Una stazione umana permanente ai piedi del Monte (Tra Storia e Leggenda, 3)


La grotta di S. Teodoro è nota agli studiosi sin dal 1859, anno in cui Francesco Anca, barone di Mangalaviti, la scoprì ed effettuò i primi scavi, rinvenendo al suo interno numerosi resti fossili di mammiferi fra i quali resti di carnivori mai trovati nelle poche grotte siciliane fino ad allora note. 
Con l’aiuto dello studioso francese Édouard Lartet, Anca determinò la fauna fossile presente nella grotta. Uomo eclettico e grande patriota, Anca effettuò uno scavo all’interno della grotta rinvenendo due orizzonti ben distinti: nell’orizzonte inferiore si trovava un deposito a mammiferi estinti, in quello superiore, oltre ai resti di specie utili all’alimentazione dell’uomo, una innumerevole quantità di armi in pietra che lo portarono a concludere che la grotta di San Teodoro fosse stata una stazione umana permanente

"...La disposizione, la profondità, l’ampiezza, la inflessione, ed i luoghi reconditi di questa grotta potrebbero farla ritenere come una vera stazione umana permanente, dando il locale l’agiatezza di stare al coverto dagli agenti atmosferici, ed apprestando l’agevolezza di procurarsi il vitto colla caccia nei soprastanti boschi, e colla pesca nel prossimo mare; oltreché avrebbero avuto una sorgiva di fresche, abbondanti e dolci acque a piè della collina; donde la contrada tolse il nome di Acque dolci (Anca, 1860).

La collezione del barone Anca è oggi custodita presso il Museo Geologico “G.G. Gemmellaro” donata dallo studioso stesso nel 1886. Dopo gli scavi del barone Anca, la grotta non fu più oggetto di ricerche sistematiche anche se, alla fine dell’800, diversi studiosi tra cui Gaetano Giorgio Gemmellaro e il marchese Antonio De Gregorio si occuparono di particolari aspetti della fauna fossile. [Fonte: Carolina Di Patti]

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