di Salvatore Emanuele.
Vivendo il presente, e ricorrendo la annuale mostra del
cavallo di razza sanfratellana, ovverosia del comune di San Fratello in
provincia di Messina, nel territorio dei monti Nebrodi, un’area feconda di
flora e di fauna pregiate, mi piace ricordare a tutti quanti sono al disotto
della veneranda età di ottantenni, quanto avveniva ancora negli anni
trenta del secolo XX e prima ancora che i venti di guerra mussoliniani
sconvolgessero il quotidiano andare.
Nel Regio Esercito, militavano oltre che i soldati anche gli animali da soma:
muli per le fatiche pesanti di trasporto pezzi di cannoni ed altro, financo le
casse di cottura per rifocillare i militari. I cavalli, invece erano adibiti
all’assalto del nemico nelle battaglie cruente del corpo a corpo.
In Italia v’erano diversi reggimenti di cavalleria dotati di equini di razza
eccelsa. I’agile e veloce destriero sanfratellano ne era l’antonomasia.In
questo antico paese del parlare stretto in lingua Gallo-Italico, vige tuttora
il parlare di quel dialetto ch’è venne a crearsi per la mescolanza di coloni e
soldati qui giunti al seguito di Adelaide del Monferrato. Provenivano dalla
Lombardia, dal Piemonte e dalla Provenza ed ancora dall’Emilia Romagna insieme
a qualche ligure.
IL CAVALLO SANFRATELLANO
U’ caveu sanfrardiean
Bello, imponente, orgogliosamente fiero di essere tale. Lo si potrebbe definire
un equino affetto da narcisismo.
Vanagloria? No! Verità oltremodo vera.
Molti di coloro che di anni ne contano meno di ottanta non sanno, e
neanche lo hanno sentito rammentare, che il cavallo sanfratellano veniva
reclutato come i soldati del Regio Esercito.
Era il tempo del caciocavallo sanfratellano, di gusto eccelso e
straordinariamente burroso da fresco, ancor prima della stagionatura.
Tutti gli anni, giumenti e giumente,venivano chiamati alla visita di leva
militare; ciò, può apparire un paradosso, ma tale non è se si ragiona della
vita militare della cavalleria in seno al R.E.
Fin dagli antichi tempi, anche le cavalle femmine, ossia le giumente, venivano
reclutare per adempiere il servizio militare obbligatorio, mentre oggi… tanto
gli uomini quanto le nostre, naturali affini, adempiono il servizio militare,
reso non più obbligatorio, ma volontario.
Le mandrie, giungevano ad Acquedolci la mattina di buonora. Una cavalla madre,
con un campanaccio al collo faceva da battistrada e le innumerevoli giumente la
seguivano, da ambo i lati guardiani ponevano attenzione al fluire del
branco.
Entrambi gli equini di sesso diverso venivano sottoposti ad apposita
visita di idoneità da ufficiali medici veterinari e poi inquadrati per essere
inviati alle scuole di addestramento dei Reggimenti di cavalleria.
Tutte le formalità si svolgevano nel grande spiazzo antistante la torre
quadrata e la sontuosa abitazione baronale del castello Cupane.
Le reclute idonee, venivano trasferite provvisoriamente, dentro le stalle
bovine, vuote per stagionalità. E poi, avviate alla stazione ferroviaria
li vicina per essere trasportate a destinazione.
Far entrare in quei carri ferroviari, dall’aria aperta al chiuso buio dei carri
bestiame, quegli esseri indomiti, era cosa soprannaturale; eppure in ogni
carro vi dovevano entrare otto cavallini di fresco pelo per essere avviati alla
carriera militare.
Una carriera piatta, senza sbocchi di rango, di gradazione; la sola speranza di
diventare cavalcatura di un alto ufficiale per così avere qualche attenzione in
più.
Tutti gli anni a San Fratello vi giungevano, per ferrovia, gli stalloni del
R.E. selezionati per migliorarne viepiù la razza. Giungevano 5 o 6 stalloni
nella stazione delle FF.SS.; custoditi in carri degnamente attrezzati alla
bisogna: uno stallone per ogni carro in cui l’altra metà era destinata ai militari addetti alla custodia: due cavalleggeri per ogni cavallo da
monta. A loro era demandato il compito oltre che di custodia anche quello del
foraggiamento: fave, e anche zuccherini, gli alimenti. L’acqua da bere gli
veniva porta in un secchio di canapa che il militare addetto non metteva al
collo dell’animale, ma lo tratteneva tra le sue braccia fino al soddisfacimento
dello abbeverasi del cavallo.
Trascorreva sempre un giorno tra l’arrivo e la di poi partenza per il luogo di
destinazione programmato per l’accoppiamento; chissà perché, forse era
necessario il riposo dopo il lungo viaggio su strada ferrata.
La mattina, messa la cavezza al «signor cavallo» un soldato lo guidava alla
mèta mentre il compagno se ne stava strettamente dietro, all’accompagno.
E così, in fila indiana fino all’arrivo nelle lussureggianti verdi praterie dei
boschi di San Fratello, regno ospitale del cavallo brado sanfratellano, fiero
del suo essere di razza antica, d’antica schiatta di civiltà
generativa.
fonte: Oggi.it
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