Daniele Ferrara.
In svariate località della Sicilia la Settimana Santa è la
festa principale ed è celebrata con particolari ritualità dalla simbologia
densa e profonda. I sette giorni fra la Domenica delle Palme e la Pasqua
vengono popolati da misteriose creature e impegnati da precisi e irrinunciabili
appuntamenti: i Misteri, i Sepolcri, i Giudei, il Calvario,
i Sanpauluna, la Scendenza, i Diavoli, la Junta.
Nella Settimana Santa a San Fratello irrompono i Giudei.
Essi sono figuri misteriosi dotati di trombette dal suono acuto, con abiti
simili a uniformi militari ottocentesche rosse e gialle decorate con motivi
floreali, animali o immagini sacre, sul capo un elmetto crestato, il volto è
coperto da una maschera anch’essa rossa che riproduce un viso rubicondo con
lingua nera estroflessa. Dal Mercoledì al Venerdì è la Festa dei Giudei:
essi si aggirano per la città suonando, scherzando e visitando le case, ma il
culmine della loro partecipazione è nel Venerdì Santo, quando, al passaggio
della varetta del Cristo morto, intervengono facendo squillare le trombe
beffarde in contrapposizione alla musica luttuosa della banda che
accompagna il corteo.
Anche a Pozzo di Gotto, nella processione delle
Varette, si può individuare un’altra forma più blanda di Diavolata presso l’Urna
del Signore Morto, portata e guardata da gruppi d’individui che qui sono
detti Centurioni, anche se talvolta sono chiamati anche Giudei. Essi
rappresenterebbero i soldati romani di guardia alla tomba di Gesù, ma i loro
vestimenti mettono l’occhio attento in un’altra strada: tute rosse con corazze
rosse o nere, con lance, ma soprattutto curiosi copricapi altissimi
(simil-aztechi!) costituiti da piume in particolare di pavone; interessante, in
quanto quest’uccello è sacro a Giunone, dea della maternità – e avversaria di
Dioniso fino all’ascensione–, nonché simbolo d’immortalità. Queste maschere a
differenza delle altre sono rivestite di solennità e compostezza.
La Domenica di Pasqua ad Adrano la Diavolata
diviene teatro: tradizionalmente viene inscenato il poetico dramma del
1752 La Risurrezione di Anselmo Laudani che si compone di due parti: la
Diavolata e l’Angelicata. Il primo tempo – detto pure i Diavulazzi di
Pasqua (di più vecchia rappresentazione) – vede tre demoni dai costumi
scuri e terrificanti, che hanno i nomi di Lucifero, Astarot e Belzebù, dolersi
per la resurrezione del Cristo Dio che ha tolto anime agl’Inferi, insieme alla
Morte abbigliata di giallo e d’ossa, costretta da una bambina dalle vesti rosee
rappresentante l’Umanità redenta e da un fanciullo Arcangelo Michele, a
spezzare il proprio arco mortifero; questo poi è lanciato tra la folla che lo
frammenta ulteriormente per conservarne i pezzi a scopo apotropaico.
Ecco arrivata la Pasqua del Signore: ci spostiamo a
Prizzi. Compare un gruppo di Diavoli con tute rosse ed enormi
mascheroni tinti dello stesso e lunghe chiome arruffate nere o bianche agitanti
catene fragorose; li conduce la Morte vestita di giallo e dal
temibile volto scheletrico che rotea nella mano la sua feroce balestra con cui
spegne le vite. Essi, aggirandosi per la città tutta la mattinata, catturano i
passanti o danzano con loro; è possibile incontrare anche diversi giovani Diavulicchi.
Nel pomeriggio, quando le varette dell’Addolorata e del Cristo risorto
s’avviano a incontrarsi, i Diavuli e la Morte si frappongono fra
loro cercando d’impedire lu ‘Ncontru, e realizzano l’Abballu de li
Diavuli: un paio di volte le due varette si ravvicinano scontrandosi coi demoni
nel mezzo, ma alla terza volta essi vengono atterrati da due Angeli e
simultaneamente il velo nero della Madonna scivola scoprendo quello azzurro: il
Dio Risorto si è finalmente ricongiunto alla Madre Terra e subito torna la
primavera con i suoi frutti.
Teniamo presente che queste mascherate sono un’usanza
risalente probabilmente alle feste primaverili dell’antichità e direttamente
collegate al già passato Carnevale, tanto più che nei Nebrodi è risaputo
esserci stata una forte fede dionisiaca.
Anche se potrebbero sembrare figure diverse, si tratta delle
stesse, seppure con una personalità doppia. Quando non hanno esplicitamente
l’aspetto di figure mitologiche e sovrannaturali, assumono le sembianze e i
nomi degli uccisori di Gesù, ma conservano pur sempre nel vestiario e negli
atteggiamenti quei caratteri che li fanno riconoscere come discendenti dei
Satiri dionisiaci; essi invero accompagnano il Cristo nella morte, senza
versare lacrima alcuna poiché già conoscono il mistero della sua discesa
all’Averno e non hanno timore che possa non riemergere. Contemporaneamente, nel
festeggiamento della finalmente sopraggiunta primavera essi si fanno
riconoscere anche come i demoni invernali, i mostri del gelo portatori di
morti, ormai sparuti, che devono essere alfine sconfitti per celebrare il
trionfo dell’Uomo Vivo, il nuovo fiore sbocciato.
fonte: tempostretto.com
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