Musica elettronica in Sicilia. Intervista agli organizzatori di Ortigia Sound System Festival



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Il festival, che si svolgerà dal 25 al 29 luglio negli stupendi scenari Patrimonio Unesco dell’isola di Ortigia, combina l’elettronica con i nuovi trend della musica contemporanea e la tradizione mediterranea. Quest’anno con un concept grafico legato a un rito pagano siciliano. Ne abbiamo parlato con gli organizzatori.

Bianca Felicori.
Al via il conto alla rovescia per l’Ortigia Sound System 2018. Dal 25 al 29 luglio l’isola ospiterà la quinta edizione di uno dei festival più acclamati d’Italia, dove dietro al programma di musica elettronica si nasconde il desiderio di raccontare la terra siciliana. Come? In occasione del quinto anniversario del festival, il concept grafico è stato dedicato a una cerimonia unica e straordinaria: la Festa dei Giudei della Settimana Santa di San Fratello a Messina. Abbiamo incontrato gli organizzatori ‒ il direttore artistico Germano Centorbi e il vice direttore artistico Enrico Gambadoro ‒ per farci raccontare come hanno deciso di omaggiare le tradizioni del luogo.

Si avvicina la quinta edizione dell’Ortigia Sound System Festival e avete deciso di festeggiare con un concept grafico speciale, ispirato alla vostra terra. Cos’è la Festa dei Giudei e perché avete scelto proprio questa fra le tradizionali cerimonie siciliane?
La Festa dei Giudei di San Fratello è una festa pagana di origini medievali che si svolge a San Fratello, in provincia di Messina. Durante i tradizionali riti della Settimana Santa, mentre la comunità cattolica piange la crocifissione di Cristo, degli uomini vestiti da Giudei gioiscono festanti dalla mattina alla notte per la stessa ragione, bevendo in ogni casa del paese e suonando le loro trombe per disturbare le manifestazioni religiose.
Una cerimonia assurda che celebra l’unione e la contaminazione tra sacro e profano, figlia di mescolanze d’identità etniche, politiche e spirituali che si tramandano in Sicilia da millenni. La Festa dei Giudei è per noi una lucida rappresentazione dell’essere di questa isola, le cui diverse anime convivono, lottano e si scontrano in una perenne danza. Un fuoco inestinguibile, lo stesso di cui Ortigia Sound System Festival si nutre.


La Festa dei Giudei è una festa popolare pagana dove i Giudei indossano costumi dai colori vivaci con accessori molto particolari, fra cui le trombe. Come avete tradotto questo immaginario in una linea grafica?
Non appena scoperta questa festa, ci siamo ritrovati di fronte a un quadro visivo molto complesso, e non è stato semplice individuare la strada giusta per declinare tale immaginario. Alla fine abbiamo capito come il senso di tutto questo fosse racchiuso nella varietà di oggetti che compongono la figura del Giudeo ‒ la tromba, il cappuccio, i ricami delle giacche ecc. ‒ e che sono diventati i protagonisti del concept grafico.

Dietro al forte legame con la tradizione c’è l’idea di far convivere la realtà di Ortigia con un festival musicale, cosa del tutto nuova. L’isola come accoglie il festival?
Crediamo che la comunità siracusana, così come quella siciliana, viva storicamente una condizione di insicurezza e di paura verso il nuovo. Paura e insicurezza giustificate per una terra che nel corso della sua storia è stata attraversata da tantissimi “nuovi” che arrivavano dal mare: berberi, normanni, austriaci, piemontesi, lombardi, pirati algerini e tantissimi altri. Una paura che ha inevitabilmente portato a un isolamento mai utile e mai vantaggioso per la nostra isola. Notiamo però una tendenza, soprattutto nei giovani, a un atteggiamento positivo nei confronti della nostra manifestazione e dei nostri progetti.

Quali ostacoli incontrate e quali sono i vostri obiettivi?
Anche dal punto di vista logistico non è per niente semplice lavorare su un’isola così densa di storia come quella di Ortigia. Cerchiamo ogni anno di migliorarci per interpretare al meglio gli spazi. Durante i cinque giorni la manifestazione vive situazioni molto diverse tra loro: da quella del mercato rionale ai boat party, dalla solennità dei monumenti di rilevanza storica all’energia della campagna siciliana. Questo modo di interpretare i luoghi del festival contribuisce al processo di valorizzazione del territorio che è per noi una delle missioni principali e tenta di offrire un’esperienza completa dell’isola, e della Sicilia, al pubblico.

I Giudei, invece, come hanno accolto la vostra proposta? 
La comunità del paese di San Fratello, pur non percependo bene la dinamica legata a questo concept, ha accolto con entusiasmo e massima disponibilità la nostra idea. Ci siamo resi conto di quanto queste persone siano fortemente attaccate a questa lunga tradizione. Il rapporto con la terra è una caratteristica che accumuna tutti i siciliani, noi compresi: il sentirsi legati attraverso vari aspetti come il cibo, i rituali festivi o i paesaggi naturalistici che l’isola custodisce. Così speriamo di avere regalato una bella esperienza ai Giudei, noi sicuramente ricorderemo questa edizione come emozionante.

Sono previste loro esibizioni durante il festival?
Abbiamo appena annunciato l’esibizione della fanfara dei Giudei all’interno della programmazione. Sicuramente è una delle performance più importanti di questa edizione, alla pari di Hot Chip e James Holden. L’idea di poter far conoscere a un pubblico variegato e proveniente da ogni parte del mondo questa antica tradizione attraverso una performance live ci trasmette un’energia unica, ma al tempo stesso trasportare la comunità di questo piccolo borgo collocato tra i Nebrodi all’interno del festival sarà significativo, sarà una bella sorpresa…

Siete entrambi siciliani. Cosa significa per voi fare un festival di musica elettronica in Sicilia e quanto conta l’integrazione tra il festival e il linguaggio della tradizione?
È una questione per noi fondamentale. Un’industrializzazione (perché di industria culturale si vuole e si deve parlare) che prescinda dal valore della terra siciliana o addirittura, come è successo in alcuni casi, svalorizzi le immense qualità di questa terra, ha già dimostrato di fallire e fare danni irreparabili. In un certo senso siamo obbligati a scavare nella tradizione, per il nostro bene e quello della terra in cui siamo nati.

Fonte: artribune.com

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