Un disastro annunciato


Tratto dal libro i "Personaggi storici di San Fratello" a cura di Salvatore Di Fazio.

La catastrofica distruzione di San Fratello cominciò verso l'una di notte tra il 7 e l'8 gennaio 1922, quando, sotto raffiche di pioggia e di neve, si cominciò ad avvertire un agghiacciante scricchiolio di muri. Il paese era immerso nel sonno e nel buio dell'inverno tra i più rigidi di quel secolo. Nessuno tuttavia avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto di lì a poche ore e quale immane sciagura si sarebbe verificata allo spuntar del giorno. 

Il giovane avvocato Alfio Lo Cicero, che fino a quel momento aveva vegliato al capezzale della vecchia nonna ammalata, uscì di casa poco prima che partisse la corriera del mattino con la quale doveva spedire urgentemente una lettera. Giunto alla Pescheria vide, nonostante il buio e il nevischio, delle paurose fenditure sui muri di alcune case ed ebbe il sospetto che qualcosa di spaventosamente anomalo stesse per accadere. Immediatamente corse alla Caserma dei carabinieri ed avvertì il maresciallo Scarlatta di quel che aveva visto. Il sottoufficiale uscì sulla strada con quattro militi per rendersi conto della situazione e con lui il pretore, avv. Cirincione. 

Alle 7 del mattino di quel sabato maledetto tutta San Fratello era a conoscenza del pericolo che incombeva e trepidando stava in ansiosa attesa, pur nell'illusione che tutto si sarebbe concluso con qualche danno al quartiere interessato dal movimento franoso. Il prof. Rubino, appena si lasciò alle spalle la sua abitazione, vide, con sua incredibile sorpresa, sprofondato un largo tratto di strada. Sorpreso e preoccupato, si recò dal Sindaco, il cav. Benedetto Ricca, con il quale raggiunse il municipio. I due amministratori non avevano ancora raggiunto il palazzo comunale quando sussulti, lacerazioni e crolli si verificano da una parte e dall'altra. La gente aveva cominciato già a sgomberare le case portando le masserizie nel centro del paese, dato che era stato vietato di rifugiarsi dentro il monastero delle Benedettine. 

Intorno alle 11 sia il sindaco che gli impiegati dovettero abbandonare il municipio per la drammaticità dei segni premonitori e la precarietà della situazione generale, che di lì a qualche ora si sarebbe trasformata in morte e terrore. 

Alle ore 15 ebbe inizio la tragedia vera e propria. Il campanile della chiesa madre prima barcollò, poi si schiantò precipitando quasi sul municipio con un fragore che fece tremare ogni cosa. La grande campana di bronzo, staccandosi dalla robusta traversa che sorreggeva e piombando a precipizio nel vuoto, emise gli ultimi luttuosi rintocchi - quasi un doloroso mortale addio al paese - e si inabissò fra una nuvola di polvere e le informi macerie. Man mano che la luce del giorno, pallida come la morte, riflettendosi sulla neve caduta durante la notte, schiariva e mostrava le dimensioni dell'evento franoso, si andava facendo sempre più visibile, gigantesca e apocalittica la distruzione di San Fratello. 

Un urlo improvviso si alzò a un certo punto dalla folla disperata: "Roccaforte cade! Roccaforte cade!". I muri di sostegno e le case addossate al gigante di pietra, nel quartiere San Nicolò, cominciarono infatti a piegarsi su se stessi, a sbriciolarsi e a rotolare lungo la china, con un fragore che pareva venisse dall'inferno. Voragini immense, terribili come bocche spalancate, si aprirono qua e là, inghiottendo quartieri, chiese, strade, piazze, case povere e palazzi sontuosi. Quando arrivò la sera di quel sabato di delirio della natura, la catastrofe era compiuta; il millenario paese normanno non esisteva più; era stato - per così dire - chiuso nella tomba. Sette i quartieri cancellati come fossero parole scritte col gesso sul nero di una lavagna: Municipio, Pescheria, Monastero, Sant'Ignazio, Crocifisso, Porta Sottana, Valle. 

La notizia si sparse come un fulmine in tutta l'Italia e cominciò immediatamente una straordinaria gara di solidarietà per aiutare i circa 10.000 profughi che avevano perduto tutto. Anche il gen. Di Giorgio vide scomparire la sua bella casa di San Fratello, dove abitava con la famiglia e dove erano custoditi tanti ricordi. Riferisce un quotidiano del tempo, in data 11 gennaio 1922, quanto segue: 

"Il Governo avrebbe evitato il disastro, se avesse accolto e provveduto subito alle giuste richieste del generale Di Giorgio, il quale a suo tempo aveva intuito la minaccia della frana. Furono fatti tempo addietro alcuni saggi, ma alle pressioni del Di Giorgio, allora nuovo rappresentante politico, il Governo non ha voluto a tempo debito provvedere per il risanamento, che certamente avrebbe oggi salvato questo ridente, ricco comune"

Di Giorgio aveva, dunque, previsto l'eventualità di una rovina smisurata, aveva avanzato al Governo la richiesta di interventi di consolidamento del territorio. Ma, come spesso accade, non se ne fece nulla.








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