Il culto di Costantino traccia indelebile di un passato bizantino


di Antonio Francesco Spada

Il culto di Costantino sorse a Costantinopoli subito dopo la sua morte perché fu sepolto nella chiesa dei Dodici Apostoli di quella città. Poi lentamente si diffuse fra tutte le popolazioni cristiane di rito bizantino e fu incluso in tutti i loro calendari e sinassari.

L’Occidente non tributò all’imperatore alcun culto e si limitò soltanto a riconoscere i suoi meriti nei confronti della Chiesa, perché fu il primo imperatore ad abbracciare la fede cristiana, che lasciò poi quasi in eredità ai sovrani suoi successori. Col passare dei secoli, però, il culto di Costantino penetrò anche in alcune regioni di rito latino. 

Sono molte le ragioni per cui il nome di Costantino il Grande non fu inserito nel calendario generale della Chiesa romana. In primo luogo l’Occidente, non avendo conosciuto Costantino in vita come vero cristiano, non poteva dopo la morte venerarlo come santo. Negli anni che seguirono la battaglia di ponte Milvio, Costantino fu solo tre volte a Roma, e per brevi periodi: l’ultima nel 326, quando la sua conversione non era ancora chiara. C’è da tenere presente inoltre la secolare e forte rivalità fra Roma e Costantinopoli, tra i Greci e i Latini, in seguito al trasferimento della capitale. Basti dire che i monaci ortodossi nel Medioevo affermavano nei loro inni che Costantino fondò un nuovo impero cristiano e non amavano ricordare che nella sua persona continuò l’Impero di Roma.

Al riguardo ebbe molto peso a Roma il giudizio sfavorevole sull’imperatore espresso da san Girolamo, che nel Chronicon lo definì «incline all’arianesimo» perché battezzato da Eusebio, vescovo di Nicomedia. Non si trova il nome dell’imperatore neppure nel Kalendarium Romanum o Album Sanctorun et Beatorum dei secoli seguenti, e la mancata canonizzazione nel Medioevo è da attribuire anche alla conflittualità tra la Chiesa e l’Impero d’Occidente. 

La prudenza della Chiesa di Roma, che ancora oggi riconosce e restringe in Occidente la memoria di San Costantino ai luoghi in cui la vox populi lo esalta da secoli, forse deriva anche dalla considerazione che il mondo occidentale, sebbene costruito su fondamenti cristiani, da molti secoli è in gran parte secolarizzato nel suo modo di pensare la Chiesa e non accetta una particolare comprensione della stessa Chiesa per certe azioni che Costantino compì mentre era ancora pagano e in tempi diversi dai nostri nei valori e nei sentimenti.

La diffusione del culto di Costantino in alcune regioni dell’Occidente si spiega con l’interscambio fra le culture, i pellegrinaggi al Santo Sepolcro e l’immigrazione di persone singole o di gruppi durante l’alto Medioevo. In quei secoli lontani molti monaci orientali di diverse regole, detti comunemente basiliani, furono costretti a fuggire dalle loro sedi prima per le invasioni dei persiani e degli arabi e poi per le persecuzioni iconoclaste degli imperatori (secoli VII-IX). Essi si rifugiarono in varie parti d’Europa, portando con sé reliquie e immagini di santi, che facevano conoscere alle popolazioni indigene dell’Occidente. Tra i vari culti orientali diffusero anche quello di San Costantino Magno, che si affermò, però, solo in alcuni luoghi, e cioè nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna. Le testimonianze del culto costantiniano durante il Medioevo sono, infatti, rare nell’Europa continentale e nell’Italia settentrionale e centrale. 

Circa l’introduzione del culto di San Costantino nell’Italia meridionale, si distinguono due periodi, che corrispondono a due diverse epoche di immigrazione in Italia di cristiani provenienti dall’Oriente.

Il primo iniziò nel VI secolo con la Guerra gotica (535-553) e la riconquista dell’Italia da parte delle armate di Giustiniano, alla quale seguirono nuove relazioni commerciali, lo scambio tra culture e la diffusione dei culti orientali.

I vescovi latini furono sostituiti con presuli greci e il rito bizantino-greco fu introdotto al posto di quello latino. In quel periodo i culti di molti santi orientali, tra cui quello di San Costantino, si radicarono profondamente nella popolazione.

Alla provincia di Messina apparteneva il paese di Gioiosa Guardia, che venne abbandonato a causa delle frane. Tra le rovine di quell’abitato si notano ancora i ruderi della chiesa dedicata a S. Costantino Magno. Nel territorio messinese era forte il culto orientale praticato nel monastero basiliano di S. Filippo di Fragalà. A Nicosia, in provincia di Enna, nella chiesa di S. Elena c’è un dipinto sacro con soggetto costantiniano, ma il culto è oggi del tutto dimenticato. Dopotutto il clero latino cercava di far dimenticare alle popolazioni dell’Italia meridionale i culti propri dell’Oriente come quello di San Costantino. 

I documenti medievali sul culto costantiniano nell’Occidente sono pochissimi e pertanto non è stato possibile individuare tutti i luoghi nei quali si venerava Costantino il Grande come santo nei secoli VII-XIII. È comunque certo che il suo culto non era molto diffuso nell’Occidente, a eccezione di quelle regioni, come l’Italia meridionale e insulare, che furono sottoposte per secoli alla dominazione civile e religiosa dell’impero bizantino. 

La Chiesa aveva subìto nel 1054 la grave frattura dello scisma d’Oriente e il clero latino non gradiva che nei propri territori si continuassero a celebrare riti e feste propri degli ortodossi. In Sicilia anche l’autorità civile contribuì alla regressione del culto costantiniano con la demolizione di alcune chiese per i suoi fini politici o militari. 

Nella diocesi di Patti il culto di San Costantino è praticato ancora oggi in diversi luoghi secondo il rito latino, e al Santo sono dedicate delle chiese a Caprileone, Piraino e Tortorici. La chiesa di Caprileone è patronale e ha notevoli pregi architettonici, la piccola chiesa di Piraino sorge nella contrada che prende proprio il nome di San Costantino, infine nella chiesa di Tortorici c’è una tela raffigurante la Madonna e i santi Costantino ed Elena.

A Caprileone, in passato, il simulacro, che abitualmente è privo della corona, veniva incoronato con una speciale corona imperiale d’argento il 21 maggio e al termine di quel rito il popolo acclamava ‘Viva l’Imperatore’. Il Santo è venerato anche tra i contadini e i pastori delle vallate di quel territorio.

Oggi il culto è in regresso un po’ dovunque, ma è doveroso dire che la Chiesa di Roma, pur non ritenendo opportuno inserire Costantino nel suo calendario liturgico, ne permette il culto in quei luoghi in cui da secoli viene praticato. Si tratta per noi occidentali di un culto locale, che, onorando Costantino, onora la croce di Cristo, definita dai gosos del Santo «sorgente di libertà e iscala fin a su Chelu».

Fonti:

  1. C. Pellegrini, Il culto a Costantino Magno, in La Scuola Cattolica, 41 (1913), pp. 263-257; 
  2. La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari 30 aprile-4 maggio 1969), 3 voll., Bari 1972-1973; 
  3. V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari 1978; 
  4. S. Greco, I Santi patroni di Sicilia, Palermo 1995; 
  5. J.M. Martin, A. Jacob, La Chiesa greca in Italia (c.650- c.1050), in Storia del Cristianesimo. Religione, Politica, Cultura, IV, Vescovi, Monaci e Imperatori (610-1054), Roma 1999; 
  6. G. Catalano, Il culto di S. Costantino imperatore in Sicilia, in Poteri religiosi e istituzioni: Il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini, P.P. Onida, Torino 2003, pp. 383-398; 
  7. R. Coppola, La santità in Oriente e in Occidente. A proposito del culto di S. Costantino I imperatore, ivi, pp. 355-365; 
  8. U. Zanetti, Costantino nei calendari e Sinassari orientali, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 1993, pp. 893-914.
  9. E. Croce, s.v. Costantino, Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964.
  10. Salvatore Amedeo Ciminata, San Costantino in Caprileone: tra storia e tradizione popolare, Università di Messina, 2006-2007, relatrice Renata Melissari.

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