Nuovi quesiti e considerazioni sulle probabili correlazioni tra la storia degli ebrei in Sicilia e la festa dei Giudei a San Fratello

 


di Rosalia Ricciardi e Fabio Messina.

Il 18 giugno 1492, Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia, in seguito alla grave crisi economica

del regno spagnolo e della Sicilia, che era vice‐reame, emanarono l’editto che impose agli ebrei

l’abbandono della Sicilia entro tre mesi, pena la morte.

Gli ebrei vivevano nella regione da tempi remoti: partendo dalla Palestina in seguito alla diaspora

del 70 d.C. e fino al 1492, l’isola era abitata da una percentuale di ebrei superiore a quelli presenti

in qualsiasi altra regione europea, oscillante – secondo stime controverse – da un minimo del 5%

per città, ad un massimo del 50% nella città di Marsala. In media circa il 10% della popolazione

siciliana in quel momento era di religione ebraica. Gli ebrei banchieri, avevano finanziato la guerra

di Ferdinando il cattolico contro i musulmani di Spagna e avevano anche aiutato economicamente

il governo islamico in Spagna contro lo stesso re: essi riconoscevano ai musulmani la tolleranza

dimostrata nei loro confronti. Erano sempre stati considerati gli eredi di coloro che, nel sinedrio,

avevano condannato Gesù alla morte, un pregiudizio che hanno scontato e sconteranno fino ad oggi

nella memoria collettiva. Per cercare di capire questo passaggio, dobbiamo assolutamente tornare

alla storia.

In seguito all’emanazione dell’editto, si doveva abbandonare la Sicilia e la Spagna, vendere tutti gli

averi oppure rimanere, accettare il cristianesimo e rinnegare l’antica fede. Fu logico che per il re fu

una rivalsa post‐bellica per l’aiuto che essi avevano dato al regno islamico. Già prima del 1492 operò

in Sicilia un tribunale, definito “Della Santa Inquisizione”, che spesso portò alla condanna a morte

numerose vittime di religione ebraica. Questo atteggiamento prevaricatore della Chiesa, che

inseguiva l’ideale dell’unica religione praticabile ‐ quella cattolica ‐ continuò per secoli, anche dopo

l’unità d’Italia, perché con la nascita del Regno sabaudo si sancì la religione cattolica come unico

culto del regno. I fatti, le testimonianze e gli eventi furono posti sotto silenzio, affinché ne fosse

cancellata ogni traccia nella memoria storica: di fatti, oggi questo amaro capitolo della nostra storia

fatica a venire a galla.

Dopo il 15 giugno 1992, a seguito del noto convegno “Italia giudaica, gli ebrei in Sicilia sino

all’espulsione del 1492”, nasce finalmente per gli storici l’interesse per la storia degli ebrei in Sicilia.

Il numero di ebrei in uscita dalla Sicilia non è mai stato calcolato: forse i poveri preferirono andare

in cerca di nuove terre, mentre molti ricchi ebrei si convertirono – magari solo apparentemente –

perché la vendita frettolosa dei loro beni non sarebbe stata probabilmente redditizia.

Molti fuggirono a Napoli, altri in nord Africa, a Salonicco, nelle isole del Dodecaneso, altri sparsi per

il mondo, come vuole la tradizione biblica di un popolo errante che non troverà mai pace.

Straus, nel libro “Gli Ebrei di Sicilia dai Normanni a Federico II” (Flaccovio editore), cita di ebrei dai

cognomi siciliani morti ad Auschwitz e deportati dai Balcani (Ugnu, Nascazza, Messini, Capizzi)

durante il nazismo, a testimonianza dell’esodo avvenuto verso quell’area dell’Europa orientale

cinque secoli prima.

Il sultano del regno ottomano mandò una flotta in Spagna e in Sicilia per accogliere i profughi e

trasportarli in Turchia: oggi a Istambul la concentrazione di persone di origine ebrea è altissima.

Chi decise di restare in Sicilia affrontò tempi duri, perché la finta conversione non veniva accettata

e furono sottoposti a pressanti imposizioni fiscali e a pesanti umiliazioni.

Non è facile, dunque, determinare per quanto tempo essi professarono la religione ebraica in Sicilia

segretamente. Il punto focale di tutto ciò è che chi rimase, finse di essere diventato cristiano ma, segretamente, cercò di mantenere usi e tradizioni di origine, cercando di rispettare le cerimonie

ebraiche. Come si può leggere, in quest’ottica, la festa dei giudei a San Fratello?

Essa nacque forse nel tardo medioevo da parte della comunità ebraica come affermazione della

propria identità?

A San Fratello, la pratica di sputare, prendere a calci e frustare – durante un corteo di giudei – un

uomo del popolo che personificava il Cristo, ha a che fare con questo?

Agli inizi di questa tradizione ‐ che potremmo definire una rappresentazione teatrale all’esterno ‐

ove si mette in scena il dramma della condanna a morte di Gesù, i costumi dei giudei erano molto

semplici e non presentavano l’odierna ricchezza di colori e di particolari.

Le foto scattate dal famoso fotografo americano David Seymour a San Fratello nel 1954 (qualche

studioso afferma che le foto col Cristo siano state probabilmente scattate a Mirto), mostrano questa

pratica ancora viva tra le usanze della popolazione locale e raffigurano un Gesù alquanto malmesso

e, soprattutto, arrabbiato per ciò che è costretto a ricevere. Oppure questa tradizione è stata messa

in scena dalla popolazione originaria del posto per accusare, ancora una volta, anno dopo anno, la

colpevolezza dei giudei?

Forse non lo sapremo mai, ma sta di fatto che – analizzando anche i cognomi locali – le prove

dell’esistenza di una comunità ebraica nutrita a San Fratello ci sono. I cognomi, ancora oggi presenti

nel paese, che hanno una sicura origine ebraica per vari motivi (luogo di provenienza, suffisso ‘Di’,

nomi di mestieri e così via), lo dimostrano.

Lo storico Renda descrive dettagliatamente i maltrattamenti che gli ebrei siciliani furono costretti a

subire nella sua opera dal titolo “L'Inquisizione in Sicilia: i fatti, le persone”.

Molti ebrei cambiarono cognome e molti, potendo scegliere, assunsero la forma latinizzata del

proprio cognome da giudeo. Altri scelsero cognomi illustri e questo spiega perché molti ebbero il

cognome di colui che pilotò e indirizzò alla transizione verso la nuova fede. Oltre al luogo di

provenienza, molti cognomi indicano l’esplicazione di arti e di mestieri praticati, sempre in versione

latinizzata.

L’insegnante e ricercatore storico Roberto Sicilia, ha effettuato una interessante ricerca sui cognomi

di origine ebraica suddividendoli in categorie in un interessante video presente su YouTube.

Vediamo quelli riscontrabili a San Fratello:

‐ Amata (da Amato); Barbera; Bellomo (in origine Bellom?); Bongiorno (da Bonjorno); Bordonaro;

Busacca (da Busacac); Calabrese; Calcaterra; Carrini (da Carini); Cusmano (da Cusimano); D’Angelo

(da Dangelo); Depace (Di Paci); Di Carlo; Di Dio (da Jedidia o Obadiah); Di Bianca; Di Patti (Patti); Di

Pietro; Di Bella; Emanuele; Fazio (probabilmente da Bonifazio); Ferrarolo; Gagliani (da Galiano);

Genovese; Gentile (Gentili); Geraci; Granata; Joffe (Giuffrè?), Lazzaro o Lazzara (da Lazaro); Lo

Iacono; Liuzzo (da Liuzza); Lo Balbo (da Balbo); Lo Monaco (da Lu Monaco); Magistro; Mammana;

Manasseri; Mancuso; Marino; Mazzullo; Meli (da Melli); Messina (è il secondo cognome più diffuso

in Sicilia perché, a nostro parere, molti ebrei si concentrarono a Messina prima di partire per l’esilio,

allora porto più grosso di Sicilia ‐ lì avveniva la cernita finale tra chi restava e chi doveva andare e

quelli che restavano potevano essere definiti ‘Messina’ come soprannome); Morello; Mondello (da

Mondella); Montalto (da Montalti); Nucifora; Oliveri (da De Oliveri e Olivieri); Orifici (da L’Orefice);

Palazzo (da Lo Palazzo); Pinto; Pappalardo (Papaloro?); Piazza (nel nostro caso Di Piazza); Pisciotta;

Rausa (o Ragusa); Reitano; Ricca; Rubino (da Rubinstein); Russo (questo è il cognome oggi più

diffuso in Sicilia e forse proviene da una ingiuria, perché agli ebrei era imposto, prima dell’espulsione, di tenere una rotella rossa di stoffa al petto); Salerno; Santoro; Saravalle

(Scaravilli?).

Per gli altri cognomi diffusi in Sicilia si può consultare il sito e anche il libro di Renda “La fine del

giudaismo siciliano” edito da Sellerio.

Se si fa una disamina dei cinque cognomi più diffusi a San Fratello ‐ Carroccio (90), Manasseri (67),

Mancuso (62), Mondello (59) e Versaci (59) ‐ considerando che i primi quattro sono cognomi che

provengono dal nord Italia e che Manasseri, Mancuso e Mondello sono di origine ebraica, la

percentuale di cognomi ebraici sui cinque cognome più diffusi che sono rappresentati da 337

persone, è del 55,8%! E se si ragiona sul totale dei cognomi, sicuramente la percentuale dei cognomi

ebrei, come visto dall’elenco precedente, si avvicina al terzo della popolazione, e questo è un dato

che deve far riflettere al fine di questo studio.

Per quanto riguarda nomi di strade, di luoghi, la toponomastica e i soprannomi delle famiglie,

abbiamo più di qualche traccia a San Fratello ed è una ricerca che sicuramente merita maggiori

approfondimenti:

‐ per i soprannomi raccolti, il soprannome Spagnalu (spagnolo), Giona (dal Giona biblico), Picciottu

(soprannome che forse trae origine dal cognome ebraico Picciotto), Salamuni (sicuramente dal

nome ebraico Salomone), Scialabba (soprannome sanfratellano derivante da Scialabbà, cognome

ebraico), Sciman (dal cognome Scimone che deriva sicuramente da Shi’mon), Alessi (soprannome

derivante forse da cognome ebraico), Barbara (soprannome derivante probabilmente da cognome

ebraico), Belocchji (da Bellocchi, probabile cognome ebraico), Quaddararu (mestiere antico del

fabbricatore e riparatore di pentolame), Chirri (soprannome derivante da cognome ebraico), Rizzu

(dal cognome De Rizo), Lucianu (Luchiano?), Nasu (da Naso), Pellegrina (da Pellegrino), Stagnater

(da Stagnataro, mestiere), Pignataro (mestiere), Nascazza (Nascareddu, soprannome), Sforno

(Sfurnu, soprannome); Carruba (Carrubina, soprannome), Rosselli (Russelli, soprannome); mentre

per il cognome Spagnoletto, in gallo‐italico spagnulotta indica un rotolo di filo per cucire.

A San Fratello anche la toponomastica ci rivela presenze ebraiche, come ad esempio la contrada di

campagna ‘Cammareri’, che deriverebbe da cognome ebraico. Come pure la contrada nel bosco a

sud di San Fratello, Ciccardo, anch’essa da cognome ebraico. Il nome gallo‐italico della contrada di

campagna a San Fratello, Custänz (ossia Costanzo), che deriverebbe dal cognome ebraico De

Costanzo.

Particolare interessante: San Fratello ha una contrada che si chiama Catena, ove agli inizi del ‘900

sorge una piccola chiesa in onore alla Madonna della Catena. Secondo molti storici, tutti i toponimi

indicati col nome ‘Catena’ o Santa Maria della Catena, rappresenterebbero luoghi abitati da giudei.

E infine, fatto clamoroso, la parola ‘marrani’ (sia in Siciliano che in gallo‐italico), è stata molto usata

nel centro di San Fratello per indicare chi veniva da fuori: marrani infatti, erano in origine indicati gli

ebrei. Un’altra contrada di campagna sita tra San Fratello e Sant’Agata Militello, contrada Vallebruca

(Iria), ricorda nella toponomastica il cognome ebraico Valabrega.

Tutto ciò a riprova della presenza di una numerosa comunità ebraica a San Fratello. Anche il blogger

ed appassionato di storia Carmelo Emanuele, nelle sue ricerche su San Fratello, ha trovato fonti

certe sulla presenza di una nutrita comunità ebraica a San Fratello, come pure il compianto

Benedetto Di Pietro – poeta e ricercatore storico – che ha pubblicato sulla rivista “Pagnocco” le

notizie raccolte corredate dalle fonti.

Di notevole interesse è la tesi di laurea sull’argomento, scritta da Marialaura Scaravilli di San Fratello

nel 2012 dal titolo ‘Musiche in conflitto nella festa dei Giudei di San Fratello’, che è diventata un libro. Lo stesso Carmelo Emanuele, tramite le sue letture e la profonda conoscenza della storia

siciliana, ribadisce che non esiste una festa similare a quella di San Fratello, se si esclude un piccolo

paese della Spagna, quindi ancora una volta la Spagna che entra in questa nostra storia.

Se non si può accertare con sicurezza la tesi del prof. Salvatore Mangione che fa risalire la tradizione

ad opera di un monaco nel XIII secolo, non abbiamo nemmeno certezze sulla tesi delle confraternite

che, nel Seicento rappresentavano la Pasqua un po’ in tutta l’isola.

Quello che è certo, è che a San Fratello le rappresentazioni assunsero connotazioni tipiche perché

c’era l’esigenza di convertire al cristianesimo una parte nutrita della popolazione locale (come

abbiamo visto dalla disanima dei cognomi), se non con la forza con la teatralità. Sia Di Pietro che la

Scaravilli, hanno trovato importanti correlazioni con la festa dei Giudei a San Fratello e alcune

manifestazioni in Spagna e in Medio Oriente, ma nulla di simile a ciò che avviene nel centro

nebroideo.

Secondo Emanuele, le rappresentazioni con i Giudei si sono arricchite di volta in volta, portando ad

una evoluzione dei costumi stessi. E probabilmente fu così che comparve, dopo l’elmo romano sul

capo dei giudei, le scarpe in pelle, la coda di cavallo, i lustrini, i disegni più elaborati… e la tromba,

che sarebbe comparsa dopo la seconda metà dell’Ottocento, con la partecipazione dei sanfratellani

alle guerre.

Il sacerdote e storico Luigi Vasi di San Fratello, affermava che la rappresentazione del Cristo era

parte ambita: la popolazione di San Fratello si recava al Calvario – presso l’odierna località ove sorge

la Chiesa di Maria SS. Delle Grazie – per autoflagellarsi, al fine di essere scelti per la parte. Si trattava

dell’inizio di quelle forme di autolesionismo che poi sarebbero continuate durante le

rappresentazioni nella settimana santa. Col tempo – secondo il Vasi verso l’Ottocento ‐ la figura del

Cristo scomparve perché probabilmente, venendo picchiato, esso imprecava e ciò infastidì i

sacerdoti o, più semplicemente, nessuno volle più fare quella parte. E la figura dei giudei, che

inizialmente fungeva da contorno alla rappresentazione, secondo Emanuele, prendono la scena da

protagonisti, trasformando inconsciamente una rappresentazione drammatica in qualcosa di

divertente e liberatorio.

In qualunque modo sia andata, gli ebrei c’entrano sicuramente ma, col tempo, i giovani hanno

messo in scena la figura del giudeo per mangiare, bere, divertirsi e… perché no? Disturbare un

pochino. La figura del Giudeo si è evoluta fino a diventare quella che oggi vediamo e che è ben

descritta nel romanzo ‘Una finestra spalancata sulla Rocca’ al capitolo 9 (R. Ricciardi e M.

Manasseri). Sarebbe dunque una festa che, in maniera spontanea, sia sfuggita al controllo religioso?

Ciò che è nato per la presenza della comunità ebraica a San Fratello, è sfuggito al controllo della

Chiesa e si è evoluto in folklore, nel momento in cui è scomparsa la figura del Cristo?

A parere di chi scrive, probabilmente le confraternite cercarono di controllare manifestazioni che

già erano presenti a San Fratello per cercare di riportarle nell’alveo della Chiesa, ma senza riuscirci.

Ciò che accade a San Fratello è dovuto certamente alla nutrita comunità ebraica presente e merita

ulteriori studi e ulteriore attenzione.

La ricerca potrebbe continuare, anche organizzando un convegno nel centro nebroideo che ospita

questa festa unica al mondo, che in passato da tanti giornalisti era definito il ‘carnevale dei giudei’.

I monaci inquisitori in Sicilia, Giovanni di Giovanni nel 1748 e i monaci fratelli Lagumina (nel 1885)

scrissero sui giudei presenti in Sicilia con cognizione di causa e documentando i fatti: i due libri

rappresentano una preziosa fonte per chi volesse approfondire, per organizzare convegni su questa

nostra pagina di storia e per chi vuole cercare le origini di determinate feste, come quella che si svolge a San Fratello il Mercoledì, il Giovedì e il Venerdì santo. I giudei – riccamente vestiti di rosso

con un costume ornato di lustrini e perline, interamente fatto a mano dalle donne del posto – hanno

la funzione di disturbare le funzioni religiose, suonando la tromba e girando di casa in casa per

festeggiare, mentre il mondo intero è a lutto.

Essi, quindi, bussano di porta in porta per farsi offrire il vino e le tipiche frittelle di cardi cucinate in

quei giorni in casa. Le ricerche, comunque, ancora oggi sono aperte e interessano molti storici: il

dibattito è ancora aperto e molto rimane da scoprire, soprattutto su quanto potrebbe essere

successo a San Fratello.

Una cosa è certa: la perdita di numerosi ebrei in Sicilia ha compromesso in maniera grave l’economia

dell’isola, accentuando la crisi economica in atto perché essi gestivano attività importanti e

redditizie, soprattutto in ambito finanziario e bancario, avendo in mano buona parte del commercio

del regno spagnolo e del vice‐regno siciliano.

Oltre all’attività di prestito del denaro, essi lavoravano molto nel settore di concia delle pelli (a

Vizzini), di lavorazione della seta, di lavorazione del ferro, di coltivazione della canna da zucchero (a

Savoca, come pure nell’ex frazione di San Fratello, Acquedolci, ove era presente una piantagione di

canna da zucchero), nella produzione di maioliche (ad esempio a Naso).

Numerosi ebrei in Sicilia erano medici, con una presenza anche di donne medico che ci sorprende

(e non solo specializzate in ginecologia). Secondo i documenti, 52 erano le giudecche esistenti, con

60 sinagoghe – si possono ancora oggi individuare alcuni di questi luoghi attraverso tracce, indizi e

testimonianze.

Nel libro di Nicolò Bucaria dal titolo ‘Sicilia giudaica’, vengono indicati reperti, oggetti e luoghi in

tanti comuni siciliani: nella provincia di Messina essi interessano Lipari, Messina, la stessa San

Fratello, San Marco d’Alunzio, Taormina e la vicina Randazzo.

Da notare che la nascita delle prime grandi comunità ebraiche nell’isola coincise con le conquiste

arabe di Mazara, Agrigento, Mineo, Caltabellotta, Sciacca, Siracusa, perché gli arabi li tolleravano in

cambio del loro prezioso appoggio. Molti ebrei venivano dall’isola tunisina di Jerba e, difatti,

l’appellativo “girbinu” era usato al tempo come dispregiativo per dire ebreo. Gerbino difatti, è

presente anche a San Fratello, sia come cognome che come soprannome. Inoltre, il termine che

definiva la sinagoga fino all’espulsione era “Meschita”, evidenziando il mescolamento tra le due

culture, quella araba e quella ebraica.

All’inizio di questa conquista, in Sicilia si parlava il greco ma si iniziava a formare il volgare siciliano,

che poi divenne la lingua ufficiale del Regno di Sicilia – e gli ebrei presto impararono a parlarlo meglio

degli autoctoni. A San Fratello, invece, come pure negli altri comuni gallo‐italici, nasce nell’alto

medioevo anche il gallo‐italico, lingua che inizia ‐ a fianco il siciliano volgare che in luogo assume, di

conseguenza, connotati particolari ‐ con la venuta di Lombardi a seguito dei Normanni e

consolidatosi con la probabile (non ancora comprovata) presenza degli Aleramici.

Con i Normanni, invece, arrivarono in Sicilia ‐ oltre ai Lombardi ‐ anche molti ebrei dal nord Europa,

ebrei portati al seguito per essere mezzadri e tenutari di terre ‐ cosa che li distinguerà dagli ebrei

del resto d’Italia. A tal proposito vedasi Strauss in ‘Gli Ebrei in Sicilia dai Normanni a Federico II’.

Ma a riprova di quanto qui si afferma, vi è il raffronto tra molti cognomi della sola zona del

Monferrato presa in esame e cognomi sanfratellani (in qualche caso soprannomi), alcuni dei quali

già citati sopra: Alessio (Alessi, soprannome?), Allegranza (Allegra), Adorno, Balbo (Lo Balbo),

Barbero e Barberis (Barbera), Bellone (Ballone?), Bosco, Calcagno, Catena (il caso già citato della

contrada), Ciraci (Iraci? Geraci?), Colla (contrada di campagna), il già citato Costanzo per la contrada di campagna, Ferraro e Ferraris (Ferrarolo), Gerbi (Gerbino), Giorgi e De Giorgi (Di Giorgio), De Angeli

(D’Angelo), Jona (soprannome), Lanza, Lattes (Latteri?), Lo Bianco (La Bianca, soprannome?),

Lombardi (Lombardo), Maggiora (Maggiore), Malacorda (Malacosta, soprannome?), Malpassuto

(Malupassu, contrada di campagna?), il cognome Mazzucco (soprannome), Merlone e Merletto

(Merlino), Martinez, ovviamente Messina, Morella (Morello), Mondello, Muzio, Oddone (Oddo),

Olivetti (Oliveri?), Patti, Porro (soprannome al femminile Porra), Re (soprannome), Ricca, Rosso e

Rossi come pure De Russis (Russo), Salomone (Salamuni, soprannome), Savio, Scagliotti (Scaglione?)

e la ricerca potrebbe continuare.

Un caso particolare sembra essere quello del cognome ‘Manasseri’ (probabilmente da Manasse), di

chiara origine ebraica e proveniente dal nord Italia: difatti, attualmente, esistono in Italia 112

famiglie con questo cognome, di cui 31 solo a San Fratello, che è il comune in cima alla lista, e 13

nell’ex frazione di Acquedolci; seguono poi l’Emilia Romagna e il Piemonte.

I Manasseri, dunque, arrivarono a San Fratello a seguito dei Normanni, un’altra prova a conferma

della tesi che sostiene la loro presenza nel paese come mezzadri e tenutari di terre.

La loro presenza a San Fratello è oltretutto abbastanza datata, se si considera che Vincenzo

Manasseri era il proprietario degli schiavi etiopi genitori di San Benedetto il Moro, affrancato dalla

schiavitù dal Manasseri per una promessa fatta ai genitori – esso fu battezzato dal Manasseri stesso

e gli diede, dunque, il suo cognome. Considerando che il santo nacque a San Fratello nel 1526,

possiamo tranquillamente affermare che nel Quattrocento era già presente nel paese una comunità

ebraica.

Dunque, se con gli arabi arrivavano gli ebrei gerbini e del nord Africa, con i Normanni arriveranno

gli ebrei dal nord Europa, due distinti gruppi che a volte arrivarono in combutta (come a Ragusa una

ventina d’anni prima dell’espulsione).

Nell’originale lingua gallo‐italico di San Fratello, possiamo riscontrare la parola gallo‐italica

‘giurecca’. Cosa indica? Giudecca? E perché? Con quale funzione? Indica forse il chiasso che questa

comunità faceva in determinate occasioni? Qui ci appelliamo ai linguisti locali per scoprire la radice

e il significato di questa parola. Esistono altre parole gallo‐italiche che si riallacciano alla tradizione

ebraica? La parola agli esperti.

Sulla festa dei giudei, invece, ci può aiutare molto il saggio della studiosa M. V. Strazzeri, dal titolo I

giudei di San Fratello (Liguori Editore) che, sulla scia delle considerazioni dell’attento Sciascia, non

si sofferma sull’apparenza delle cose e indaga a fondo per mettere in risalto la verità nascosta di

questo evento religioso, che ogni anno si ripete a suon di tromba e di schiamazzi nella settimana

santa del centro nebroideo. C’è da dire che la festa dei Giudei a San Fratello, è stata letta e

interpretata da parte di studiosi e di antropologi sotto vari aspetti. Essa comunque si distingue dalle

altre feste religiose pasquali del panorama siciliano, perché alla mistica sacralità contrappone il

frastuono. 

Anche il costume esprime chiari particolari che sono unici: la tradizione araba dei ricami di perline a

formare disegni elaborati, confezionati a mano dalle donne sanfratellane, le scarpe di pelle (forse la

parte del giudeo era svolta dai pastori), l’elmo romano sul capo, la coda di cavallo (presente a San

Fratello ma adoperata come simbolo del maligno), il volto coperto da un cappuccio; ma soprattutto

l’atteggiamento di scherno e di disturbo verso le donne eleganti, i proprietari e gli aristocratici ‐ in

che luce si può leggere questo aspetto?

Spesso nel passato, i giudei burloni saltavano sulle pozzanghere per sporcare le signorine vestite

bene che si recavano alle funzioni, o le sbeffeggiavano con simpatiche canzoncine. 

Che interpretazione si può dare a questo tipo di rappresentazioni? La Strazzeri fa un collegamento

interessante quando ci parla di ciò che è accaduto nel lontano passato a Lentini, quando la comunità

ebraica lì presente, rifiuta la conversione al cristianesimo nel periodo normanno e poi si sposta sui

Nebrodi, seguendo gli antichi sentieri e le regie trazzere medievali. La festa, è forse una rivolta

simbolica contro il cristianesimo, in ricordo di un’antica sopraffazione avvenuta nel passato?

Occorre, quindi, una ricerca che non segua le consuete categorie antropologiche ma che vada al di

là delle apparenze, per indagare a fondo il perché di questa festa particolarissima che in nessuna

parte del mondo esiste.

Ricordiamo che a Modica avvenne una sanguinosa strage nel 1478, quando gli abitanti locali

uccisero numerosi ebrei (forse circa 400) e Pitrè ne parla nella sua seconda raccolta di proverbi

siciliani: pri la Bammina (8 settembre), lu sangu a lavina (Modica).

Quando andava bene, cristiani ed ebrei si limitavano a sassaiole: si può leggere in quest’ottica la

parte svolta dal ‘Gesù’ sanfratellano che si lasciava picchiare? E’ per questo motivo che, col tempo,

nessuno ha voluto interpretare quella parte, rimanendo il personaggio solo un ricordo? Sta di fatto

che essi sono stati odiati perché ricchi e laboriosi e quindi rappresentavano, nel comune sentire, un

elemento destabilizzante.

In Sicilia l’Inquisizione condannò 6211 ebrei, 2098 giudeizzanti, 395 luterani, 608 mori e rinnegati,

100 tra gli eretici vari, 852 negromanti e streghe. Dal 1500 al 1782, i bruciati sul rogo in Sicilia furono

584, di cui 473 giudei, 74 protestanti, 17 mori e rinnegati, 11 eretici vari e 4 obiettori del sant’officio.

Ma tornando a San Fratello, la festa originalissima che si consuma ogni anno durante la settimana

santa sembra – secondo un’altra interpretazione – un carnevale, similmente al carnevale giudaico,

una festa che altro non sarebbe che il residuo delle sassaiole che i cristiani perpetravano contro i

giudei. Si tratterebbe, dunque, non di giudei ma di fanatici cristiani travestiti da giudei che

insultavano, tiravano sassi e sputavano addosso ai giudei ‘in borghese’, diciamo così?

Di certo sappiamo che tra le feste ebraiche più importanti e più antiche ‐ risalenti alla presenza

ebraica in Persia ‐ c’è il Purim, ovvero il ‘carnevale ebraico’, che somiglia davvero tanto alla festa dei

giudei di San Fratello, con trombe, schiamazzi e ubriacature.

E’ inoltre da notare che la parte della Sicilia relativa ai Nebrodi era denominata ‘Val Demone’ e che

certamente, anche per quanto riguarda il sincretismo del cristianesimo con antichi riti pagani, come

i baccanali greco‐romani, ci riporta a un possibile carnevale “sincretico” ebreo‐pagano frammisto ‐

chissà perché ‐ al rito cristiano pasquale.

Ovviamente, col tempo, gli ebrei delle prime generazioni si sono integrati nel tessuto sociale del

paese e questa contrapposizione è stata dimenticata durante lo scorrere dei secoli, ma la tradizione

del travestimento è rimasta ed è radicata nel sanfratellano, che ci tiene a questa trazione e spende

fino a circa 3.000 euro per farsi confezionare un costume da giudeo adulto.

La studiosa Mara Trovato fa risalire la festa sanfratellana nella Spagna governata dagli Aragonesi,

tra il 1302 e il 1335, quando nelle città di Girona, Barcellona e Valencia erano presenti le più

numerose comunità ebraiche e, a seguito delle celebrazioni del venerdì santo, avevano luogo atti di

violenza contro gli ebrei, che venivano costretti a indossare il cappuccio dei penitenti, in modo da

essere facilmente identificabili e, quindi, bersaglio evidente da colpire.

In tutto ciò, come si identifica la cosiddetta ‘disciplina’, parola che in gallo‐italico identifica il mazzo

di catene che il giudeo sanfratellano porta sulla spalla? Venivano costretti forse a flagellarsi?

Il dubbio rimane.

Una cosa è certa: il sanfratellano post‐moderno, attento alle tradizioni ma conciliante e di natura

assolutamente pacifica, trasforma questo doppio dramma (quello di Cristo e quello degli ebrei), in

una simpatica e innocua rappresentazione teatrale, dove si suona la tromba, si canta, si mangia e si

beve di casa in casa, ma non si tirano pietre a nessuno e tantomeno si picchia nessuno.

Giovanni Paolo II, tardivamente, ha chiesto scusa per l’accusa di deicidio agli ebrei proveniente dai

cristiani. Chi è cristiano sa che ad uccidere il Figlio dell’uomo non sono stati i Giudei, ma i peccatori

del mondo. Non solo quelli dell’epoca, ma anche quelle presenti e le generazioni a venire. Infatti,

tanto è il peso dei nostri peccati e di quelli che verranno commessi da qui alla fine del mondo, che

Cristo cade tre volte sotto il peso della croce e verrà poi aiutato da Simone di Cirene.

A San Fratello oggi, il sanfratellano mette in scena un dramma, recita una parte e – non di rado – è

frequente vedere giudei con il cappuccio arrotolato sulla fronte che – a viso scoperto – aiutano a

portare la croce. Davvero nulla è rimasto in questo grazioso paese sui Nebrodi, dei motivi che hanno

fatto nascere questa tradizione ma, come appassionati di storia, vogliamo interrogarci su questi

misteri del passato per capire da dove veniamo e chi siamo. Risulta di certo retrogrado e soprattutto

anacronistico, continuare a pensare che in questa festa i ‘giudei’ recitino la parte di quelli che hanno

ucciso Gesù. Questa curiosa festa, che suscita enorme sorpresa, mette in scena quello che è

successo e vuole dirci a gran voce che quello che è stato non deve mai più ripetersi.

Una nota dell’ambasciata di Israele in Italia l’ha definita in passato una “manifestazione antisemitica

di larga risonanza e di antica tradizione” ma oggi, essenzialmente, la festa di San Fratello è

assolutamente folkloristica, un richiamo per i turisti e per i migliori fotografi del mondo: il paese,

oltre a Seymour negli anni ’50, ha persino ospitato il famoso fotografo americano Steve McCurry,

che qualche anno fa ha immortalato nei suoi scatti il giudeo di San Fratello.

Nel dubbio, possiamo di certo sforzarci di fare un esperimento, ovvero quello di trasformare questa

festa nel simbolo per antonomasia di come le feste religiose in Sicilia sono spesso sintesi di tante

dominazioni, culture, tradizioni sociali e religiose – per questo la Sicilia, e soprattutto San Fratello,

possono ergersi a laboratorio di convivenza perpetuo della storia tra culture e religioni diverse.

Quindi, concludendo, la festa dei giudei a San Fratello, in quale ottica può essere letta?

Dando per scontato che ormai, per il sanfratellano di oggi, il giudeo visto come l’uccisore di Cristo

non è più un elemento rappresentato, come ha avuto origine questa tradizione tardo medievale a

San Fratello? Era la gente del posto che recitava la parte dell’ebreo, sottolineando ancora una volta

il ruolo che gli ebrei ebbero nella Passione di Gesù, mettendo ancora una volta in scena un atto di

discriminazione e sfregio? Oppure erano gli ebrei che, volendo rievocare il loro carnevale,

indossavano i panni dei giudei perché quei tre giorni rappresentavano per loro assoluta libertà e

gioia e, soprattutto, una rivincita sui restanti 362 giorni dell’anno?

A questo proposito, chi scrive azzarda un’ipotesi, quella che ad un certo punto della storia ‐ cacciati

gli ebrei dalla Sicilia ‐ quelli convertiti rimasti a San Fratello possano aver voluto conservare la

tradizione del Purim ebraica con un compromesso anomalo, in modo da far accettare ‐ da parte del

cattolicesimo ‐ che tale tradizione si tenesse durante i giorni della passione di Cristo, recitando la

parte di coloro che schernivano Gesù. E che, ad un certo punto, ciò andasse bene a tutti, ebrei

cristianizzati e cattolici. Ciò non dovrebbe scandalizzare, se pensiamo che la Sicilia è piena di feste

in cui vi sono evidenti sincretismi religiosi con il paganesimo pre‐cristiano (come nel caso del

‘Muzzuni’ di Alcara Li Fusi (che è stata fatta coincidere con la festa di San Giovanni il 24 giugno),

accettate da secoli e fortemente presenti anche in feste famose di sante e santi di Sicilia.

Sarebbe a nostro avviso errato, anche in questo caso, fare revisionismo storico giudicando

antisemita la festa dei Giudei di San Fratello, così come si giudica anti‐indios il ricordo di Cristoforo

Colombo negli Stati Uniti o la conservazione di taluni fasci littori scolpiti in edifici e strutture in giro

per l’Italia. Un’0errata tendenza, quella di revisionare la storia, che certamente non giova nel caso

delle bellissime feste religiose siciliane.

E allora lanciamo la palla agli esperti per un confronto, magari in occasione di un convegno da

organizzare proprio a San Fratello nel 2023 – un luogo ove poter scambiare idee, opinioni, fonti e

documenti storici.


FONTI BIBLIOGRAFICHE:

Per maggiori approfondimenti sul tema, consultare la seguente bibliografia:

‐ lo studio di Francesco Renda dal titolo I marrani in Sicilia

- Il libro di Renda, L'Inquisizione in Sicilia: i fatti, le persone (Sellerio, 1997);

‐ il libro di Attilio Milano Storia degli ebrei in Italia (Einaudi 1996), vol. 1°, pag. 686 (per i dati numerici

qui espressi);

‐ il libro di Nicolò Bucaria, Sicilia giudaica (Flaccovio editore 1996);

‐ il libro di Raphael Strauss, Gli Ebrei in Sicilia, dai Normanni a Federico II (Flaccovio editore 1992);

‐ Il libro I giudei di San Fratello di M. V. Strazzeri (Liguori Editore);

‐ le opere del sacerdote e studioso Luigi Vasi di San Fratello

‐ l’interessante articolo di Mara Trovato dal titolo I giudei di San Fratello, dell’8 aprile 2017 reperibile

su internet;

‐ le ricerche di Benedetto Di Pietro sull’argomento edite sulla rivista ‘Pagnocco’

‐ i libri pubblicati dal prof. Salvatore Mangione di San Fratello.

‐ il libro Musiche in conflitto nella festa dei Giudei di San Fratello di Marialaura Scavavilli (Società

Nuova fra Militari in Congedo – San Fratello, 2013).


E per i siti internet consultare:

‐https://capodorlando.org/siciliantica/la‐festa‐dei‐giudei‐di‐san‐fratello‐dalla‐ritualità‐allospettacolo/

https://cucinare.meglio.it/ricetta‐cardi_alla_maniera_ebraica.html

https://sottolapietra.com/p/i‐giudei‐e‐la‐settimana‐santa.html?m=1

https://zonafranca.me/2021/02/02/inquisiti‐e‐inquisitori‐nella‐paterno‐del‐xvi‐secolo‐familiaridel‐

santuffizio‐e‐condannati‐al‐rogo‐i‐parte/

www.ansa.it/terraegusto/notizie/rubriche/prodtipici/2014/11/20/la‐cucina‐ebraica‐tra‐ritualita‐etradizione_

91be6469‐cba5‐4593‐bcf3‐c9e08d01518d.html

www.comune‐info.net

www.ilportaledelsud.org/espulsione_ebrei.htm

www.randazzo.blog/2020/03/21/ebrei‐a‐randazzo/


BIOGRAFIA DEGLI AUTORI

Rosalia Ricciardi nasce in Germania da genitori sanfratellani ivi emigrati nel 1973. Fino ai 34 anni

vive a San Fratello (ME) lavorando nel campo del sociale. Vince premi in vari concorsi letterari,

pubblica raccolte di poesia, in italiano e nella lingua gallo‐italica di San Fratello, un romanzo e un

saggio sullo sbarco alleato in Sicilia nel 1943. Impiegata a Milano nella pubblica amministrazione, è

laureata in Scienze Politiche ed è appassionata di storia e delle tradizioni siciliane. E’ in procinto di

pubblicare un saggio sul banditismo in Sicilia.

Fabio Messina, nasce a Melilli (SR) nel 1970 e vive a Palazzolo Acreide (SR): agente di commercio,

poeta dialettale e cultore di feste e tradizioni siciliane, ha pubblicato diversi libri di liriche in lingua

siciliana, alcuni dei quali aggregati a saggi sulla Sicilia e la sicilianità (SICILIA BEDDA MATRI nel 2010

e A SICILIA C’ARRICRIA nel 2017); ha messo in scena, tra i vicoli degli antichi quartieri ebraici di

Modica, Ragusa e Siracusa, diversi percorsi recitati itineranti per ricordare la presenza ebraica in tali

città siciliane.


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