CULTURA
Poesie nel dialetto galloitalico di San Fratello di Giuseppe Cancelliere. La Catarsi nella poesia onesta.
Benedetto Di Pietro.
Questa raccolta di poesie vuole essere un segno che anche
nei momenti meno fortunati della vita di una persona la poesia può essere
salvifica, oltre ad essere espressione dei propri sentimenti.
Se Giuseppe
Cancelliere, autore di questo libro, non avesse incontrato ad un certo punto
della sua vita la casualità di perdere la vista, con ogni probabilità avremmo
avuto tra le mani più di un suo libro di poesie basate sulle sue esperienze
personali avendo egli viaggiato molto. Ma forse in queste ipotetiche poesie non
avremmo trovato il movente principale della pulsione poetica: la necessità di
esternare il proprio dolore aggrappandosi ai suoi versi che qui assumono anche
valore informativo e liberatorio dei movimenti ostili del pensiero.
La poesia di Cancelliere nasce dallo stato delle cose e sarebbe illusorio dare
risposte alle domande che emergono dai suoi versi, pena il rischio di essere
retorici ed elusivi. L’autore ha aderito al mio invito di pubblicare queste
poesie, scritte nel dialetto galloitalico di San Fratello, e in buona parte si
tratta di traduzioni di liriche composte nella lingua nazionale. Io stesso ho
operato abbondanti rimaneggiamenti dei versi, in primis perché tra i due codici
linguistici esistono diversità sintattiche, e poi perché il lessico sanfratellano,
come tutti i dialetti antichi, è legato all’attività agricola e alla
pastorizia, quindi non contiene termini scientifici e tecnologici, così bisogna
ricorrere a prestiti della lingua nazionale.
In origine le varie liriche seguivano un percorso temporale legato ai periodi
in cui l’autore le ha scritte, la suddivisione in sezioni è stata da me operata
arbitrariamente per ottenere un’organizzazione basata sugli argomenti, più che
sulla logica, in quanto alcune poesie potrebbero far parte di diverse sezione.
Ho raggruppate nella sezione “Le vie dell’adolescenza” le poesie in cui il
poeta parla di personaggi e luoghi del paese d’origine1,
che a causa dell’emigrazione diventa l’Eden perduto. Qui riemergono i ricordi e
le esperienze sensoriali ed è il luogo in cui “la poesia che ancor oggi nasce
spontanea / non appena l’alba risveglia il mio San Fratello, / l’armonia dei
versi, le parole le scrive l’atmosfera / che c’è nei vicoli e le strade2.”
(Da te sono tornato).
La sezione “Nell’intimo del cuore” include le poesie di carattere amoroso. Vi
troviamo i sentimenti che caratterizzano gli innamoramenti giovanili: passione,
corporeità, sensualità, gioia e delusione. L’amore è concepito in maniera
totalizzante e la natura gioca un ruolo predominante e partecipe all’amore dei sensi:
“Notte senza luna, / buia come l’inchiostro, / sotto le morbide ombre degli
alberi, / complici con due anime innamorate segrete, / che nell’intima oscurità
si sono amate. / Il gufo venuto forse a spiare / non udì nulla / e si mise a
cantare.” (Notte senza luna). E ancora: “Che importa se cade la pioggia, /
appassiscono i fiori e muoio-no le foglie, / fiorisce in me la gioia / che
nasce con la tua presenza, […] e fa diventare bella e unica / questa nostra
sera d’autunno.” (Sera d’autunno).
I sentimenti più intimi sono raccolti nelle liriche della sezione “La luce
dell’anima”. V’è patimento e nonostante il grave problema della cecità che
affligge il poeta, c’è ostentazione delle bellezze dell’esperienza del passato
che ora aiuta a superare il vivere quotidiano. A volte c’è rabbia (mai
disperazione) per ciò che il poeta avrebbe fatto e non ha potuto fare a causa
della sua condizione. C’è rassegnazione, certo, ma c’è anche superamento della
costernazione attraverso la fede: “Se avessi ancora lacrime so che piangerei /
come una nuvola gravida di pioggia, / ma ringraziando il Signore ancora sono
vivo, / le fontanelle che avevo ormai sono secche / e senza ombra d’egoismo
dico che al mondo c’è di peggio.” (Nel mare delle tenebre). Nelle liriche
dedicate ai genitori c’è afflato e ricordo costante della visione del loro
sorriso: “/ prima che le tue forze andranno via, ti prego / di lasciarmi in
eredità la tua saggezza, / il più bello dei tuoi sorrisi a memoria” (Vecchio
del mio cuore), e ancora: “Vengo a versare la tristezza, la solitudine, il mio
pianto amaro, […] senza esitare rubo il tuo dolce sguardo / che dalla
fotografia mi sorride” (Mi manchi).
Giuseppe Cancelliere si rivolge alla sua poesia come portatrice di messaggi
amorosi, “[Versi miei] Se un giorno incontrerete colei che sempre ho amato, /
sono certo che in voi si riconoscerà, / così semplicemente meglio di me voi le
direte / che l’amore che non fui capace di esprimerle / ancora oggi lo sento.”
(Miseri versi miei). Subentra la consapevolezza di non essere più in grado di
scrivere “Gli occhi ansiosi più di ieri, / incolla-ti sul candore immacolato
della carta, / lunga l’attesa, il desiderio sfuma in sonnolenza, / il foglio
vuoto ingiallirà in mano al tempo, / senza poter lasciare altri pensieri al
mondo, / né nuovi versi da ricordare” (Pensieri).
Al poeta non resta che esprimere il desiderio irrinunciabile di ogni artista,
di augurare alle proprie opere di continuare ad esistere dopo la propria
dipartita: “Voi resterete qui, / racconterete di me / versi del mio cuore, /
frasi mie sconnesse, / pensieri tramutati in parole. / E se io potessi, / darei
a voi l’eternità.” (Se potessi).
C’è anche uno sconfinamento nel sociale e il poeta non vuole sentirsi correo
dei misfatti che affliggono il mondo attuale. In particolare c’è riferimento
esplicito agli eventi drammatici dei nostri giorni in cui i terroristi uccidono
in nome di Dio. Quindi il poeta urla forte il suo “j’accuse”, implorando che i
potenti facciano il possibile per alleviare il dolore che continua ad
affliggere i popoli. Si sente difensore dei deboli, anche se sa di non poter
fare nulla, e rimprovera a Dio il disinteresse verso le cose degli uomini con
questi ossimorici versi: “Che Dio perdoni tutti i miei peccati, / ma sono
diventato ateo” (Senza pietà). Dopo l’elaborazione dei dubbi esistenziali si
affida alla consolazione della fede: “Se ho sbagliato e questo è il mio castigo
/ ti ringrazio, o mio Signore, chiedo solo / di poter ritrovare l’emozione
della fede smarrita” (Nel mare delle tenebre).
In conclusione, Giuseppe Cancelliere ci consegna una poesia solare e barocca,
con ridondanza di aggettivi e di sinonimi, tra i quali si evidenziano la luce,
il sorriso, la gioia, l’incanto ed altri riferimenti alla persona ed alla
natura, che denotano uno sforzo continuo per colmare la privazione di necessità
primarie e sociali. Il tutto in un contesto di nostalgia per il tempo passato e
di melanconia personale, che coinvolge il lettore facendolo sognare e soffrire
senza mai stressarlo. Il risultato è la catarsi operata dalla poesia, quando è
onesta, verso sé e verso gli altri.
1 Alcune di queste poesie sono già apparse
nell’antologia “Parole sanfratellane nel Web” a cura di B. Di Pietro (Montedit,
Melegnano 2016). 6 Giuseppe Cancelliere.
2 Per semplicità di lettura qui riporto la traduzione
dei versi.
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