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I giudei hanno invaso l’isola di Ortigia nel corso della cinque giorni che componeva l’Ortigia Sound System. È stata proprio l’iconografia legata a questo rito sincretico di origine medievale, pagano e cattolico, a regalare ogni immagine, ogni logo, ogni concept grafico all’edizione 2018.
Valerio
Corzani.
Un passamontagna colorato e una linguaccia di pezza: i
giudei della festa di San Fratello in provincia di Messina hanno invaso con la
loro fanfara sfavillante e ribalda l’isola di Ortigia nel corso della cinque
giorni che componeva l’Ortigia Sound System. È stata proprio l’iconografia
legata a questo rito sincretico di origine medievale, pagano e cattolico, a
regalare ogni immagine, ogni logo, ogni concept grafico all’edizione 2018 di
questa rassegna dedicata principalmente ai suoni dell’elettronica e della club
culture. I giudei e la loro pratica legata ai riti della settimana santa si
sono intrufolati con i loro ottoni (del resto intrufolarsi, disturbare, è la
loro mission anche nel rituale pasquale), mettendo in scena incursioni sonore
tra un concerto e un dj set e sfilando per le vie del centro di Ortigia, dal
mercato al castello Maniace.
Tra questi ultimi va segnalato l’incantevole esibizione di
Erlend Øye (norvegese di Bergen naturalizzato siracusano) al tramonto. Chitarra
e voce, abbarbicato su uno dei bastioni del castello, l’ex Kings Of Convenience
ha inscenato una sorta di inno acustico alla luna che nel frattempo saliva
nello scenario alle sue spalle. Qualche minuto dopo, nel main stage, è toccato
a Cesare Basile mettere in scena i suoi canti in vernacolo tra folk e rock
tribale e poi ancora a James Holden che con i suoi Animal Spirits ha tessuto
trame davvero fluorescenti e ipnotiche. Il Producer inglese si è accompagnato a
Tom Page dei Rocket Number One alla batteria, Etienne Jaumet al sax, Marcus
Hamblett alla cornetta e Lascelle Gordon alle percussioni per un set che, come
il suo ultimo album, ha abbracciato una sorta di trance multietnica legata al
jazz terzomondista di Don Cherry e Pharoah Sanders e deviata verso il 2018 dal
suo abile manovrìo alle macchine e alla loop machine.
Dopo di lui è arrivato il ciclone Omar Souleyman.
Accompagnato solo da un fido tastierista (incaricato anche della gestione delle
basi ritmiche) il vocalist siriano lanciato in occidente dalla produzione di
Four Tet, ha incendiato con la sua «dabka» l’arena dell’Ortigia Sound System
certificando il fatto che una musica per i matrimoni di Damasco può essere
senza problemi trasferita in un festival di musica elettronica europeo. Il problema
casomai era tutto a carico di Dan Shake, dj di Detroit licenziato dalla
Mahogani Music che nel set successivo ha dovuto far rientrare il pubblico nei
ranghi, ma il suo dj set che attinge all’afrobeat era comunque perfetto per
quest’opera di torrida decompressione.
Altri momenti topici della rassegna: il dj set trascinante
di Hot Chip Megamix, il live del trio di Kamal Williams, il set acustico dei
siciliani Da Black Jesus, le filastrocche trascinanti del rapper londinese di
origini latinoamericane Timothy Lacoste, la sofisticata electro dell’irlandese
trapiantata a Liverpool Orlagh Dooley aka Or:La, la potente carovana partenopea
della serata finale con Mystic Jungle, Filippo Zenna e sopratutto Nu Guinea
impegnati in dj set ispiratissimi e trascinanti. Non si può dire la stessa cosa
di Alba Farelo, in arte Bad Gyal, novità da esportazione della scena catalana,
alfiera di un mix di trap, reggaeton e dancehall che se regge il tracciato di
un videoclip si perde rovinosamente nell’itinerario più esteso di un’esibizione
live. L’autotune non sempre funziona da ciambella salvagente, perlomeno non
l’ha fatto nel mare di Ortigia.
Fonte: ilmanifesto.it
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