Il cammino verso il martirio di Alfio, Filadelfio e Cirino

 


Alfio, Filadelfo e Cirino, nascono a Vaste piccolo centro in provincia di Lecce intorno al 230 quando sul soglio pontificio siede papa Urbano I ed è imperatore Alessandro Severo. Il padre Vitale e la madre Benedetta Locuste, entrambi di origini aristocratiche, sono cristiani. In tenera età perdono la madre che, per prima, dopo aver dichiarato pubblicamente la sua fede e denunciato le ingiustizie perpetrate nei confronti dei cristiani, affronta il martirio.

Nel 249 diventa imperatore Decio che scatena una terribile persecuzione contro i cristiani e che continua anche dopo la sua morte. In Puglia viene inviato il prefetto Nigellione che con l’accusa di ribellione verso la religione degli avi, fa arrestare Vitale, i tre figli, il nipote Erasmo e il loro maestro Onesimo. I tre fratelli vengono sottoposti a terribili torture per indurli a rinnegare Cristo. Nigellione, non volendo condannare a morte cristiani appartenenti ad una delle più famiglie patrizie romane più influenti, decide di mandarli a Roma.

Qui vengono rinchiusi nel carcere mamertino e incatenati a grosse catene. Durante la notte ricevono in sogno la visita di San Pietro e San Paolo che anche loro erano stati in catene nello stesso carcere. I principi degli apostoli, dopo aver indicato i terribili supplizi che devono ancora affrontare, spezzano le loro catene. Vengono allora condotti davanti a Cornelio Licinio Valeriano, il vice di Decio che si trova in Oriente a combattere contro i persiani.

Vista la fermezza con cui i tre giovani continuano a proclamare la loro fede in Cristo, Valeriano prima li fa flagellare e poi li invia a Pozzuoli da Diomede, famoso per la sua crudeltà. Per costringere i tre fratelli a rinnegare la loro fede, Diomede li fa assistere al martirio del loro maestro Onesimo e alla decapitazione del cugino e di altri loro compagni. I tre giovani si dimostrano irremovibili e vengono allora mandati in Sicilia per comparire davanti a Tertullo.

Dopo tre giorni di navigazione sbarcano in Sicilia il 25 agosto del 252. A Taormina, Tertullo non riuscendo a convincere i tre fratelli a tornare alla religione dei loro antenati, fa tagliare le loro bionde chiome e fa versare sul loro capo della pece bollente, poi fa serrare il loro collo e le loro mani tra pesanti travi e li fa condurre a Lentini. Una recente colata lavica impedisce l’accesso alla via costiera per cui sono costretti a viaggiare attraverso i tornanti dell’Etna.

Mentre si trovano sulla collina dove oggi sorge la località di Sant’Alfio, Filadelfo, stremato dalla fatica, chiede ai fratelli di pregare insieme a lui Dio affinchè lo sostenga durante questa terribile prova. Allora scoppia una tempesta che spazza via le travi e appare loro l’apostolo Andrea che li sostiene e li conforta. La tempesta cessa, il sole torna a splendere e i tre giovani riacquistano la loro bellezza e il loro vigore.

Tra la fine di agosto e l’1 settembre giungono a Trecastagni e trovano riposo proprio dove oggi sorge il Santuario edificato in loro onore. Una volta giunti a Catania vengono rinchiusi nel carcere che ancora oggi esiste e si trova sotto la chiesa dei Padri Minoritelli, situata in via A. di San Giuliano e al quale si ha accesso proprio dall’altare a loro dedicato. Quando giungono sul fiume Simeto vengono costretti dai soldati ad attraversare il fiume nonostante sia ingrossato a causa delle recenti abbondanti piogge. Ma le acque al loro passaggio si ritirarono e i fratelli raggiungono salvi la riva. Giunti a Lentini con le loro preghiere, liberano un giovane ebreo indemoniato e questo provoca molte conversioni in questa città.

Il 3 settembre vengono consegnati ad Alessandro, vice di Tertullo che li fa rinchiudere in carcere. Mentre attendono il ritorno di Tertullo impegnato in oriente in una campagna militare, grazie alla loro intercessione avviene la guarigione di Tecla, nobile cugina di Alessandro. La giovane colpita da paralisi alle gambe, saputo della guarigione dell’ebreo indemoniato, vuole incontrare i tre fratelli. Riacquistato l’uso delle gambe grazie alla loro intercessione, Tecla si reca in carcere per portare conforto ai tre giovani e curare le ferite dovute alle torture loro inflitte.

Durante le visite in carcere, accompagna la giovane miracolata, Giustina, cugina di Tecla, colpita da cecità ad un occhio. La guarigione di Tecla e di Giustina, spingono Alessandro ad abbracciare la fede cristiana. Tertullo una volta rientrato a Lentini, quando scopre che venti dei suoi soldati sono diventati cristiani, prima li fa flagellare e poi li condanna alla decapitazione. I loro corpi vengono recuperati da Tecla che provvede a dare loro una degna sepoltura.

Intanto Tertullo ordina che i tre fratelli siano condotti al suo cospetto. Sorpreso che sul loro corpo non ci siano segni delle torture subite, cerca di costringere i tre giovani fratelli ad abbandonare la loro fede in Cristo. Dopo otto mesi di carcere, vedendo che in città i cristiani aumentano di giorno in giorno, Tertullo emette la sua condanna a morte. È il 10 maggio dell’anno 253 quando ad Alfio, che ha poco più di ventidue anni, viene strappata la lingua, Filadelfo, che ha ventun’anni, viene posto su una graticola incandescente e Cirino, il più giovane, di soli diciannove anni, viene immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi vengono recuperati da Tecla e Giustina e trovano sepoltura in una grotta dove, finite le persecuzioni, viene costruita una chiesa in loro onore.


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