L'Egumeno Gregorio

 


Quando i normanni giunsero a San Fratello e vennero ritrovate le reliquie dei Tre Santi e le pergamene greche sul Monte Vecchio, queste, molto probabilmente, furono portate all’Egumeno Gregorio, primo abate del Monastero di San Filippo di Fragalà e fondatore di altri conventi basiliani della diocesi di Troina.
Infatti, agli inizi della campagna per la conquista della Sicilia, Ruggero I si recò a San Filippo di Fragalà, trovando in quel luogo il piccolo e ormai fatiscente eremitorio basiliano presieduto da Gregorio con pochi cenobiti che, dopo averlo accolto con grandi gentilezze insieme ai suoi soldati, prestarono loro aiuti morali e materiali.
San Filippo di Fragalà era una piccola isola cristiana sopravvissuta alla conquista musulmana dell’isola. Quella visita non fu isolata e priva di significato, ma si trattava di un primo e fondamentale passo per una collaborazione col fine di ricristianizzare l’isola.
Il piano prevedeva, infatti, la riqualificazione dei centri monastici e la costruzione di nuovi cenobi.
Ruggero I, si legge in una pergamena del 1090, concede all’abate Gregorio piena libertà, immunità e privilegi. Concessione che verrà in seguito confermata dal figlio Ruggero II.
Tra i nuovi luoghi di culto alle dipendenze del monastero di San Filippo di Fragalà, apprendiamo dal testamento di Gregorio del 1105, l’esistenza di quello dedicato ai Santi Fratelli Alfio, Filadelfio e Cirino.
Si tratta del primo documento che cita tale nome nel nostro territorio, a dimostrazione che il Santuario del Monte Vecchio venne costruito in quel periodo storico sulle rovine della Chiesa di Maria Santissima dei Palazzi, mentre la nuova intitolazione ai Santi Fratelli, è motivata dal ritrovamento delle sacre reliquie, presumibilmente qualche anno prima.
Nell’introduzione al testamento Gregorio accenna alle stragi e alla schiavitù subite dalla Sicilia per opera degli “atei saraceni” e come egli stesso avesse patito orribili cose.
Il testamento di Gregorio assume un’importanza storico-strategica elevatissima, diventando di fatto un esempio di regolamento, strettamente riservato a quella specifica comunità monastica; ma il testamento di Gregorio è prezioso anche come testimonianza della sopravvivenza del culto cristiano durante la dominazione araba; come compendio della consistenza patrimoniale del monastero; come attestazione della parte attiva svolta dai nobili ‘familiari’ del re nell’opera di ricostruzione promossa dal Gran Conte Ruggero all’indomani della conquista normanna; come ritratto di un’organizzazione monastica strutturata gerarchicamente, con regole e modalità precise, quale era la realtà del monachesimo greco del Valdemone nell’XI secolo.
Di questo testamento esistono tre versioni: la prima aveva lo scopo di fissare le norme per la successione alla carica di abate e per la gestione del monastero e può datarsi al 1096-1097. La seconda fu redatta perché l’erede designato, il nipote Blasio, aveva deciso di partire per la Terrasanta. Gregorio, preoccupato da una simile decisione, pensò di fissare dettagliatamente per iscritto tutti i beni e i metochia di san Filippo, affinchè non avvenissero in futuro confusioni e usurpazioni, per la mancata conoscenza dei fatti da parte di chi avrebbe sostituito il nipote.
La terza redazione del testamento è un sunto della precedente, datata come la seconda nel 1105, destinato alle alte personalità normanne che continuavano a sovvenzionare il monastero, alle quali Gregorio, rinnovando la propria gratitudine, chiedeva nuove rassicurazioni ai successori di Ruggero I, qui definito mégas, soprattutto da parte di quello che lui chiama néos kómes, il figlio Ruggero. Gregorio morirà nel 1116.

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