Nella ricorrenza della scomparsa di Benedetto Di Pietro (1942-2019): progetti di formazione per gli insegnanti del distretto galloitalico

 

di Giuseppe Foti.

Apprestandomi a scrivere una nota in commemorazione dell’amico e stimato concittadino Benedetto Di Pietro, nella ricorrenza della sua scomparsa, avvenuta il 18 ottobre dello scorso anno, realizzo che maggiore spazio richiederebbe la presentazione compiuta della sua vita e della sua opera. Non facile riassumere i tratti di una produzione letteraria ricca, né i frutti del suo impegno intellettuale. Ad altra sede è rimandata quindi questa stesura, già peraltro in preparazione.

Prima di entrare nel merito dell’opera di Di Pietro, mi sia consentito lo spazio del ricordo personale. Conobbi Benedetto agli inizi degli anni ’90, in occasione di una sua visita a San Fratello. All’epoca, insieme ad un gruppo di cari amici, mi interessavo di tradizioni locali, nell’associazione culturale “Apollonia”, attiva in quegli anni. 


Benedetto seppe del nostro gruppo e volle informarci del suo lavoro sul dialetto galloitalico di San Fratello, per avanzare proposte e indirizzare una parte delle nostre energie. In quell’occasione entrai in contatto con alcuni tratti del suo carattere che sarebbero rimasti immutati negli anni a venire. Oltre l’empatia e la bonaria saggezza che sapeva esprimere e che gli guadagnavano repentinamente la stima degli interlocutori, colpiva la serietà dell’approccio e la chiarezza degli obiettivi. Era chiaro come, nei suoi progetti di conoscenza del nostro dialetto, nulla fosse improvvisato. Emergeva anche il peso della sua competenza, espressa secondo la naturale tendenza all’umiltà. Riconobbi tutti questi aspetti della sua personalità, leggendo quanto Benedetto avrebbe scritto anni dopo: «Il mio approccio alla codificazione della parlata sanfratellana risale al 1993, quando fui sollecitato dal compianto Giuseppe Miligi, al quale avevo fatto omaggio di una poesia in sanfratellano, che mi suggerì di mettermi in contatto con l’Università di Catania, perché a suo parere facevo uso di un sistema di scrittura arbitrario [...]. Avevo capito che nonostante io parlassi fin dalla nascita la lingua di mia madre, affrontare la scrittura anche di un semplice testo poetico, mi metteva di fronte a problematiche che mi erano totalmente sconosciute» (Galli Beppe e Scavone Giuseppe, a cura di, Comunità liguistiche in movimento: accenti sanfratellani nel nord-Italia. Atti del Convegno di Viggiù, 29 maggio 2010, Reggiani editore, Brezzo di Bedero, 2011, p. 38). Non a caso, i primi componimenti dialettali di Benedetto verranno addirittura pubblicati in trascrizione fonetica, in mancanza, all’epoca, di un’ortografia sicura. A Benedetto va riconosciuto il grande merito di aver rilanciato l’interesse verso il sanfratellano scritto, le cui prove erano sostanzialmente ferme alle 39 poesie popolari raccolte da Lugi Vasi alla fine dell’Ottocento (Delle origini e vicende di San Fratello, in «Archivio storico siciliano», VI, 1882, 281-294). Come visto, l’approccio alla scrittura è passato attraverso il confronto con gli specialisti dello studio di lingue e linguaggio che rientrano nel campo degli interessi della Linguistica. Ecco quindi il rapporto con il professore Salvatore C. Trovato dell’Università di Catania e con il professore Vincenzo Orioles dell’Università di Udine. Solo dopo lungo studio, e diverse prove, si giungerà alla pubblicazione della raccolta «Â tarbunira» (Enna, Il Lunario, 1999), nel cui saggio introduttivo il professore Trovato presenterà il sistema di scrittura del sanfratellano, alla luce del confronto con Benedetto. Uno straordinario sistema di convenzioni ortografiche, in un quadro coerente e fondato, in grado di rappresentare le unità sillabiche e le unità morfologiche del sanfratellano, evitando che queste “scompaiano” dietro i fenomeni fonosintattici. Il confronto non si limitò mai alla sola ortografia, nella consapevolezza che questa non può essere disancorata dagli altri livelli che compongo le lingue: sono importanti non solo la struttura, ma soprattutto gli usi e le intenzioni comunicative dei parlanti.

Questo era Benedetto: onestà intellettuale, serietà nel metodo, alacrità nel lavoro e obiettivi chiari, maturati col conforto di linguisti e studiosi, dei cui contributi non volle mai privarsi. Con queste premesse, Di Pietro ha saputo lasciarci frutti che dureranno nel tempo.

Nella ricorrenza della sua scomparsa, acquista quindi maggior valore l’imminente progetto dell’Assessorato Regionale dell’Istruzione, finalizzato alla formazione degli insegnanti delle scuole del distretto galloitalico della Sicilia, nell’ambito delle azioni per l’attuazione della Legge regionale n. 9 del 31 maggio 2011 contenente le norme sulla promozione, valorizzazione e insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole. Il corso di formazione è stato preceduto da un lungo lavoro preparatorio del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani ed ha già registrato la partecipazione di molti insegnanti delle scuole di San Fratello e degli altri comuni dell’area linguistica “lombarda” della Sicilia. La produzione dialettale di Benedetto Di Pietro sarà oggetto di una delle lezioni di argomento letterario del corso. Mi pare che lo spirito del lavoro di Di Pietro possa ritrovare alcune corrispondenze nelle linee guida che ispirano il percorso formativo e che ricadranno nell’azione didattica dei docenti. Solo per un esempio, si rimarca l’importanza della chiarezza degli obiettivi, con lo scopo precipuo di presentare il dialetto nella dimensione del plurilinguismo e nel contatto con l’italiano.

Tornando quindi alla figura del Nostro, sarà opportuno ricordare che nacque a San Fratello nel 1942, e crebbe in questo paese fino al 1960, anno del suo trasferimento a Milano. In seguito, Melegnano e Cerro Al Lambro, alle porte della città meneghina, divennero la sua residenza. Da ingegnere elettronico fu funzionario della Snamprogetti del gruppo ENI.

Spirito eclettico, a fianco ai suoi interessi lavorativi, seguiti alla formazione di carattere scientifico, Di Pietro non accantonò mai le attenzioni per l’ambito umanistico. A San Fratello, l’autore è noto, oltre che per i suoi diffusi e amichevoli contatti con i concittadini, per l’edizione della sua considerevole mole di poesie e prose in dialetto sanfratellano, ma Benedetto si affermò anche quale poeta in lingua. Da questa attività autoriale, che precede e poi corre parallela agli scritti in dialetto, è opportuno quindi prendere le mosse.  


Dopo la pubblicazione di alcune sue poesie su giornali studenteschi, avvenuta già dal 1962, la sua produzione letteraria in lingua ha inizio nel 1983, anno in cui appare Passatopresente (Milano, stampato in proprio) raccolta di componimenti in versi liberi, il metro prediletto da Di Pietro. Del 1985 è Eco Silente (Edizioni del Campus, Milano), del 1991 Sembiante (Prometheus, Milano), e del 1994 Tra la sella e l’infinito (Prometheus, Milano), raccolte di liriche in lingua, percorse da un tema costante: lo iato tra presente e passato, tra cultura globale e locale, tra metropoli e paese, tra centro e periferia. Il richiamo verso le passioni umanistiche di Di Pietro non fu solo alla base della sua produzione poetica. Si interessò, infatti, anche di musica e studiò canto lirico con Alessandro Gasparini nel 1960, incidendo un 45 giri per la Saphir nel 1963. Nel dominio musicale fu anche librettista, redigendo i testi di due opere liriche: Un sogno… una realtà, del 1983; Eleuteria: il pianeta libero, del 1994, entrambe musicate da Sergio Ceroni. Scrisse pure le cantate ispirate alle sacre rappresentazioni (Preghiera per il Terzo Millennio, del 1996; Pellegrini del Nuovo Millennio, del 1999) e la commedia musicale Il cammello amaranto, del 2000, tutte musicate da Gian Elia Prinelli. Infine, elaborò i testi per le musiche di Pasquale Losito: la cantata natalizia Il bastone fiorito, del 2010, la commedia musicale L’isola dei fannulloni, del 2011, e il racconto musicale C’era una volta il mare, del 2012, composto da 21 canzoni. Tra le opere più recenti, va ricordata la raccolta di versi Canto del mio dire, (Milano, Prometheus, 2008), il romanzo Il canto della pernice (Lecce, Manni, 2010), la raccolta di racconti brevi In una sera (Montedit, Melegnano 2013), il romanzo L’Allegra Repubblica di Queras (Manni Editori, San Cesario di Lecce 2014), una favola moderna che trova ne La fattoria degli animali di Orwell il suo precedente illustre e, ancora, le raccolte di poesie “Risoluzioni involutive” (Prometheus, Milano 2016) e “Consonanze“ (Montedit, Melegnano 2018).



A Melegnano e Cerro, Benedetto fu un apprezzato animatore culturale, tralaltro Socio Consigliere de “Il Club degli autori” e storico collaboratore della Casa Editrice Montedit, per i cui tipi ha curato la collana “Apollonia”, dietro le cui eleganti copertine amaranto sono apparsi alcuni dei suoi scritti in dialetto e le curatele dei componimenti di autori sanfratellani che hanno trovato un saldo punto di riferimento nella sua guida. Inoltre, presso l’Università della Terza Età di Melegnano, da anni teneva corsi sul Rapporto tra poesia e musica e sulla Scrittura creativa.

Si evince come l’impegno di Benedetto abbia quindi inciso nella realtà settentrionale, così come nella natìa San Fratello, stabilendo un sottile ed ulteriore nesso tra due luoghi, per loro natura diversi, ma accomunati negli interessi dell’autore. Proprio da Melegnano, Benedetto pubblicherà tutte le sue opere in dialetto sanfratellano, la cui molteplicità, fatte salve le curatele, annovera: Àmi d carättar (Uomini di carattere). Racconti nel dialetto galloitalico di San Fratello (Messina), con una raccolta di detti e proverbi sanfratellani, prefazione di Giuseppe Cavarra e saggio introduttivo di Vincenzo Orioles, edizioni Akron, Furci Siculo (Me) 1997; Ghj’antiègh d’sgiàiu accuscì “Gli antichi dicevano così”. (Proverbi e detti sanfratellani presentati da Giuseppe Cavarra), edizioni Akron, Furci Siculo (Me) 1998; Â tarbunira (All’imbrunire). Poesie nel dialetto galloitalico di San Fratello, Il Lunario, Enna 1999; U scutulan di la Rraca (Lo scossone della Rocca). Percorso fiabesco nebrodense nel dialetto galloitalico di San Fratello (Me), Montedit, Melegnano (MI) 2000; Faräbuli (Favole). 42 favole di Jean de La Fontaine scelte e riscritte nel dialetto galloitalico di San Fratello, Grafiche Tielle, Sequals (PN), 2004; Favole. Cinquanta favole tradotte da Benedetto Di Pietro nel dialetto galloitalico di San Fratello, ed. limitata, Milano, 2005; I Primi Canti Lombardi di San Fratello, Montedit, Melegnano (MI), 2007; U principìan, Milano 2013; Ô frosch (Poesie nel dialetto galloitalico di San Fratello), Montedit, Melegnano (MI), 2018 e, infine, con Benedetto Iraci, Sbughjann nta li paradi (Pascendo tra le parole), Montedit, Melegnano (MI), 2015.

Sulla poesia di Benedetto, il filosofo Giuseppe Panella, che fu docente di Estetica nella scuola Normale di Pisa, nell’introduzione a Canto del mio dire, scrisse parole che, lette oggi, rimarcano il legame tra lo scrittore e la sua terra d’origine, in una chiave malinconica che assume nuovo significato, alla luce della sua scomparsa: «Ironia, come al solito, con una sottile punta di disperazione di fronte al crack linguistico della sua gente e del suo paese ma soprattutto del suo tempo. Nostalgia per le voci che non sente più risuonare per le strade e che si ricreano solo artificialmente in riunionui convocate ad hoc e non spontaneamente realizzate agli angoli delle strade del paese natio. Soprattutto timore e rimpianto, timore di non poterle più udire queste voci e rimpianto di non udirle più abbastanza». E quella che nella poesia di Di Pietro fu nostalgia per la sua terra d’origine, oggi è per noi notalgia per la mancanza della sua voce che, tuttavia, sopravvive ormai imperitura nella sua opera.  


Commenti