San Benedetto il moro da San Fratello
La vita di San Benedetto
I suoi umili natali. Si ipotizza che Benedetto nacque tra il 1524 e il 1526 a San
Fratello; è quindi figlio di questa nostra terra sicula, ma i suoi genitori,
Cristoforo e Diana, provenivano da lontano, essendovi stati condotti, in
condizione di schiavitù dall'Africa, forse dall'Etiopia.
Le condizioni del popolo siciliano, se si escludono le classi dominanti,
era veramente misera; analfabetismo, indigenza, insicurezza dominavano ed era
diffusa anche la presenza di schiavi che, catturati sulle coste dell'Africa,
venivano venduti sia in Spagna, sia nei possedimenti spagnoli compresa la
Sicilia. Dovette essere in questo periodo che i genitori di Benedetto furono
acquistati da un ricco signore di S. Fratello.
A tale origine africana e al colore della sua pelle si deve l'appellativo
«il Moro» con cui venne indicato sia da ragazzo, sia poi da grande, ed è anche
questo il motivo per cui si diffusero, in seguito, la devozione ed il culto
verso di lui in varie nazioni d'Europa, Spagna e Portogallo, del Sud America,
l'Argentina, il Perù, il Venezuela, il Messico, il Brasile, sia anche negli
Stati Uniti, divenendo dappertutto il protettore delle popolazioni di colore,
invocato come S. Benito da Palermo.
Benedetto ricevette una buona educazione cristiana sia dai genitori che
dal padrone, un certo Manasseri, che secondo la tradizione locale lo volle
libero, fin dalla nascita e gli procurò il lavoro impegnandolo a custodire gli
animali nei suoi campi.
Ben presto però il giovane pastore si sentì attratto ad una vita di
raccoglimento e di preghiera; curò come potè la sua istruzione religiosa;
partecipava con frequenza alla celebrazione eucaristica ricevendo la S.
Comunione con grande fervore; nutriva una grande devozione verso il Crocifisso,
mentre andava crescendo in lui il desiderio di abbandonare quel poco che aveva
per consacrarsi interamente al Signore in piena povertà.
La scelta eremitica. L’occasione gli venne data dall’incontro con un certo Girolamo Lanza che,
da nobile e ricco che era, aveva lasciato la famiglia e le ricchezze, vivendo
con spirito francescano da eremita non lontano da S. Fratello, nei pressi di
Caronia.
Benedetto si accompagnò a questo Girolamo abbracciando un austero regime
di vita che all'esercizio dei consigli evangelici - castità, povertà e
obbedienza - aggiungeva un quarto voto, quello cioè di osservare per tutto
l'anno un regime di vita quaresimale di digiuni, di preghiere e di penitenze.
Fin da allora si manifestarono le sue singolari doti di uomo di Dio. Per
quella intuizione del soprannaturale che spesso i fedeli hanno, molti di quei
contadini compresero che Frà Benedetto era uno spirito eletto che viveva in
particolare comunione e comunicazione col Signore. E per questo si recavano da
lui per raccomandarsi alle sue preghiere, per chiedere consiglio, per esserne
consolati nelle immancabili tribolazioni della vita.
La frequenza di tali visite, metteva in crisi la stessa scelta di
solitudine propria degli eremiti, e per questo il Lanza si indusse ad
abbandonare quel luogo per trasferirsi con i suoi compagni in altri siti: Platanella,
nei pressi di Agrigento; Mancusa, tra Partinico e Carini; Marineo, presso la
Madonna della Dayna... ma poi finì per stabilirsi sul Monte Pellegrino, presso
Palermo, così chiamato proprio a motivo dei tanti «pellegrini» o eremiti che vi
abitavano.
Sul Monte Pellegrino. Era quello il luogo dove anche S. Rosalia era vissuta ai suoi tempi. Da quel monte che, Benedetto poteva contemplare Palermo e, per quanto non
fosse la sua patria, cominciò così ad amarla ed a pregare per i suoi abitanti i
quali, peraltro, non furono insensibili all'edificante premura di lui e di
quegli austeri penitenti.
Perciò la gente accorreva per raccomandarsi alle loro preghiere, ed in
modo particolare per visitare Frà Benedetto, la cui fama di austerità e di
saggezza sempre più spargeva da farlo già chiamare «il santo Moro» tratto
singolare questo che dimostra, ad un tempo, tanto la sua capacità ed amabilità
nel farsi accettare ed accostare da tutti, quanto anche l’apertura e la
mancanza di pregiudizi da parte della gente nei suoi riguardi, sia per il
colore della pelle che per la discendenza.
Morto dopo qualche tempo Fra Girolamo Lanza che era stato l'ispiratore di
quella esperienza, tutti gli eremiti che vivevano nella zona decisero che solo
Benedetto era degno di essere eletto loro Superiore e per quanto egli cercasse
di esimersi da tale incarico, adducendo la sua insufficiente cultura e la sua
indegnità, pure, con insistenza fu indotto ad accettare e guidare i confratelli
nella singolare e non sempre agevole condizione di vivere nella solitudine ma
di sottostare ad alcune comuni norme di comportamento.
Una ubbidienza che costa. Così erano passati 17 anni di vita eremitica durante i quali Benedetto,
esercitandosi nelle virtù religiose, nel distacco di sé, nello spirito di
sacrificio e di ubbidienza, si era reso capace di aderire perfettamente alla
volontà di Dio, qualunque essa fosse, una volta che gli si fosse manifestata
attraverso uno dei suoi autorevoli canali.
L'occasione venne quando l'esperienza di vita solitaria di questi
eremiti, affiliati ai Francescani, già permessa dal Papa Giulio III nel 1550,
diede in appresso a Roma motivo di un ripensamento, per cui nel 1562 Pio IV,
per mezzo di una lettera del Card. Rodolfo Del Carpio, Protettore dei Frati
Minori, emanò una disposizione con la quale veniva proibito il proseguimento di
quella vita eremitica e si prescriveva a quanti la praticavano di ritirarsi in
un Ordine Regolare Francescano, che poteva essere o quello dei Frati Minori o
quello dei Cappuccini. Cessando di essere eremiti ed entrando in uno di questi
Ordini Regolari, vi sarebbero stati accolti come veri e propri Religiosi,
sottoponendosi ai legittimi Superiori.
Benedetto fu alquanto incerto, dapprima, sulla scelta da fare e volle
raccogliersi in preghiera per chiedere alla Vergine Santa, di cui era
devotissimo, quale decisione dovesse prendere. Ed infatti, dopo essersi fermato
a lungo in preghiera davanti all'altare della Madonna, percepì, per una
interiore illuminazione, che la sua scelta doveva cadere nell'Ordine dei Frati
Minori, e fu in seguito a ciò che con tutta umiltà si recò al Convento di S.
Maria di Gesù, chiedendo di esservi accettato come fratello laico.
A S. Maria di Gesù. Il Convento era stato fondato nel 1426 dal Beato Matteo da Agrigento ed
era noto per l’autenticità della vita francescana che vi si conduceva.
L’umiltà, la semplicità, la povertà, la castigatezza dei costumi, lo spirito di
penitenza, la fervorosa preghiera, ma anche il quotidiano contatto con il
popolo ed in particolare con i più deboli e bisognosi, erano i tratti che
distinguevano la Comunità della quale Fra Benedetto venne a fare parte.
Ma, come altrove era accaduto, anche qui la sua presenza finì per
apparire come quella di un Religioso particolarmente segnato da singolari doni
spirituali. Per questo impegnato, all’inizio, nell’umile ufficio di cuoco, il
suo spirito di sacrificio e la sua soprannaturale carità lo manifestarono come
un autentico «uomo di Dio» ed a lui si cominciò ad accorrere dalla città. Anche
se ormai dispensato dal quarto voto del perenne digiuno quaresimale, egli
tuttavia ne continuava l'esercizio tanto più motivato, insieme ad altre
penitenze, quanto maggiore era il concorso dei fedeli presso di lui e il
ricorso alle sue preghiere.
Si realizzava in lui la verità di quello che Maria aveva cantato nel
Magnificat, che il Signore cioè, «ha rovesciato i potenti dai troni, ha
innalzato gli umili». Frà Benedetto è proprio uno di questi «indigenti
sollevati dalla polvere... rialzati dall'immondizia...». (cfr. Ps. 112), che
vengono preferiti ai potenti della terra e da essi, anzi, riveriti e consultati
per la loro saggezza nel giudicare e prudenza nel consigliare.
Nobili palermitani, Prelati ed anche il Viceré Marcantonio Colonna
venivano a trovarlo nel Convento di Santa Maria per bisogni spirituali e
materiali che li affliggevano e così tanti altri del popolo, di cui parlano le
testimonianze poi raccolte nei processi di beatificazione e che attestano anche
i numerosi prodigi attribuiti all'intercessione del «santo Moro» sia in vita
che dopo la sua morte. È degno di nota rilevare come Frà Benedetto non si valse
mai delle sue conoscenze di persone influenti per accettare o sollecitare
favori; anzi, in più di una circostanza, non gradì e non permise che si
usassero riguardi a membri del Convento e della sua stessa famiglia che avevano
di che render conto alla giustizia.
Superiore del Convento. Di uguale reputazione e venerazione egli godette presso i confratelli del
Convento, che edificava non solo per il suo esempio di osservanza religiosa, ma
anche per i suoi discorsi e ragionamenti che lasciavano trasparire una dottrina
non certo appresa dai libri e che lasciava sorpresi anche i Maestri di
Teologia.
«Io so che Benedetto non sapeva né leggere né scrivere – deposero al
processo alcuni testimoni – però con tutto questo faceva molti sermoni ai frati
e particolarmente ai Novizi, spiegando ad essi molti passi e difficoltà della
Sacra Scrittura, con molta chiarezza ed edificazione spirituale... soleva
spiegare ai Novizi le lezioni della Sacra Scrittura che erano lette a
Mattutino, e in queste lezioni si intratteneva in lunghi discorsi che
sembravano ispirati dallo Spirito Santo».
Dei Novizi fu anche nominato Maestro, cioè formatore, e svolse così bene
l'ufficio da sembrare che possedesse il dono della scrutazione dei cuori. Nel
1583 pur essendo frate laico fu anche eletto, come già sul Monte Pellegrino,
Guardiano, cioè Superiore dei Religiosi, molti dei quali erano Sacerdoti, e
seppe così bene guidare con carità e dolcezza tutti i confratelli che molti da
altre parti chiedevano di andare a vivere da lui, cosicché fu costretto ad
ampliare l'edificio, sopraelevando un secondo piano e costruendo un nuovo
braccio del Convento.
Anche quando si recò ad Agrigento, dove si svolgeva il Capitolo
provinciale dei Frati, lo precedeva una tal fama di sanità che fu accolto con
calorose manifestazioni di popolo. Eppure, quando terminò il tempo degli uffici
per i quali era stato eletto, tornò con grande naturalezza e semplicità alla
sua primitiva mansione di cuoco, ben sapendo che il valore e il merito del
servizio di Dio non si misurano dall’eccellenza dei compiti che vengono
affidati, ma dall’amore e dalla fedeltà con cui vengono esercitati.
Nel Convento di S. Maria di Gesù, tranne un periodo di tre anni che passò
in quello di S. Anna nei pressi di Giuliana, trascorse tutta la sua vita di
Frate Minore, e lì il suo corpo riposò, deposto in luogo onorifico, dopo
qualche anno dalla pia morte che avvenne il 4 aprile 1589.
La fama di santità. La fama di santità che era stata tanto diffusa durante la sua vita, si
accrebbe dopo la morte. II suo fu un «sepolcro glorioso» per il continuo
accorrere di gente, non solo dalla città di Palermo, ma da ogni altra parte
dell'Isola.
Già nel 1592, quando fu eseguita la prima traslazione della tomba esterna
alla Sagrestia, il suo corpo fu trovato incorrotto ed odoroso, ed è di quello
stesso anno la prima istanza all'allora Arcivescovo di Palermo, Mons. Diego
D'Ahedo, perché fosse iniziato il processo di beatificazione.
Nel 1611 un'altra traslazione ebbe luogo, dalla Sagrestia nella Chiesa, e
di essa si occuparono tanto il Re di Spagna Filippo III, quanto il Cardinale
Gianettino Doria, Presule palermitano, mentre vive istanze al Papa Gregorio XV
venivano rivolte negli anni 1621 e 1622 dal successivo Re di Spagna Filippo IV
e dal Viceré di Sicilia, sollecitando la beatificazione del Servo di Dio.
Due processi apostolici, l'uno redatto in Palermo e l'altro a S.
Fratello, vennero poi rimessi alla S. Congregazione dei Riti intorno al 1627. È interessante la risposta che nel luglio di quell’anno dava Urbano VIII
con la sua lettera ai palermitani, riconoscendo la grande devozione da essi
manifestata per il corpo del Religioso Benedetto da S. Fratello.
La municipalità di Palermo – detta allora il Senato - rompendo gli
indugi, si induceva nel 1652 ad emettere un solenne Decreto con il quale
rilevando «che la fama di santità ammirabile del siciliano Benedetto da S.
Fratello si è sparsa oltre i confini di tutta la città» lo eleggeva e
nominava «particolare intercessore», chiamandolo già, per conto suo, «Beato
Patrono» ed ordinando feste che si celebrassero ogni anno nella Chiesa di S.
Maria di Gesù.
La Canonizzazione. Nel 1713 nuove istanze per la Beatificazione ufficiale vennero rivolte
alla S. Sede sia dal Senato palermitano che dallo stesso Arcivescovo, Giuseppe
Melendez, e così ripresosi il processo si giungeva nel 1743 all'approvazione
del culto e nel 1776 al riconoscimento dell'eroicità delle virtù. Rimaneva la
prova dei due richiesti miracoli, verificati i quali, con Bolla di Papa Pio VII
del 23 giugno 1807, veniva proclamata la Canonizzazione.
Nel documento, com'è d'uso, venivano indicate le principali
caratteristiche di quella santa vita e ci può servire il notare che oltre agli
abbondanti riferimenti alle virtù religiose praticate, alle penitenze,
all'umiltà, alla prudenza, in particolare rilievo viene messa la sua fede e
devozione eucaristica: «Non desiderava nient’altro se non considerare e
contemplare argomenti celesti e con ogni scrupolo evitare qualsiasi offesa
verso Dio, anche la più piccola. Spesso, quasi ogni giorno, si confessava e si
comunicava: lunga era la preparazione al banchetto divino e più lungo ancora il
ringraziamento, dopo averlo gustato…».
Da questo amore di Dio vien fatto derivare «il suo fervido amore verso il
prossimo, del quale desiderava l’eterna salvezza… Con sollecitudine e senza
difficoltà riceveva tutti quelli che andavano da lui per chiedergli consigli,
anche quando stava male, e a ognuno elargiva opportuni consigli e rimedi.
Inoltre spesso visitava i carcerati e gli infermi, offrendo loro tutti i
servizi e le opere di carità, fornendo anche qualche aiuto ed esortandoli
alla pazienza e a riporre in Dio la loro speranza... Egli quando fu eletto
Superiore del Convento di Palermo volle soprattutto che il portinaio non
respingesse alcun povero».
Le ricorrenti pesti e carestie di quell'epoca fornivano occasioni
particolarmente impellenti di soccorrevole intervento. La Canonizzazione avveniva insieme a quelle di S. Francesco Caracciolo,
di S. Angela Merici, di S. Coletta Boilet e di S. Giacinta Marescotti. La data
della memoria di S. Benedetto da S. Fratello veniva fissata per il 4 aprile,
come è ancora oggi. Può esser interessante anche notare che S. Benedetto «il Moro» è il primo
santo siciliano per il quale si sia svolto un regolare processo canonico di Beatificazione
e Canonizzazione.
+ Salvatore Card. Arcivescovo
Il culto di San Benedetto il moro
nel suo paese natale
Nonostante siano trascorsi più di
quattro secoli dalla sua morte, a San Fratello il culto per San Benedetto il
Moro è ancora vivo e ben radicato. Concittadino e Protettore, Benedetto è il
più illustre e il più grande dei figli di questa cittadina conosciuta per la
lingua che ivi si parla (dialetto gallo-italico), per la Festa dei Giudei e per
i cavalli allevati allo stato brado.
Al “Santo dalla pelle nera” i
suoi compaesani si rivolgono con un sentimento di venerazione e di fiducia, con
l’amore ed il rispetto che gli sono dovuti ma anche con la compostezza degli
atteggiamenti. Lo invocano per qualunque bisogno pubblico e privato, per la
pioggia e per il bel tempo, in una grande calamità e in un affanno privato, in
una difficoltà amorosa e nella ricerca di un oggetto smarrito.
In tutti i momenti di difficoltà
i sanfratellani sanno di potere contare su di lui e sulla sua rassicurante
protezione. Segni della devozione a San Benedetto il Moro si possono intravedere
nelle diverse realtà di San Fratello: in tutte le famiglie almeno un componente
ne porta il nome; in ogni casa ed in ogni locale pubblico è presente almeno una
statuetta raffigurante il santo; nelle automobili non manca mai l’adesivo con
la sua immagine; ai defunti si suole porre in tasca un’immaginetta del Santo
Moro per accompagnarli nel loro ultimo viaggio; varie associazioni culturali
sono a lui intitolate; diverse volte in occasione delle elezioni amministrative
comunali sono state presentate liste aventi per simbolo proprio San Benedetto;
numerosi artisti locali hanno rappresentato le sue fattezze in opere pittoriche
e scultoree, scrittori e poeti ne hanno decantato le virtù, musicisti e
compositori gli hanno dedicato inni.
La festa vera e propria si
celebra ogni anno il 17 settembre in forma tradizionale con luminarie, fuochi
artificiali, banda musicale e soprattutto con la solenne processione che si
snoda per le vie principali del paese nel corso della quale il clero, le
autorità ed i fedeli (molti anche a piedi scalzi) accompagnano la statua di
fra' Benedetto con preghiere, canti, inni, salmi, litanie, invocazioni. Al
termine della festa ogni anno viene sorteggiato, fra quanti hanno comprato il
relativo biglietto, dei doni che per voto qualche cittadino ha offerto al
santo. In ciò è evidente l’analogia con le offerte in natura che ancora oggi in
Galizia vengono fatte a “San Benito de Palermo” e che sicuramente un tempo
erano presenti anche a San Fratello.
Ma tutti i sanfratellani
ricorderanno sempre con la mente e con il cuore la festa che si è tenuta nel
1989, anno in cui si è celebrato il quarto centenario della morte di San
Benedetto il Moro.
Dopo quattrocento anni Benedetto
è tornato tra la sua gente e nei luoghi in cui aveva trascorso la sua infanzia
e la sua giovinezza: era andato via all’età di circa vent’anni senza mai più
ritornarvi. Il suo corpo incorrotto, posto all’interno di una grande urna di
vetro, è stato traslato da Palermo nel suo paese natale.
Tutti i residenti, ma
anche moltissimi emigrati tornati per l’occasione da varie parti del mondo,
erano ad attenderlo al campo sportivo dove è giunto dall’alto a bordo di un
elicottero. Dal 10 al 17 settembre il paese intero è diventato come un
santuario: meta di pellegrinaggi da diversi comuni della Sicilia, un continuo
via vai di fedeli, una serie interminabile di funzioni religiose, di marce, di
preghiere, di canti, di invocazioni.
L’ultimo giorno, dopo la messa solenne
celebrata all’aperto nella piazza del seicentesco convento francescano, la
processione, effettuata in quest’occasione con le spoglie del santo, ha
attraversato tutte le stradine del paese quasi che Benedetto abbia voluto
ripercorrerle ancora una volta per fare riaffiorare i ricordi di una parte
della sua vita che sicuramente non ha mai dimenticato. Da quell’anno la devozione è continuata con semplicità e discrezione ma con un
fervore sicuramente maggiore degli anni passati
A cura di Alfredo Iraci
e' sempre un'emozione guardare s.benedetto
RispondiEliminaRimango sbalordito di sapere di avere un conpatrono a Palermo, sono emozionato nel leggere la vita condotta da San Benedetto il moro e la semplicità di questo uomo di Dio nell'affrontare la vita e nel dare a noi un forte esempio di amore per i diversi, grazie grazie grazie
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