Quarto appuntamento
con la nostra rubrica dedicata alla storia (La seconda guerra mondiale).
Riuscire
a vedere i segni che la guerra impresse sulle cose è ormai quasi impossibile,
perché il tempo e la fatica della ricostruzione ne hanno cancellato le tracce;
ma vedere i segni che la guerra ha impresso sul volto degli uomini è cosa
possibile ancora oggi se si ha la pazienza di ascoltare i nostri anziani.
Per descrivere gli
orrori che i nostri soldati videro durante la campagna di Russia, è più
efficace ascoltare la testimonianza di chi ha combattuto in quei luoghi gelidi
ed inospitali, piuttosto che la distratta lettura di un libro di storia.
Un
anziano originario di S. Teodoro e che viveva a Caltagirone, il sig. Giuseppe
Sirna, raccontò a mio padre dei suoi scarponi bucati, dei suoi piedi gelati,
dei fucili italiani che sparavano solo 6 colpi alla volta contro i 24 di quelli
russi, delle bucce di patate che costituivano l'unico cibo... Il fratello di
mio nonno, Ricciardi Benedetto, rischiò la sua vita per salvare il cugino
primo, un suo omonimo, durante la ritirata: non poteva più camminare giacchè i
suoi piedi erano ormai congelati e chiese di essere lasciato lì... ma questo
mio prozio tanto coraggioso, mettendo a repentaglio la propria vita, se lo
caricò sulle spalle e si salvarono entrambi.
Oggi non esisterebbe nessuno dei
Ricciardi residenti ad Acquedolci se il loro capostipite non si fosse salvato!
Due fra i pochissimi che sono tornati vivi da quel paese freddo e immenso dove
la maggior parte trovò la tomba...
Mia nonna, Fazio
Rosalia, mi raccontava sempre di quando mio nonno nascose il grano sotto il
pavimento della casetta di campagna in contrada "Puridda" e di quando i tedeschi
arrivarono lì prendendo tutto quello che avevano, compreso il mulo al
perentorio grido di "Requisisc mul!".
E ancora il signor
Catanzaro Luigi ci raccontò di quando le sue donne facevano il pane di notte
per evitare di essere colpiti dalle bombe americane, tenendo una grande coperta
stesa davanti al forno per nascondere i bagliori del fuoco alle postazioni
tedesche o di quando due soldati tedeschi bussarono a casa sua per chiedergli
due tavole di legno: servivano da lettiga per trasportare un compagno ferito.
Ricciardi Serafina, la sorella di mio nonno, mi raccontò di quella volta che
vide un soldato tedesco, un ragazzo giovanissimo, che piangeva seduto su dei
gradini in via Gioberti mentre guardava la foto dei suoi familiari... o di
quella volta che un soldato tedesco puntò alla tempia del fratello il fucile
per ordinargli di portare in barella un compagno al ricovero allestito per i
feriti nel quartiere Buglio.
Mi ha raccontato di quando, per scampare ai
bombardamenti, si rifugiò con la famiglia nella casa che allora fungeva da
palmento, sita in quel quartiere nella via Generale Di Giorgio numero
164, dove avevano trovato riparo per due settimane più di 50 persone, fra cui il
medico di allora il Dr. Ricca Salvatore che, in quell'occasione, scelse di
stare con i propri compaesani.
Il signor Palazzo
Benedetto, che era stato podestà durante il periodo fascista, ospitò oltre 50
persone durante i
bombardamenti nel pianoterra della sua abitazione adibito a frantoio: si
trattava per la maggior parte di donne e bambini. Al piano superiore, invece,
trovarono riparo alcuni ufficiali tedeschi.
Il sig. Lombardo
Salvatore, invece, nel 1943 era un bambino di soli 11 anni e i soldati americani
volevano prendergli i due buoi che tiravano l'aratro: dopo aver appreso che era
orfano gli lasciarono gli animali e gli regalarono un soldo d'argento.
Più di un anziano,
invece, ci ha raccontato della visione che un nutrito gruppo di soldati
americani avrebbe avuto in località Inganno: un uomo dalla pelle nera e vestito
con un saio avrebbe dato da bere a tutti quanti con una sola borraccia, che
incredibilmente sembrava non svuotarsi mai.
Il signor Scavone
Luigi, che durante i giorni duri dei bombardamenti stava nascosto insieme ad
altri dieci persone nell’abitazione di Via Buonarroti 22, ci ha parlato di un
cacciabombardiere tedesco colpito durante i frenetici giorni dei bombardamenti
in località “Pizz di ghj’iengiu” (Pizzo degli Angeli): morirono 6 tedeschi, 2
piloti e 4 membri dell’equipaggio. Le sei casse di legno che furono costruite
da un falegname del paese, poste su un carro, partirono dalla Casa del Fascio
sita in Via Saverio Latteri al numero 34 (successivamente fu adibita a
pretura), accompagnate da un corteo composto dall’arciprete Salanitro che
camminava dinanzi alle bare con una croce in mano, dalle autorità, dai bambini
col costume da ballila, dalle “piccole italiane” e dalla folla. Dopo il
discorso solenne dell’arciprete i camion del Comando Tedesco trasportarono le
salme fino a Catania.
La signora Di
Bartolo Felicia ci ha raccontato di come una bomba squarciò il piano superiore
della sua casa: con l’aiuto dei vicini e con gli occhi pieni di polvere, i
genitori trasportarono il maggior numero di brande nello scantinato e ivi
passarono con i vicini gli ultimi giorni di bombardamenti mangiando solo pane,
mentre altre sette famiglie del quartiere si rifugiarono negli scantinati di
Palazzo Mammana.
Anche il signor Di
Bianca ospitò una cinquantina di persone nello scantinato della propria
abitazione.
La signora Rosalia
Scavone, nascosta con la famiglia nelle campagne di c.da "Buotto" chiusa nella
casetta rurale, un giorno ha assistito al ritiro dei soldati tedeschi che
andavano verso il fiume: il rumore degli scarponi in marcia durò più di venti
minuti!
Il mio bisnonno Di
Franco Giuseppe si nascose con la famiglia in contrada "Pirrera",
nell’appezzamento di terreno del signor Lo Cicero Giuseppe, portando con sè
Carmelo Cuffari, un amico di famiglia che, all'arrivo degli Alleati, volle
andare a casa a prendere i familiari. Il mio bisnonno lo accompagnò in paese ma
qui gli americani li presero entrambi prigionieri: i più giovani furono
impiegati in tutti i lavori di fatica mentre al mio bisnonno, che era già
anziano, fu ordinato di prendere l'acqua da bere per i soldati.
Alla
vista di quei cadaveri messi a terra in fila non toccò cibo! L’amico Carmelo,
per via dei figli piccoli, fu trattenuto solo poche ore e poi gli fu consentito
di tornare a casa. Al primogenito, che era andato a trovarlo, fu tolto il pane
ed il formaggio che aveva portato al padre. Il luogo in cui furono portati e in
cui allora gli Alleati stabilirono il loro quartier generale e ove si
accamparono si chiamava “Vadan di la Veu” (l’area pianeggiante che si estende a
vista d’occhio sotto l’odierna Piazza Federico II). Questo fu il luogo in cui
gli Alleati portarono tutti i cadaveri dopo averli raccolti da ogni dove ed i
sanfratellani in quei caldi giorni di agosto dovettero assistere al triste
spettacolo dei camion che passavano per le strade del centro piene di corpi
accatastati.
Mia nonna Eloisa e il fratello Francesco erano tornati in paese lo
stesso giorno in cui era salito il padre perché si erano preoccupati non
vedendolo tornare: alla vista dei cadaveri lungo la strada, mio zio mise la sua
giacca sulla testa di mia nonna per impedirle di guardare. Prima di giungere a
casa incontrarono il soldato piemontese a cui tante volte avevano dato da
mangiare mentre si trovavano in campagna e chiesero notizie del compagno
Gianni: la notizia della sua morte gettò ancora di più nello sconforto mia
nonna, già preoccupata per la sorte del padre. Due giorni dopo, tornando a casa
sano e salvo a stomaco vuoto, il mio bisnonno meditò nel suo cuore pensieri
tristi e parlò pochissimo.
Quelle generazioni e anche la generazione di mio
padre, nata in quel periodo e cresciuta in povertà negli anni difficili del
dopoguerra, hanno vinto la loro battaglia perchè hanno saputo risollevarsi e
ricostruire una nazione all'insegna dei valori umani e della democrazia...
A
cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo, Biografia di una bomba
Viene in mente ache a me qualcosa di quanto accaduto nella campagna di Russa al Sig. Latteri Filadelfio, abitante nella zona frana, aveva la cantina e aggiustave le penole di rame.Mi trovavo per caso un giorno nella sua bottega e raccontava quando era prigionero in Russa, per il freddo avveva le ditta dei piedi come diceva Lui:"cinqu cocci di brascia" e mancu putevu camminari e p..mangiari scorci d.. patati e chidu ch truvavi nta la munizza ed altre situazioni di cui ricodo vagamete.Saluti
RispondiElimina