Le tracce arabe e greche nel dialetto galloitalico di San Fratello


 

La singolare parlata di San Fratello è frutto della forte contaminazione lombarda, in seguito alla conquista normanna della Sicilia. Ma all’interno del galloitalico di San Fratello ci sono ancora tracce della presenza araba e greco-bizantina sul territorio.   

È il caso di “gibidian”* (callo dei piedi) da “gebel” (montagna); mentre meriterebbero uno studio più approfondito termini come “burg” (mucchio di paglia); “caffa” (grosse sacche per trasporto animale); “calig” (ruscello); “damus” (controsoffittatura di una casa); “sènia” (ruota per sollevare l’acqua); “sfacidàra” (schiaffo); “zaarèda” (fettuccia di stoffa), termini assenti nel vocabolario siciliano di Salvatore Camilleri edito nel 2001.

Altro fondamentale indizio della presenza sul territorio di popolazioni pre-normanne è il caso del galloitalico diverso da quartiere a quartiere. Infatti, fino a qualche decennio fa alcune parole del quartiere storico di San Nicolò si differenziavano rispetto ai quartieri nuovi di San Fratello, in particolare quelli del Convento e Terranuova. Di seguito alcuni esempi:

“pulpito” si pronunciava a San Nicolò “pérgu” dal termine greco pergamon, mentre “pùrpit” nei quartieri nuovi di matrice latina. Anche “organo” a San Nicolò veniva tradotto col termine “àrgu” dal greco organon, mentre nel resto del paese la traduzione era “armòniu”. E ancora, le “bacche del cipresso” chiamate a San Nicolò “nàusg pers”, nei quartieri nuovi si chiamavano più semplicemente “bacci”. Oppure, modi di dire come “al settimo cielo” tradotto in galloitalico in tutto il paese con “ò sèttim zzièu”, nel quartiere greco di San Nicolò la traduzione era con il più arcaico “a li cilèstri”.   

 

Fonti: 

Benedetto Di Pietro. Atti del Convegno, Viggiù, 29 maggio 2010

* Cit. Giuseppe Foti

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