del pomeriggio. Pace e bene». «Questa non è una comunità - spiega fra Giuseppe, 42 anni, originario di San Fratello e anni di missione in Marocco - ma una fraternità, è una vera missione. Qui tutti, noi frati e i sedici fratelli che stanno con noi, ci prodighiamo per mandare avanti il convento».


Il progetto si chiama «Tenda di Abramo» perché Abramo è il patriarca riconosciuto anche dall'Islam e dagli ebrei ed è partito alla fine del 2011. «Ma noi non accogliamo solo stranieri - ha detto fra Giuseppe - ma anche tanti favaresi». Fra Giuseppe ci tiene a sottolineare che è di San Fratello come lo era San Benedetto il Moro: «Forse era destino che nella mia missione dovessi stare insieme agli stranieri. E ricordo anche che la Madonna di Tindari è nera. San Benedetto ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita».


La giornata dei frati comincia presto: sveglia alle 6, già alle 7 c'è la messa celebrata da fra Salvatore, nel frattempo si chiamano i ragazzi, poi si comincia a lavorare. C'è da badare all'orto, agli animali, c'è da radunare le provviste, lavare il bucato, cucinare, sistemare e ripulire il convento che è anche grande, nel pomeriggio e alla sera le orazioni, il rosario, il vespro. La vita si svolge tra preghiera, lavoro e amore verso il prossimo. «A volte è difficile - dice fra Giuseppe - ma questo si può fare solo se nel volto degli altri vedi il volto di Gesù. Altrimenti è solo filantropia. Ricordiamo il Vangelo di Matteo, ero forestiero e mi ha accolto».

Qui ci sono al momento sedici «fratelli». Sono nigeriani, nigerini, maliani, afghani, romeni. Ci sono cattolici, musulmani e ortodossi. Al mattino sono già tutti all'opera. Chi pensa agli animali, chi a piccoli lavori di manutenzione del convento. A pranzo cucina Benjamin, nigeriano, cristiano pentecostale. Riso e fagioli. Gli africani sono arrivati in Sicilia tutti attraverso Lampedusa ed a bordo di un barcone. Per loro la roulette russa della traversata del Canale di Sicilia è stata fortunata: sono riusciti ad approdare. Mandano qualche decina di euro alla famiglia. Li guadagnano lavorando alla giornata, presentandosi in piazza Itria a Favara, alle 6 del mattino. Passano i caporali e guadagnano 30 o 40 euro per una giornata di lavoro nei campi. Pranzano nel refettorio tutti insieme. Solo un paio di volte la settimana i frati mangiano al piano di sopra: «Tra di noi - spiega Fra Giuseppe - dobbiamo anche parlare su ciò che c'è da fare nei giorni successivi».

E mentre si mangia ci sono i racconti delle vite degli stranieri che hanno trovato un tetto e una speranza qui dai frati. Reza ha 26 anni. Viene dall'Afghanistan e il suo viso lascia pochi dubbi per capire da quale parte arriva: ha i lineamenti asiatici e infatti lui stesso spiega che il suo villaggio è nella parte centrale del Paese. Ha lasciato l'Afghanistan martoriato dai talebani prima e dalle bombe alleate dopo, per rifugiarsi prima in Iran con i genitori, poi il tentativo di trovare il suo futuro in Europa.

Un'odissea: «Sono arrivato fino a Patrasso dove c'è la nave per Ancona. Mi sono messo sotto un camion, appoggiato all'asse delle ruote. Se ho temuto di morire? No, ma è stata dura. Le braccia si addormentavano. Ora aspetto il 25 marzo quando dovrebbero prendere una decisione sul mio permesso. Vorrei studiare e lavorare. Io musulmano? Io non credo a niente». E poi c'è Paolo. La sua è una storia incredibile. «Fino a metà anni Ottanta - ha raccontato - ho solo giocato a calcio e sono arrivato anche nella serie A della Romania, nel Brazov. Avevo denaro e case, una moglie ed anche due figli. Poi a 33 anni mi sono rotto il menisco, ho dovuto smettere di giocare e mia moglie si è portata via i figli e i miei soldi. Ho giocato anche contro Fiorentina e Juventus. A 35 anni ho cominciato a bere e a fumare. Sono finito in Turchia, poi qui, non ho più niente e nessuno ormai mi vuole per lavorare». Nel convento lui si occupa insieme ad altri di accudire agli animali: oltre alle caprette ci sono conigli e galline.


«Il convento va avanti grazie alla generosità di tanti favaresi - ha spiegato fra Giuseppe -. Spesso non ci dicono che vogliono aiutarci, ma lo fanno». E infatti il convento non compra il pane perché arriva dai panifici, la spesa è limitata perché molti privati o supermercati forniscono quello che possono. Dove ci sono difficoltà ci pensa la Onlus dei frati minori intitolata a Michele Allegra il frate che ha tradotto la Bibbia in cinese. Pure il veterinario è giunto in convento gratis attraverso degli amici. E' arrivato per controllare due caprette: una sta poco bene, l'altra forse è incinta. Nel frattempo i ragazzi tutt'intorno sono impegnati. Chi con la carriola e la pala, chi con il forcone per mettere paglia fresca anche ai conigli. Il freddo e pungente, perché il convento si trova su una collinetta che sovra Favara. I frati sono rigorosamente con i sandali e senza le calze, i ragazzi hanno invece indosso qualcosa di più pesante. Sopra il saio magari i frati mettono una giacca se devono state fuori. Ma sui sandali e i piedi nudi non si transige. [fonte: La Sicilia]

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