Sull’ortografia della denominazione dialettale di San Fratello

 


di Giuseppe Foti

Su sollecitazione di alcuni amici, rispondo ad una domanda, divenuta ricorrente, in merito alla resa ortografica di un segmento fonetico del dialetto galloitalico di San Fratello: la realizzazione -eu in corrispondenza del suffisso -eḍḍu del siciliano, un tratto del nome stesso dell’antico centro nebroideo, San Frareu. Su questo nome, la storia linguistica ha agito in passato, determinando, per paretimologia, l’attuale  “San Fratello” a fronte dell’originario “San Filadelfio”, come è nei documenti medievali. È quindi venuto in sorte al dialetto il compito di fungere da depositario della memoria del toponimo storico, così come della cultura tradizionale, al netto delle possibilità di rivitalizzazione che il sanfratellano ha dimostrato anche recentemente. Oggi si torna su questo nome, interrogandosi su quale debba essere la veste grafica che lo rappresenti.  La questione si inquadra nella cornice più ampia dell’ortografia della sua parlata di origine altoitaliana, e questa, a sua volta, nella storia degli studi sull’argomento e nei progetti di ricerca in itinere e futuri.

 

Dando per acquisita e veramente condivisa la consapevolezza del valore di una parlata così peculiare come la sanfratellana, è opportuno, in premessa, precisare che si tratta del più studiato fra i dialetti galloitalici della Sicilia. Ormai dal 1857, grazie a folcloristi quali Lionardo Vigo, a cultori locali come il nostro Luigi Vasi, a linguisti di fama come Giacomo De Gregorio, Giuseppe Morosi, Carlo Salvioni e Gerhard Rohlfs, il sanfratellano è stato esaminato, soprattutto sul piano fonetico, per conoscerne le interessanti peculiarità nel confronto con i dialetti settentrionali di origine, con il siciliano e con l’italiano. Dalla seconda metà del secolo scorso, l’Università di Catania diventa il centro propulsore degli studi sulla nostra parlata. Grazie all’impegno del professore Salvatore Riolo e, soprattutto, del professore Salvatore C. Trovato, nella scuola di Giorgio Piccitto prima e Giovanni Tropea poi, l’esame del dialetto di San Fratello riprende con rinnovato slancio, col fine principale di giungere alla redazione di un suo vocabolario scientifico.

Proprio Salvatore C. Trovato, professore emerito nell’Università di Catania, responsabile scientifico del “Progetto Galloitalici” e massimo conoscitore delle parlate settentrionali di Sicilia -tra le sue pubblicazioni più recenti, con Salvo Menza il Vocabolario del dialetto galloitalico di Nicosia e Sperlinga e la monografia Parole galloitaliche in Sicilia-, elabora nel 1999 la nuova ortografia del sanfratellano, così come aveva già fatto per i dialetti galloitalici di Nicosia, Sperlinga e Piazza Armerina. La veste grafica, improntata al criterio fonologico e morfematico, viene studiata proprio in previsione della redazione di un Vocabolario scientifico, ma diventa subito uno strumento straordinario, in grado di riavviare, nelle mani del sanfratellano Benedetto Di Pietro, una ricca produzione letteraria dialettale. Quest’ultimo, fine scrittore e infaticabile animatore culturale, è stato capace, fino alla recente scomparsa, di gettare le basi della più ricca produzione dialettale che si possa attualmente vantare tra tutti i comuni galloitalici di Sicilia. Recentemente, chi scrive ha messo in rapporto sistematico l’ortografia del professore Trovato con i suoni del sanfratellano, nella dimensione storica e in quella contemporanea (G. Foti, Fonetica storica, fonologia e ortografia del dialetto galloitalico di San Fratello).

 

Secondo questa ortografia -per giungere ora alla risposta- la forma preferibile per la denominazione dialettale di San Fratello è “San Frareu”, perché rispecchia la sequenza dei foni del nome proprio “Frareu”, letteralmente ‘Filadelfio’, con i fratelli Alfio e Cirino, uno dei tre santi martiri protettori del paese. Sul piano storico, si tratta dello sviluppo dell’etimologico Philàdelphos che genera la forma San Filadelfo, documentata per l’anno 1176. Questa, incrociandosi con il latino *FRATELLU, dà luogo a sviluppi del tipo Filadello, Fladello che precedono il siciliano San Frareddu e il galloitalico San Frareu. Anche le altre parole siciliane in -eḍḍu trovano nel sanfratellano la stessa corrispondenza (es. sic. ciaraveḍḍu, sfr. ciarveu ‘capretto’; sic. carrateḍḍu, sfr. carrateu ‘caratello’; sic. surfareḍḍu, sfr. surfareu ‘fiammifero’, sic. rumaneḍḍu, sfr. rumaneu ‘cordicella’ ecc.). Questa resa grafica è suffragata concordemente dagli studiosi sopra elencati, nelle loro trascrizioni fonetiche o ortografiche. Nell’ordine, scrivono -eu  nel contesto esaminato: Luigi Vasi in Delle origini e vicende di San Fratello, Giacomo De Gregorio, Carlo Salvioni, Gerhard Rohlfs nei suoi contributi all’Atlante (linguistico) Italo-Svizzero, Benedetto Rubino in Folklore di San Fratello, Salvatore Riolo nel suo Lessico del dialetto di San Fratello (I, A-L) e, recentemente, Roland Bauer, dell’Università Humboldt di Berlino.

 

Per completezza, è opportuno aggiungere che la scrittura Frareu concorre, in grafie spontanee di scriventi nativi, con forme del tipo “*Frareau”, spiegabili come effetto di analogia con le parole che continuano il segmento -ĔLLU(M) del latino. Queste sviluppano regolarmente Ĕ nel dittongo [-jε-] (es. anièu ‘anello’, martièu ‘martello’, rastrièu ‘rastrello’, capièu ‘cappello’ ecc.) che alcuni parlanti percepiscono quale dittongo discendente, con conseguente indebolimento della (semi)vocale posta fuori d’accento che non giunge, tuttavia,  alla vocale centrale bassa [a]. A fronte del limitato campionario ortografico delle vocali dell’italiano, questa [ε] semivocalica medio-bassa è ricondotta intuitivamente al grafema <a> anziché, più correttamente, al grafema <e> (*castìau ‘castello’, *cutìau ‘coltello’ ecc. e, per analogia, *Frareau) ed è estesa sistematicamente a tutte le ricorrenze del dittongo [-jε-]. Per di più, la presenza di grafie omografe in forme che differenziano il significato per l’altezza della vocale, offre ulteriore conferma sull’opportunità dell’uso di scritture ragionate. Si pensi, ad es. a  <*ghj spijai> che, nelle grafie intuitive, vale tanto ‘gli/le ho chiesto’, quanto ‘gli/le chiedete?’ (per le più opportune <ghji spijèi/ ghji spijai?>), o, in contesto eterosillabico, <*sinciar ‘sincero’> e <*s’ nciar ‘si chiude’> (per <sincièr> e <si nciar>).

 

 

Giuseppe Foti, 24 febbraio 2021  

 

 







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