La caratteristica più evidente lasciata dal dominio Normanno resta di sicuro il linguaggio che da 800 anni la popolazione di San Fratello ha adottato come lingua madre.
di Cinzia Baldini.
Disteso sui Monti Nebrodi a
ridosso della costa tirrenica, da cui lo separa un dislivello di circa 640
metri, più o meno equidistante da Messina (di cui fa provincia) e Palermo,
sonnecchia il paese di San Fratello.
Per risalire alle origini di questa
cittadina bisogna riportare notevolmente indietro le lancette dell’orologio del
tempo. Alcuni studiosi, sull’omonimo monte situato a circa un chilometro
dall’attuale centro abitato presumono di aver individuato l’antica acropoli
dell’insediamento greco che costituiva la città di Apollonia da cui San Fratello
sembrerebbe discendere.
La denominazione odierna gli
deriverebbe dal nome di uno dei tre santi fratelli Alfio, Filadelfo (alterato
in Filadelfio) e Cirino martirizzati sotto il dominio dell’imperatore Valeriano
nel 312 d.c. L’etimologia greca del nome Filadelfo infatti è “colui che ama il
fratello” per cui l’evoluzione da San Filadelfo a San Fratello sarebbe stata
quasi naturale.
Dopo l’anno mille le truppe di
Ruggero I re dei Normanni e della sua terza moglie, Adelasia di Monferrato,
giunsero per la conquista della Sicilia, sui Nebrodi. Al loro seguito c’era una
comunità di Longobardi che decise di stabilirsi proprio in quel luogo. La
convivenza pacifica con i locali di etnia greca contribuì alla crescita della
neonata colonia.
La creazione di queste colonie
“normanne” serviva da deterrente per eventuali attacchi portati dagli Arabi dal
versante marino del Tirreno. Come per il resto della Sicilia, anche a San
Fratello i Normanni diedero una notevole spinta alla nascita di una fiorente
agricoltura, un forte incremento del commercio e la arricchirono di preziosi capolavori
artistici.
Del loro passaggio resta in
questa solare cittadina il Convento con il Chiostro decorato di affreschi
cinquecenteschi e la piccola chiesa dedicata ai tre Santi Fratelli arroccata
sulla sommità del Monte San Fratello, affettuosamente chiamato dai residenti
Monte Vecchio e la nascita del cavallo Sanfratellano.
Da alcuni autori è
riportato infatti che questa razza particolare, di carattere docile e di
costituzione forte e robusta sia stata introdotta nei boschi di San Fratello
dai Normanni che li usavano come cavalli da battaglia, da altri autori invece
si ritiene che la razza sia quella stanziale, originale siciliana.
Ondate successive di “migranti”
costituiti da agricoltori e braccianti originari del Monferrato, della Liguria,
del Piemonte e del Veneto, richiamati dalla promessa di terre da coltivare,
rafforzarono il primo insediamento. In seguito con la crescita dell’economia
San Fratello divenne un vero e proprio paese in cui le varie razze si
amalgamarono alla perfezione e fecero propria e unica tradizione dei differenti
usi, costumi nonché gli idiomi.
Infatti la caratteristica più evidente e
sorprendente lasciata dal dominio Normanno resta di sicuro il linguaggio che da
800 anni la popolazione di San Fratello ha adottato come lingua madre.
Dagli studiosi più accreditati
viene definita una lingua gallo-italica riprendendo il termine latino che
identificava i territori del Nord Italia quali Piemonte, Veneto, Lombardia ed
Emilia Romagna come Gallia Cisalpina o “togata” e la parte francese abitata dai
Normanni che costituiva la Gallia vera e propria, abitata dalle popolazioni
Celtiche continentali: i Galli.
Ed il termine Italico a sottolineare le colonie
fondate dai Normanni e dai Longobardi in Italia. Pertanto il gallo-italico
nonostante sia il risultato della commistione di vari idiomi può essere
considerato non un dialetto ma una lingua romanza e perciò una lingua storica a
tutti gli effetti.
Essa si è mantenuta “pura” sino ai nostri giorni senza
subire le contaminazioni che in altre parti dell’isola si sono avute ad opera
del tradizionale e predominante dialetto siciliano. La lingua Sanfratellana è
tutt’oggi una lingua che si evolve rapidamente con i tempi, assorbe i
neologismi della lingua italiana ed i termini stranieri, li rielabora nella
fonetica e nella tipica cadenza e li introduce nel suo vocabolario, così come
ha fatto anche nei secoli precedenti.
Il risultato è quello di una lingua
musicale, moderna, agile e viva ma per le orecchie dei non residenti è una vera
e propria lingua straniera. Non ci credete? Un piccolo
assaggio con un po’ di saggezza popolare:
Chi hiéa tamp n’aspièta tamp
Chi ha tempo non aspetti tempo
N’ fer u päss cchiù dàungh
d-la ièma
Non fare il passo più lungo
della gamba
N’ s pà fer d tutta d’èrba
‘n fesc
Non si può fare di tutta l’erba un fascio.
D’èua d’Auòst mott uoli, mièu
e muòst
La pioggia d’agosto porta olio, miele e mosto.
Fonte: RIVISTA DI LETTERATURA “EUTERPE” N° 13 – SETTEMBRE 2014
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