Nino Caliò.
Sono stato titubante se scrivere o meno questa nota. Poi la
decisione, mettendo da parte qualsiasi tipo di moralismo e senso del pudore (e
anche, in qualche modo, il buongusto).
“E che ci sarà di scandaloso in un dolce pasquale?” –
continuerete a chiedervi.
Be’ effettivamente qualcosa di scandaloso c’è in questi
biscotti fatti con farina 00, uova, zucchero, strutto, lievito, vanillina,
latte e semi di anice, che prendono diversi nomi a seconda delle zone di
produzione: “Pupi cu l’uovu” a Palermo, i “Cudduri” nella Sicilia Orientale,
“Cannati o cannatieddi” nel trapanese , “Panaredda” o “Palummedde” in altre
province siciliane, “Pupiddi” in Calabria.
A San Fratello, invece, si chiamano “Pumpjii”, “Pumpini”.
Un amico mio mi ha raccontato un episodio esilarante
che aveva come soggeto tali biscotti sanfratellani e un suo amico medico, al
quale dopo avere fatto una consulenza gratuita hanno detto: “Dutturi, visto chi
un si vole pajari, ci fazzu fari quattru pumpini ri me’ figghia“. Sfido
maliziosamente qualunque uomo a rimanere indifferente davanti a tale tipo di
proposta.
Il nome molto probabilmente deriva dal termine dialettale
“pumpìan”, che indica qualcosa fatta in pompa magna. Ha chiare origini francesi
o, meglio, gallo-italiche dato che San Fratello è stata ripopolata in era
normanna da soldati coloni lombardi, che hanno lasciato in eredità questo nome
“scomodo” a tali dolci sanfratellani.
fonte: tn24.net
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