Da Enna la proposta per valorizzare i comuni periferici di Messina, Catania e Palermo

Documento dei sindaci su costituzione Libero Consorzio di Enna.

Da troppo tempo la crisi economico-finanziaria che ha attanagliato l’Italia, oltre che altre regioni europee, si è scaricata sulle famiglie e sugli Enti Locali che sono l’avamposto riconosciuto dai cittadini come unico interlocutore dei bisogni e delle esigenze del territorio.

I comuni sono il riferimento della Comunità amministrata che a loro si rivolge per qualsiasi attesa, esigenza e persino solo per una nuova speranza; ai comuni si rivolgono le famiglie per avere servizi, asili, scuole, assistenza agli anziani… ai comuni si rivolgono i giovani che cercano un lavoro, che provano a inventarsene qualcuno, che investono le loro idee e i loro sogni; ai comuni ci si rivolge per mantenere efficienti edifici, scuole, strade… ai comuni si rivolge l’imprenditoria, il commercio, l’artigianato che chiede un sostegno per le loro attività; al comune si rivolge il disoccupato, il senza-tetto, chi ha un disagio sociale… i comuni devono garantire la sanità complessivamente, e poi il benessere ambientale, l’aria che si respira, l’acqua che si beve e devono preoccuparsi di intervenire in casi di calamità… i comuni devono garantire attività sportive, impianti, strutture, palestre, piscine, campi di calcio… i comuni sono rimasti l’ultimo promotore di cultura diffusa e ai comuni si chiedono teatri, spettacoli, eventi… ai comuni ci si rivolge per avere garantito la tutela e la sicurezza, la legalità… e quando la legalità e la trasparenza sono messe in pericolo, sono i comuni che devono schierarsi in prima linea, come baluardo della legalità… Non c’è nessun argomento della vita della Comunità che non abbia il comune come naturale riferimento per persona, famiglia, impresa, associazione…

Tutto questo prevede una capacità di spesa e di autonomia che invece sono state mortificate negli anni sia dallo Stato sia dalla Regione.

Il Patto di Stabilità ha posto ai comuni dei seri vincoli non solo alle finanze ma anche alla capacità di programmare la spesa, di disegnare lo sviluppo, di garantire i servizi essenziali e perfino quelli obbligatori; condizione aggravata da nuovi servizi che lo Stato dispone nei confronti dei comuni (spese giudiziarie, ricoveri e assistenza immigrati), senza alcun efficace contributo economico, anzi con nuovi tagli, ad esempio nelle spese di gestione per il funzionamento dei tribunali.

I tagli sono stati determinati senza tenere conto delle necessità che incombono sui comuni, tenendo un distacco evidente sotto il profilo istituzionale ed anche razionale. Le risorse drasticamente tagliate riguardano, infatti, l’assistenza verso i diversamente abili, gli indigenti, gli anziani, i minori in difficoltà, la mensa scolastica, il trasporto urbano, le scuole, gli asili nido, ecc…

Come se non fosse sufficiente, la riduzione dei servizi sopra citati è inoltre accompagnata da un incremento considerevole della pressione fiscale determinando nei cittadini-utenti una condizione di grave disagio sempre crescente che sfocia in diminuzione o mancanza di affidabilità e fiducia nei confronti dei comuni e dei loro rappresentanti.

Se lo Stato ha abbattuto la mannaia sui comuni, la Regione ha contribuito con i propri tagli e soprattutto con una politica complessiva che ha privato la Sicilia d’investimenti significativi che avrebbero determinato una ricaduta immediata in termini di sostegno alle imprese, di creazione di nuovi posti di lavoro e una maggiore capacità di contribuzione tributaria.

Intanto, dal punto di vista della c.d. spending review i comuni intervengono in maniera efficace riducendo le spese, riorganizzando i servizi al limite del collasso, riducendo drasticamente gli investimenti, eliminando i debiti.

Considerando pari a 100 la spesa pubblica nazionale, i comuni italiani sommano poco meno del 7% la loro spesa complessiva e considerando pari a 100 il debito pubblico nazionale, i comuni detengono poco più del 2% per cento del debito nazionale.

Che altro devono tagliare?

Le spese dei comuni servono a garantire ai cittadini le scuole, l’assistenza ai disabili, agli anziani, la manutenzione delle strade, i trasporti, le attività culturali…

A proposito degli investimenti, vale appena la pena di ricordare che i comuni non sono raider speculativi, ma investono in strade, parchi gioco, scuole, impianti energetici…

Eppure, se teniamo a 100 la riduzione delle spese nazionali, i comuni italiani hanno sopportato ben il 70% dell’intera spending review, lasciando che il restante 30% lo dividesse lo Stato con i suoi ministeri, le sue agenzie, i suoi comitati, le sue strutture, e poi le regioni con i loro assessorati, con le loro partecipate…

Insomma la spending review assomiglia più a una punizione per i comuni e per i cittadini che non a una strategia per la rinascita del Paese.

Ovviamente se i dati nazionali, economici e sociali, sono seriamente preoccupanti, quelli del Meridione d’Italia e della Sicilia in particolare risultano drammatici. Le percentuali di disoccupazione in generale, e poi giovanile e femminile, segnano cifre preoccupanti, l’impoverimento del territorio ha determinato un allargamento della fascia sociale che coinvolge perfino chi un lavoro ce l’ha; i bambini siciliani che vivono sotto la soglia di povertà sono oggi più di 40.000 e il numero è destinato a crescere.

Il saldo di vitalità delle imprese segna un saldo negativo con incremento di licenziamenti; il bisogno di “sopravvivenza” determina l’aumento della microcriminalità che, come conseguenza, accompagna il reclutamento verso la carriera criminale e la mafia.

In questo circolo improduttivo chi paga le conseguenze più amare sono i territori che, per scelte che si appartengono alla storia della Sicilia, erano già in condizioni di svantaggio economico e sociale, poiché posti ai margini della Sicilia produttiva; in particolare le zone dell’entroterra siciliano e le aree costiere decentrate rispetto alle grandi città di riviera.

Tutto questo non aiuta a fare uscire l’Italia fuori dalla crisi. Crisi che diventa istituzionale e politica, oltre che economica, nel momento in cui il legislatore, soprattutto regionale, contribuisce ad allontanare i comuni dalla partecipazione attiva alla formulazione di norme che hanno una ricaduta immediata sui territori e soprattutto sulle istituzioni.

Il recente tentativo di “scuotere” la Sicilia con l’abolizione delle province e la creazione di Liberi Consorzi dei Comuni, si è reso concreto con una norma che palesa per i comuni diversi limiti di autonomia decisionale, soprattutto considerando che la legge approvata dall’ARS l’11 marzo 2014, non prevede le funzioni che i Liberi Consorzi dovranno avere.


Il comma 1 dell’art. 10 Funzioni dei liberi Consorzi e delle Città metropolitane, prevede, infatti, che “ I liberi Consorzi e le Città metropolitane esercitano funzioni di coordinamento, pianificazione, programmazione e controllo in materia territoriale, ambientale, di trasporti e di sviluppo economico.” e il comma 1 dello stesso articolo prevedono che con successiva legge istitutiva saranno ridefinite le funzioni da attribuire ai liberi Consorzi.

Si chiede quindi ai Consigli Comunali di esprimersi sulla partecipazione ai liberi Consorzi e ai cittadini di confermare con un referendum eventuali scelte di adesioni ad altri consorzi, ma non si accenna alle motivazioni che determinerebbero di scegliere un consorzio piuttosto che un altro.

La legge contiene dunque un “vuoto culturale” oltre che una carenza normativa che, come per altri aspetti già citati, si abbatte maggiormente sui comuni periferici che vedono nella riorganizzazione istituzionale dell’Isola una scommessa possibile, orientata verso lo sviluppo di quei territori troppo spesso dimenticati dalle scelte politiche regionali e perfino provinciali.

Tra i territori che hanno maggiormente risentito di scelte politiche inique, resi periferici da una visione accentratrice dello sviluppo regionale, isolati anche sotto l’aspetto viario oltre che economico e perfino di rappresentanza democratica, quest’ultima orientata sempre più verso le grandi città siciliane, stanno le aree delle zone interne siciliane delle Madonie, i Nebrodi e dell’ennese fino a raggiungere la periferia più estrema del calatino. Seppur rivierasche, rientrano in condizioni di disagio anche i comuni di confine tra le due grandi province di Messina e Palermo, strette dalla forza attrattiva di rinomati luoghi turistici, punti di forza dell’economia di quell’area.

Fare un elenco dei comuni di questa vasta area significa determinare un’idea di possibile riscatto economico e sociale delle rispettive Comunità.

Ognuno di questi comuni rappresenta le stesse difficoltà di un altro, gli stessi punti di debolezza ma anche gli stessi punti di forza; le stesse speranze, le stesse esigenze di riscatto e, perché no, gli stessi sogni.

Acquedolci, Agira, Aidone, Assoro, Barrafranca, Calascibetta, Capizzi, Caronia, Castel di Iudica, Castel di Lucio, Catenanuova, Centuripe, Cerami, Cesarò, Enna, Gagliano Castelferrato, Gangi, Geraci, Leonforte, Mirabella Imbaccari, Mistretta, Motta d’Affermo, Nicosia, Nissoria, Pettineo, Piazza Armerina, Pietraperzia, Pollina, Raddusa, Regalbuto, Reitano, San Cono, San Fratello, San Mauro Castelverde, San Michele di Ganzaria, San Teodoro, Santo Stefano di Camastra, Sperlinga, Troina, Tusa, Valguarnera Caropepe, Villarosa.

Quaranta realtà, alcune assolutamente simili altre con peculiarità uniche, che non sono mai state pienamente valorizzate da una strategia politica assolutamente centripeta perpetrata dalle città più influenti.

L’infinito ritardo della realizzazione della Nord Sud, l’eliminazione dei tribunali di Nicosia e Mistretta, la mancata attivazione del Distretto Sanitario dei Nebrodi, la mancanza di un “Porto del Tirreno”, il trasferimento della Banca d’Italia da Enna, la chiusura di uffici come Enel, Telecom, Siciliana Gas, in tutto il territorio, l’esclusione di queste aree dalla programmazione dei circuiti turistici, e perfino l’intromissione negativa della Regione alle trattative per la realizzazione dell’Aeroporto Intercontinentale a valle di Centuripe, continua a determinare un impoverimento delle Comunità che i Comuni, dai Sindaci a ogni Consigliere comunale, ha il dovere di contrastare.

Le cause di debolezza di tutti questi comuni non sono ovviamente solo i punti sopra elencati che, in realtà, appaiono più come effetti che non come causa, poiché questa risiede originariamente nella scarsa capacità contrattuale che queste realtà pongono alle interlocuzioni più complessivamente.

Siano interlocutori lo Stato o la Regione o la stessa provincia di appartenenza;

siano interlocutori le grandi imprese industriali o semplicemente i comuni più grandi;

in ogni caso un comune di pochi abitanti, confinato in una zona considerata residuale dell’Isola, con un reddito pro-capite basso, alto indice di disoccupazione e di emigrazione, lontano dalle realtà universitarie e di ricerca, mantiene un potere contrattuale di scarsa importanza e tende a rifugiarsi sotto l’ombrello protettivo di un patron, di solito politico, che protegge, quando può, il territorio da evidenti ingiustizie siano politiche, economiche, sociali o istituzionali.

È necessario ridare orgoglio alle Comunità amministrate e coraggio agli amministratori, trasformando in forza i punti di debolezza, liberando le potenzialità delle aree interessate per uno sviluppo possibile e sostenibile, per una rinascita di ogni comune, in sincronia col territorio di competenza e con l’intera Regione.

L’omogeneità territoriale, culturale, antropologica di questi comuni deve diventare l’elemento unificante e vincente di una nuova politica regionale che abbia rispetto di queste Comunità. Una politica che supporti e non sopporti le richieste legittime che sono poste sul tavolo delle scelte decisionali.

Il privilegio delle piccole comunità deve fare posto alla debolezza dell’essere piccolo. Rapporti interpersonali più immediati e facili, incentrati sulla velocità di comunicazione e sulla forza della correttezza, della legalità, del controllo del territorio, per affrontare e risolvere le questioni che la Comunità pone.

L’opportunità di rafforzare il territorio ennese da troppo tempo sottoposto a tentativi esterni di disgregazione e protettorato, l’occasione di spostare la centralità del territorio verso nord; la possibilità di dare ai territori, dalle “montagne” al mare, una giusta rappresentanza autorevole ed endogena, non più occasionale ma permanente; l’opportunità di creare un turismo interno al territorio che si muova sull’asse montagna/mare, di avere una porzione di costa dedicata a una nuova rinascita complessiva dell’Isola, attrezzata ed efficiente, potenziata da strutture innovative affidate alla formazione e alla ricerca universitaria;

Tutto questo significa un aumento della forza contrattuale per ogni singolo comune e quindi per il territorio dell’area.


Lavorare per rafforzare ogni comune, per rafforzare questo territorio non significa farlo a discapito di altre aree siciliane, poiché la crescita di quest’area serve anche a dare un altro aiuto alla Sicilia intera.

L’occasione che offre la Legge sui Liberi Consorzi, con tutti i suoi limiti, deve essere colta nella sua essenza più ampia, con un’assunzione di responsabilità che deve andare oltre gli atteggiamenti classici che risiedono nelle preoccupazioni del cambiamento.

Occorre cogliere l’occasione che il legislatore regionale ha offerto per rideterminare le sorti di questa porzione di Sicilia, ridisegnando i confini di un territorio che vuole essere più forte, che sia più omogeneo, più capace di determinare il proprio futuro, che offra più garanzia ai propri giovani.

Un territorio che sia più solidale, più ricco, che sappia unire piuttosto che dividere, che aggreghi, che produca, che offra opportunità.

Dare forza ai comuni, insomma, ridare alle loro Comunità l’orgoglio del riscatto sociale, della rinascita, utilizzando al meglio le possibilità che offre la legge sui Liberi Consorzi, diventa quasi un imperativo. Un’occasione unica.

Nei limiti del dettato normativo, la Legge Regionale sull’Istituzione dei Liberi Consorzi, proprio per i limiti che detiene, favorisce l’aggregazione e quindi il rafforzamento di questi comuni più che la loro disgregazione.

Il primo comma dell’articolo 12 della legge limita la costituzione di nuovi Liberi Consorzi, alla continuità territoriale oltre che al residuo di almeno 150.000 abitanti nei consorzi, attualmente provincie, di provenienza, mentre la let.b, c.1, art.2. Impone almeno 180.000 abitanti per i costituendi nuovi Consorzi.

In considerazione del fatto che l’art.1 dispone che l’ex provincia Regionale di Enna diventa in automatico Libero Consorzio, l’unione dei comuni vicini è immediatamente possibile nel pieno rispetto della norma.

Questo documento rappresenta il primo atto ufficiale e congiunto che i sindaci delle città firmano come attestato di amicizia, reciprocità e collaborazione dei comuni verso un unico Libero Consorzio.

Ovviamente l’argomento sarà motivo di ampio dibattito dei Consigli Comunali e delle Comunità interessate, e l’adesione al documento rappresenta esclusivamente la volontà dei Sindaci firmatari a invitare al dibattito e non certo quella di assumersi la responsabilità di una scelta che, si ripete e si sottolinea, appartiene ai Consigli Comunali e alla Comunità, anche in considerazione dell’atto deliberativo di CC e del successivo referendum previsti nella legge. [fonte: ViviEnna]



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