Chiesa Madre (Santuario di San Benedetto il Moro)

Il complesso della Chiesa Madre di San Fratello, ex-convento di Santa Maria di Gesù, Chiesa Maria SS Assunta (dopo la frana del 1922), eretto a Santuario Diocesano di San Benedetto il Moro da San Fratello, può essere considerato il centro della religione, della cultura e dell'arte Sanfratellana.


La Chiesa è ad un'unica navata divisa dalla parte presbiterale da un arco di trionfo, al suo interno possiamo ammirare: entrando sulla destra si vede la statua di San Giuseppe con in braccio Gesù Bambino; di fronte la statua del Sacro Cuore di Gesù che anticamente, durante gli anni di lotta fra le due Parrocchie Matrici (San Nicolò e Santa Maria Assunta), veniva portata in processione; più avanti al centro, sulla destra, si trova la statua marmorea della Vergine Maria della scuola del Gaggini col bambino in braccio (presente in tutti i conventi dei frati minori); frontalmente vi è il Crocifisso portato in processione il Venerdì Santo recuperato fra le macerie dell'antica Chiesa Santa Maria Assunta dopo la frana del 1922; a sinistra, antistante l'altare, vi è la statua della Madonna del latte, in marmo bianco nell'atto di porgere la mammella al bambino; di fronte sulla destra la statua di San Benedetto il moro; nella cappella della Chiesa sono custodite le reliquie di San Benedetto il moro “Protettore di San Fratello” e dei Tre Santi Alfio, Filadelfio e Cirino “Patroni della città”; inoltre si possono ammirare la statua di San Biagio, quella di San Filadelfio e l'antica statua di San Benedetto anticamente conservata nel convento di Santa Maria di Gesù.

Interno della Chiesa
  
 L'altare Maggiore

Crocifisso di Fra Umile da Petralia (Giovan Francesco Pintorino)


A sinistra, statua di San Giuseppe con in braccio Gesù Bambino; a destra statua del Sacro Cuore di Gesù


 A sinistra, statua di San Benedetto; a destra statua marmorea della Vergine Maria della scuola del Gaggini


A sinistra, Crocifisso portato in processione il Venerdì Santo; a destra, statua della Madonna del latte

A sinistra, statua di San Biagio; a destra statua di San Filadelfio, portata in processione il 10 maggio

Statua di San Benedetto già custodita nel convento di Santa Maria di Gesù

A sinistra le reliquie dei Tre Santi; a destra le reliquie di San Benedetto il moro

L'altare maggiore della chiesa è in legno intarsiato arricchito da nicchie con cornici in madreperla dove sono situate statue di legno, al centro di un pregevole dipinto d'epoca, un Crocifisso di Fra Umile da Petralia (Giovan Francesco Pintorino). Annessi alla Chiesa sono il Chiostro e la Biblioteca. La piazza di fronte la Chiesa offre un panorama unico, il paesaggio di questo angolo dei Nebrodi arricchito da una parte del centro storico di San Fratello, la Roccaforte e sullo sfondo il Monte San Fratello con in cima il Santuario dei Tre Santi; al centro della piazza si trova la statua di San Benedetto il moro e poco distante uno storico crocifisso.



La Biblioteca del ‘500. La biblioteca comunale risale al XVI secolo, è stata intitolata al “sanfratellano” prof. Benedetto Craxi (padre di Vittorio e nonno del più celebre Bettino, segretario del Partito Socialista Italiano dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90 e presidente del Consiglio dal 1983 al 1987), all'interno custodisce in scafalature di legno intarsiato oltre 2000 volumi di vario argomento (teologia, filosofia, agiografia, morale e letteratura profana), documenti storici e la stanza degli scritti dei frati Amanuesi. Attualmente è chiusa in attesa di restauro.



   
IL CONVENTO FRANCESCANO DI SAN FRATELLO

di Salvatore Di Fazio

FONDAZIONE. In merito alle origini, al capitolo XXXIII della monumentale opera storica, scritta nel 1600 e intitolata Paradiso Serafico, in cui sono narrate le vicende dei Francescani del Terz’ordine, il padre Randazzo asserisce che questo “Convento di Santa Maria di Gesù nella terra di S. Fratello” fu fondato il 22 maggio dell’anno 1617, quando era re di Sicilia Filippo III e pontefice romano (da 12 anni) Paolo V.

In questo convento vivevano in quell’anno 15 monaci  in rigorosa osservanza. La prima pietra benedetta venne portata in processione dall’arciprete del tempo Don Giovanni Mondello nel corso di una grande manifestazione di giubilo a cui partecipò una gran folla di sanfratellani.



Il complesso monastico fu costruito per volontà e a spese della baronessa Donna Alfonsa Alarcon (o Larcan), moglie di Don Giovanni Soto, segretario di Don Giovanni d’Austria. I motivi della edificazione di quest’opera furono sia l’affetto che la singolare devozione che la baronessa portava al Beato Benedetto il Moro, nato in questa terra di San Fratello l’anno 1524 e morto a Palermo in fama di santità nel 1589, all’età di 65 anni.

Nella chiesa di questo convento – continua il padre Randazzo - si trova un Crocifisso in legno, scolpito dal venerabile servo di Dio Fra’ Umile Pintorno da Petralia, religioso laico, ovunque noto per la sua santità di vita e per le sculture che venivano realizzate nella sua bottega.

In questo convento studiarono e vissero frati illustri per dottrina e rigore di vita religiosa. Tra questi: il venerabile terziario Arcangelo Brunello, di San Fratello, che morì nel 1626 servendo gli appestati di Nicosia, il padre Bonaventura, pure lui di San Fratello, che visse e morì in fama di santità, e il più noto di tutti, don Luigi Vasi, che  scrisse tanti libri e saggi storici su questo suo e nostro paese.

Nella chiesa di questo convento, inoltre, furono seppellite alcune terziarie francescane la cui vita eroica viene raccontata, nella ricordata opera del XVII secolo, come esemplare per devozione verso l’Ordine e verso San Benedetto il Moro.


LA STRUTTURA. Il convento di Santa Maria di Gesù rispetta una tipologia costruttiva – come osserva l’arch. Lo Cicero - molto frequente nel tardo ‘500, in evidente analogia con altri edifici conventuali dei Nebrodi. Esso, infatti, ha pianta quadrangolare e all’interno, in posizione quasi centrale, il chiostro, il quale costituisce un elemento di raccordo sia a livello funzionale sia a livello architettonico. Tutta l’opera fu costruita nello stesso periodo, fatta eccezione per alcune aggiunte effettuate in epoca successiva. 


Il chiostro ha un’area di 150 metri di superficie. Il perimetro del portico è delimitato da 20 colonne in pietra rossa locale che sostengono archi a tutto sesto e volte a crociera. Nelle quattro pareti interne sono visibili (oggi purtroppo solo in parte) 20 lunette che raffigurano vite di santi francescani e fatti concernenti i frati dell’ordine.
Le lunette furono dipinte da Fra’ Emanuele da Como, un artista di chiara fama, che fu autore di una ricchissima produzione di opere pittoriche a carattere sacro sparse in tutta Italia.
Gli affreschi di questo chiostro, andati purtroppo in rovina, raffiguravano santi e martiri francescani di cui sopravvivono poche testimonianze illeggibili, o parzialmente leggibili.





LE MOLTE E CONTINUE AGGRESSIONI. La storia di questo convento è rivelatrice di una cultura e di una civiltà poco sensibili, nel passato,  alla salvaguardia del proprio patrimonio artistico. Ne tratteggiamo le linee essenziali perché essa sia di ammonimento alle presenti e future generazioni che devono avere, da oggi in poi, un grandissimo rispetto per la parte di storia che è scritta in queste pietre. 

Dopo l’unificazione d’Italia del 1861, e dopo l’emanazione della sciagurata legge sulla espropriazione dei beni ecclesiastici, anche questo chiostro, questo convento, la sua ricca biblioteca e i locali che ne fanno parte – ad eccezione della chiesa – divennero beni dello Stato. E fu l’inizio di un rovinoso processo di devastazioni e di offese incredibilmente assurde.
Le celle dei frati, quelle che si affacciano sul portico di questo chiostro, diventarono celle per i carcerati. In alcune di esse si vedono tuttora le sbarre di ferro infisse nei robusti muri che stanno intorno a noi. Durante la guerra il convento fu occupato dai militari che ne fecero ulteriore scempio. 

Il complesso monastico fu anche sede delle scuole elementari, della banda musicale, della Caserma dei Carabinieri e delle più svariate associazioni e per lunghi anni fu condominio dei senzatetto e degli indigenti, che lo ridussero a ghetto. Il fumo della legna e il vapore acqueo che fuoriusciva dalle pentole collocate sotto il naso dei santi dipinti in queste lunette ora scomparse, rappresentarono l’estremo oltraggio inferto dalle autorità locali al Chiostro secentesco.


A partire dal 1948, inoltre, i locali che si affacciano su questo chiostro venivano usati alcuni come magazzini per l’olio ricavato dagli uliveti della parrocchia, altri come sezioni elettorali.
Sugli affreschi ancora in buono stato di conservazione e in special modo sulla faccia dei santi francescani dipinti su queste pareti, le diverse amministrazioni comunali permettevano che si attaccassero con la colla i manifesti pubblicitari dei vari partiti politici in gara, operando in questo modo ulteriori insulti a quelli precedentemente inflitti.

Il pavimento del chiostro, dissestato e ridotto a pozzanghere di fango quando pioveva, era diventato un campetto sportivo. Si veniva qui a giocare al pallone. E il pallone, infangato o bagnato, andava a sbattere sulle vesti dorate degli angeli e sui corpi dei martiri affrescati di Fra’ Emanuele da Como, come a fargli dispetto di essere venuto qui ad abbellire questo luogo di santità e di vita spirituale.

In questo chiostro si faceva ogni anno la marchiatura dei vitelli con sigla personalizzata in ferro battuto, reso incandescente qui stesso. I più gravi atti di insolenza ai danni di questo monumento – monumento eretto non solo in onore di San Benedetto e del suo ordine religioso, ma anche monumento della storia di San Fratello – risalgono agli anni Cinquanta allorché una ditta appaltatrice di alcuni lavori pubblici asportò i marmi che rivestivano il basamento di questo colonnato e li sostituì con rozzi mattoni pressati, nell’assoluto silenzio e nella totale indifferenza di un intero paese e delle sue autorità.

Il convento divenne così un rudere e questo chiostro un’immagine vivente ed eloquente del dissesto globale e del degrado spirituale di una intera comunità. Il primo timido passo verso il recupero fu compiuto nei primi anni Settanta con la collocazione del cancello in ferro battuto che pose fine al vandalismo gratuito e scandaloso dopo la evacuazione dei suoi ultimi inquilini.

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